tag:blogger.com,1999:blog-6439504774721024342024-03-13T00:32:38.994-07:00Suoni AlieniAnonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.comBlogger517125tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-40377913050423879502018-11-01T09:48:00.005-07:002018-11-01T09:48:53.207-07:00Isan - Intervista<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<i><a href="http://www.ondarock.it/images/monografie/isan_1_1540281819.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="348" data-original-width="673" height="165" src="https://www.ondarock.it/images/monografie/isan_1_1540281819.jpg" width="320" /></a></i></div>
<br />
<br />
<i>A corollario della <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/isan.htm">monografia</a>
in cui ripecorriamo tutta la carriera del duo elettronico inglese,
abbiamo raggiunto Antony Ryan e Robin Saville per una chiacchierata in
cui parliamo di collaborazioni a distanza, musica elettronica e alcune
curiosità.</i><b>Salve ragazzi, era da molto tempo che
pensavo di scrivere della vostra carriera e sono davvero contento di
averlo fatto finalmente. Come state? Siete soddisfatti di come sta
andando "<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016_isan_glassbirdmovement.htm">Glass Bird Movement</a>"?</b>R:
Bene grazie, la vita mi sta trattando bene. Devo dire di sì, siamo
piuttosto contenti di "Glass Bird Movement". Quando cominciammo come
Isan, per essere contenti ci bastava solo riuscire a pubblicare
qualcosa. Non dico che avessimo aspettative troppo basse, ma ogni volta
che usciva un nuovo disco ci sentivamo privilegiati al pensiero che là
fuori ci fossero persone interessate in ciò che facciamo. Siamo gente
modesta.<br />
A: Saluti dalla Danimarca! Tutto bene, grazie, mi godo
un’estate incredibile… per una volta non bisogna andare a sud per
trovare un po’ di sole, specialmente se come me abiti vicino al mare.
Come Robin, sono anche io molto contento per come è venuto GBM e per
l’ottima accoglienza che ha ricevuto… scoprire che alla gente ancora
piace quello facciamo dopo poco più di 20 anni è davvero speciale. <br />
<br />
<b>Quest’anno
è infatti il ventennale dall’inizio della vostra carriera
("Beautronics" uscì nel 1998). Raccontateci dei vostri inizi e come è
nato il vostro progetto.</b>A: A dire il vero per primo pubblicammo il pezzo "<a href="https://www.youtube.com/watch?v=nLqvNUM5lQs" target="_blank">Eusa’s Head</a>"
sull’Ep "Splintered Roots" uscito su Fragments (un’etichetta parallela
di Howie B.), a cui seguirono poi una manciata di altri singoli, ma sì,
"Beautronics" fu il nostro primo album completo. Oggi dopo vent’anni
stiamo lavorando con degli studenti dell’università di Hong Kong
(insieme al nostro amico Max Hattler) per realizzare dei video dai pezzi
di quell'album, è stato davvero bello vedere queste canzoni ricevere
nuova vita, come per esempio l'<a href="https://www.youtube.com/watch?v=uYvDKQ4FBec" target="_blank">animazione</a> per "Iam Twisq".<br />
Ad
ogni modo, tornando ai nostri inizi… Avviamo ISAN perché sia io che
Robin lavoravamo insieme su un progetto techno chiamato Rephlex, che
venne accolto piuttosto male. Poi però Robin si trasferì in un’altra
zona del paese. ISAN nacque davvero come mezzo per collaborare a
distanza, per continuare comunque a lavorare insieme, scambiandoci
cassette via posta! Mandammo in giro un paio di raccolte di demo, e
fummo davvero fortunati a venire contattati e scelti da Fragments. Da
allora siamo semplicemente cresciuti. Abbiamo lavorato più o meno allo
stesso modo sin da allora (naturalmente aggiornandoci allo scambio di
file su internet e condividendo i progetti DAW), ma ancora oggi in
pratica ci troviamo a suonare insieme nella stessa stanza soltanto
quando ci esibiamo live.<br />
<br />
<b>Credo non sia facile riuscire a
trovare la giusta intesa per comporre vivendo in città diverse. Mi sono
sempre domandato come sia possibile riuscirci. Fate parte di qualche
scena musicale nelle città in cui vivete attualmente? Oltre alla vostra
carriera nella band, svolgete altri lavori sempre in ambito musicale?</b>R:
Non ci siamo mai davvero soffermati a pensare se il nostro metodo di
lavoro fosse giusto o sbagliato, si trattava in sostanza dell’unico modo
possibile per noi all’epoca. A dire il vero, pensandoci adesso, credo
che siamo stati in grado di mettere insieme il meglio di entrambi i
mondi. Posso mettermi a lavorare come e quanto voglio su qualche traccia
senza dovermi preoccupare che Antony ascolti quello che faccio, quindi è
un po’ come avere i vantaggi di lavorare da solo e poi di condividere e
ricevere nuovi input e suggerimenti dal tuo <i>partner</i> creativo.
Non ho altri lavori nella musica e, in effetti, non sono in contatto con
nessun altro musicista locale. Trovo che il tempo passato lontano dallo
studio sia ugualmente utile a nutrire il processo creativo.<br />
A: Credo
che la distanza in realtà sia di grande aiuto alla collaborazione.
Ognuno di noi ha il tempo di ascoltare, assorbire, capire davvero cosa
sta facendo l’altro. Non c’è bisogno di mettersi a discutere sul
momento, o di dare giudizi immediati che potrebbero andare a ostruire il
flusso creativo se lavorassimo nello stesso momento in studio insieme.
La distanza rende anche più semplice prendere “bene” le critiche se
qualcosa non funziona, e per quanto possa ricordarmi, non c’è mai stato
tra di noi nessun vero disaccordo. Durante gli anni abbiamo sviluppato
una sorta di istinto per ciò che l’altro stava creando (anche se non
sempre capisco “come” Robin lavora, il che è gran parte del divertimento
di lavorare con lui), al punto che possiamo ritrovarci insieme dopo
molti mesi per suonare dal vivo su un palco qualche nuovo pezzo che non
avevamo nemmeno mai provato insieme prima. Il mio altro lavoro
nell’industria musicale è come ingegnere audio <i>freelance</i>, mi
occupo di masterizzazione (RedRedPaw Mastering). Mi piace considerarlo a
sua volta un lavoro creativo perché spesso devo trovare soluzioni
“musicali” al progetto su cui sto lavorando, adoro cercare di immettere
un po’ di nuove idee nelle tracce che ho sotto mano. Naturalmente il
lavoro consiste in un sacco di roba più tecnica e meno creativa, ma
trovo molto interessante la tecnologia che c’è dietro. È un lavoro che
mi piace molto e mi dà molta soddisfazione quando l’artista riceve
indietro i <i>master</i> e apprezza il risultato. L’unico piccolo
svantaggio è che a volte devo ascoltare ogni settimana davvero troppa
musica… Ho lavorato su più di 500 progetti, vale a dire migliaia e
migliaia di tracce, e per quanto lavoro di solito su musica che mi
piace, credo che alla lunga la cosa possa avere un impatto sul processo
creativo. <br />
<br />
<b>Ho letto spesso risposte simili alla vostra in
altre interviste, era una mia curiosità e devo dire che ne è venuta
fuori da parte vostra un'analisi molto interessante. Tornando alla
vostra musica, trovo si tratti di una fusione perfetta di vari stili,
soprattutto ambient, Idm e electro, tra gli altri. Come avete fatto a
raggiungere da subito dei risultati così efficaci? Ascoltando "Clockwork
Menagerie", una collezione che include molti dei vostri lavori degli
inizi, la cosa fa davvero impressione.</b>R: Molto gentile da
parte tua. Suppongo ci siano state diverse influenze che si sono
mescolate tutte allo stesso tempo, più la nostra propensione a fare
musica con strumenti elettronici ma con uno spirito “indie”. Tutto è
diventato più chiaro nel corso degli anni comunque, nel senso che
abbiamo definito un suono tutto nostro ed è per noi praticamente
inevitabile partire da certe influenze.<br />
A: A dire il vero a me un po’
sorprende realizzare che ancora riusciamo ad “avere il nostro suono”!
Robin e io condividiamo una sensibilità particolare che sicuramente era
lì sin dall’inizio, ma in qualche modo non ne abbiamo mai parlato
apertamente. A volte sappiamo come descriverla a parole, ad esempio
quando andiamo a rileggere i nostri appunti per preparare nuovi pezzi
live, altre no; in ogni caso, so quasi sempre a cosa darà vita Robin e
non devo più stare a preoccuparmi del suo lavoro. Si tratta dunque di
fidarci dei nostri istinti e delle nostre sensibilità senza parlarne
troppo.<br />
<br />
<b>Ci sono degli artisti o dei dischi in particolare
che vi hanno ispirato? Avete altre fonti di ispirazione, a parte la
musica? Di solito cosa ascoltate?</b>R: Le influenze sono
sempre un argomento interessante, è possibile che ascoltando certa
musica mi capiti di notare delle idee interessanti e di pensare che
sarebbe bello cercare di ricrearle, sicuro del fatto che ogni mio
tentativo risulterà in qualcosa di diverso dall’originale, a causa di
differenze in gusti, strumentazione, abilità tecnica e così via… Altre
volte invece può essere unicamente il <i>mood</i> generale di un brano
a farmi venir voglia di creare qualcosa. Ascolto molta musica di stampo
ambientale e diciamo anche astratto, ma continuo anche ad ascoltare la
radio, mi piace la musica indiana (quella classica, molto libera e
estesa) e ancora più spesso mi impongo di non ascoltare nulla. Sono un
gran fan della musica di <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2017-florist-ifbluecouldbehappiness.htm">Emily Sprague</a> e di <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2017-kaitlynaureliasmith-thekid.htm">Kaitlyn Aurelia Smith</a> al momento, stanno creando cose davvero magiche. <br />
A: Per me una pietra miliare intoccabile è “The Pearl” di <a href="http://www.ondarock.it/altrisuoni/haroldbudd.htm">Harold Budd</a> e <a href="http://www.ondarock.it/altrisuoni/brianeno.htm">Brian Eno</a>,
è uno dei pochissimi album che non mi stanco mai di riascoltare. Le mie
costanti ispirazioni, quelle che mi girano più per la testa quando creo
nuova musica si trovano a metà tra quel tipo di ambient e le band <i>shoegaze</i> anni 90, specialmente <a href="http://www.ondarock.it/dark/mybloodyvalentine.htm">My Bloody Valentine</a> e <a href="http://www.ondarock.it/dark/slowdive.htm">Slowdive</a>. Mi interessa da tempo anche il concetto della musica generativa (si torna sempre a Brian Eno), l’idea di usare <i>software</i>
generativi può portare in direzioni e ispirazioni sempre nuove, una
cosa che adoro. Il mio lavoro come ingegnere del suono mi porta ad
ascoltare musica praticamente tutto il giorno, dandomi la possibilità di
trarre nuove ispirazioni da ciò che sento soprattutto perché ho a che
fare con generi davvero molto diversi. A parte questo, comunque, di
solito non scelgo personalmente cosa ascoltare, preferisco farmi
consigliare da altri, inclusi i miei dj preferiti in radio. <br />
<br />
<b>Ora che ci penso, mi spiegate che storia c’è dietro l’acronimo ISAN?</b>A:
Hahahaha... beh, la ragione per cui abbiamo scelto di allontarci da
tutte le lettere maiuscole di “I.S.A.N.” era che così facendo non
avremmo più dovuto spiegarlo! Ad ogni modo, quando iniziammo a fare
musica insieme scambiandoci nastri per posta, pensammo fosse un giochino
divertente modificare la sigla “I.S.D.N.” (Integrated Services Digital
Network), che all’epoca era la tecnologia più avanzata per la
connessione dati. Siamo all’inizio degli anni 90… pensammo che
sostituire la “D” di “Digital” con la “A” di “Analogue” rappresentasse
bene la musica che stavamo creando, e perciò decidemmo che era un buon
nome per il nostro progetto. Oggi comunque ci va bene anche essere solo
“Isan”.<br />
<br />
<b>Mi aspettavo che avresti risposto così! Ma di
sicuro molti dei nostri lettori non conosceranno il significato del
vostro monicker, malgrado siate sulle scene già da tanto tempo. Poi la
spiegazione è anche un perfetto corollario per cercare di capire meglio
la vostra musica. Mi sbaglio?</b>A: Sì, devo dire che è sempre carino fornire qualche <i>background</i>,
tornando anche a quanto è fondamentale per noi lavorare separatamente,
cosa in effetti rappresentata anche nel nostro nome in modo
significativo. L’idea di allontanarci dall’acronimo deriva anche
parzialmente dal fatto che c’era gente che iniziava a pronunciarlo
“eye-san” o “issan” e non “I S A N”, e abbiamo pensato fosse meglio
rendere le cose più semplici.<br />
<br />
<b>Uno degli aspetti che mi ha
sempre attratto maggiormente della vostra opera è la parte grafica.
Secondo me, le copertine di "Lucky Cat" o di "Clockwork Menagerie" sono
parte integrante della vostra arte. Ho fatto qualche ricerca e ho
scoperto che i vostri artwork li ha creati sempre Jan Kruse. Avete avuto
anche voi parte nella loro realizzazione o avete sempre delegato
l’artista o l’etichetta?</b>R: Nei primi tempi le nostre
copertine le realizzava di solito il nostro amico Carl Harris. Lui e
Antony sono amici di infanzia e con lui condividiamo un senso estetico
molto simile, così volemmo che l’<i>artwork</i> avesse quel senso di
“fatto a mano” e non troppo definito che aveva anche la nostra musica.
Credo che la parte visiva completasse a meraviglia quella musicale.
Quando poi iniziammo a pubblicare per Morr Music fummo messi in contatto
con Jan Kruse, che si occupa del <i>design</i> generale della <i>label</i>. Per Thomas Morr era molto importante dare continuità di stile in ogni pubblicazione della sua etichetta. Discutiamo sempre l’<i>artwork</i>
insieme a Jan, e più di recente con Julia Guther, e in genere siamo
coinvolti nel processo dall’inizio alla fine. Siamo davvero fortunati a
poter lavorare con artisti così talentuosi e professionali.<br />
<br />
<b>Sì,
penso si sia mantenuto sempre il giusto collegamento con il vostro
lavoro, anche con i diversi artisti. Parlando della collaborazione con
Thomas Morr, insieme a vari altri artisti (<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2017-lalipuna-twowindows.htm">Lali Puna</a>, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2008_styrofoam.htm">Styrofoam</a>, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_bfleischmann_imnotreadyforthegraveyet.htm">Bernard Fleischmann</a>),
vi ho sempre visti come il vero simbolo del suono Morr Music. Vi siete
mai sentiti parte di una scena? Come è iniziata la vostra collaborazione
con la storica label berlinese?</b>R: Devo dire di non essermi
mai sentito parte di una scena. Fu davvero bello ricevere la prima
email di Thomas Morr e iniziare a lavorare con lui. A colpirci fu anche
il fatto che viveva con <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016-rayon-abeatofsilence.htm">Markus Acher</a>.
Da lì in poi il resto è storia, direi. Abbiamo incontrato diversi altri
musicisti che operano in un’area simile alla nostra, ma non ho mai
collaborato con nessun altro e cerco sempre di distinguere il nostro
suono da quello dei nostri (eccellenti) compagni di etichetta.<br />
A: In
un certo senso più che una scena, si tratta di una famiglia allargata.
Suoniamo spesso negli stessi show, e ci divertiamo molto. Andare ai
festival e incontrare gli altri gruppi Morr è un po’ come incontrare
ogni tanto i tuoi cugini a un matrimonio.<br />
<br />
<b>Sapevate che il regista italiano <a href="http://www.ondacinema.it/film/recensione/loro-2.html" target="_blank">Paolo Sorrentino</a>
(e il suo collaboratore musicale Pasquale Catalano) ha usato spesso
vostre canzoni nei suoi film? Li avete visti? Vi sono piaciuti? Credo
che il suo stile così sopra le righe crei un equilibrio perfetto con
molte vostre composizioni.</b>R: Sì, e anche in questo caso è
un gran privilegio poter conoscere un artista così talentuoso. Il suo
primo lavoro di cui venimmo a conoscenza fu “<a href="http://www.ondacinema.it/film/recensione/conseguenze_dell_amore.html" target="_blank">Le conseguenze dell'amore</a>” in cui compariva la nostra “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=MdcOsGsjlUE" target="_blank">Remegio</a>”,
e da allora è uno dei miei film preferiti, quindi sono davvero molto
onorato! Ho seguito con interesse la sua carriera da allora, fino a
trovarci nuovamente inclusi nella colonna sonora di “<a href="http://www.ondacinema.it/serial/recensione/the_young_pope.html" target="_blank">The Young Pope</a>”. Sarebbe bello incontrarlo di persona e ringraziarlo per aver incluso il nostro lavoro nei suoi capolavori.<br />
<br />
<b>Non dimentichiamo anche “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=AVkVKLDkGFE" target="_blank">Cathart</a>” nel suo esordio “<a href="http://www.ondacinema.it/film/recensione/amico_famiglia.html" target="_blank">L’amico di famiglia</a>”!
Per finire, diteci, quali sono i vostri piani per il futuro? State
lavorando a del nuovo materiale? Oppure tornerete a lavorare ciascuno
per conto proprio per un po’? Avete nei piani un vero tour o comunque
dei nuovi concerti?</b>A: Sì, stiamo lavorando a un nuovo
album, ma non abbiamo ancora ben definito il cammino. Abbiamo completato
un po’ di tracce e stiamo lavorando ad altre ancora, e continueremo a
farlo finché sentiremo di avere una sorta di massa critica di tracce che
co-abitano nello stesso spazio sonoro, quello che ancora chiamiamo
“album”. Mi sembra che il futuro della distribuzione musicale, e
dell’ascolto, si basi sempre più su artisti che pubblicano col
contagocce e fan che si creano le loro <i>playlist</i>. Il che è un
bene, intendiamoci, anche io di sicuro ascolto musica allo stesso modo.
Sicuramente se avessimo voluto farlo, avremmo già fornito con quel
contagocce almeno una dozzina di nuove tracce! Ma almeno per il momento
preferiamo attenerci al vecchio stile e tirar su un album completo dai
frammenti che stiamo creando, lasciando da parte le tracce che
avanzeranno magari per qualche occasione speciale.<br />
R: Sono d’accordo,
a volte è facile concentrarsi di più sul pubblicare qualsiasi cosa hai
sotto mano in un dato momento, piuttosto che cesellarla fino a sentire
che hai prodotto la migliore musica possibile. Mi sembra più importante
fare questo, e non stare a preoccuparmi di quando pubblicare la musica. A
volte una traccia richiede mesi di lavoro perché vada d’accordo con gli
altri brani, e ci sembra anche di star lavorando sempre più lentamente
man mano che passano gli anni. Ma alla fine, credo sia importante
produrre la musica che hai in mente e che vuoi ascoltare, e per me
questo ancora significa creare un album completo, ed è quello che
faremo.<br />
<br />
<i>Traduzione curata da Mauro Roma</i>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-7800646523636842262018-11-01T09:47:00.004-07:002018-11-01T09:47:53.820-07:00IsanC’è stato un tempo in cui l’elettronica in musica era un’etichetta ben definita. Tempi in cui artisti come <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/boardsofcanada.htm" target="_self">Boards Of Canada</a>
e tutto il giro intorno a etichette come n5md, Type Records, Morr Music
e Plug Research dominavano le copertine delle riviste di settore, anni
in cui un <i>pattern</i> di <i>drum machine</i> sovrapposto a un
accordo di chitarra o una partitura ambient avevano un’identità
universale. Erano suoni da cui trapelavano, oltre alla malinconia,
l’angoscia e il senso di smarrimento del nuovo millennio che stava per
arrivare, l’incertezza e la totale disillusione per il futuro. Con
modalità, esperienze, alterne fortune ed esiti differenti, da quel
periodo storico sono esplosi e scaturiti suoni eccitanti, emotivi ed
emozionanti.<br />
<br />
In questa storia che stiamo per raccontare i
protagonisti sono due e rientrano a pieno titolo in questa rivoluzione
musicale esplosa sul finire degli anni 90. Gli inglesi Antony Ryan e
Robin Saville fin da subito hanno dimostrato di possedere una magia in
grado di distinguerli da molta musica presente sul mercato in quel
periodo. Nelle loro composizioni si percepisce una genuinità parente
stretta della malinconia, un piacevole senso di smarrimento unito a un
riconoscibilissimo gusto per la melodia e al senso del ritmo. Trame
semplici, frastagliate e stratificate, mai eccedenti o casuali,
intorpidite e riflessive. Ed è forse per questi e per altri mille motivi
che il pluripremiato regista italiano Paolo Sorrentino - con il suo
sodale Pasquale Catalano - ha spesso scelto loro pezzi nelle colonne
sonore dei suoi film, ultimo “Fueled” - contenuto in <b>Lucky Cat</b> - proveniente dalla serie tv “<a href="http://www.ondacinema.it/serial/recensione/the_young_pope.html" target="_blank">The Young Pope</a>”.<br />
<br />
<img align="left" alt="livephoto_01" height="270" src="https://www.ondarock.it/ADMIN/upload_file/img_nl/livephoto_01.jpg" title="livephoto_01" width="220" />Il progetto inizia il suo percorso con uscite a tiratura ridotta come 7”, <i>split</i>, singoli ed Ep, raccolte fortunatamente in buona parte nella <i>compilation</i> <b>Clockwork Menagerie</b>. Dopo due <i>split</i> pubblicati a stretto giro (con Tin Foil Star aka <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2008_styrofoam.htm" target="_self" title="http://www.ondarock.it/recensioni/2008_styrofoam.htm">Styrofoam</a>
e Metrotone), arrivano due singoli intitolati "Dampen" e "Parochi/A
Gentle Man", entrambi del 1999. A tratti perfino più maturi e
strutturati dei brani presenti nell’album d’esordio, le due composizioni
– algide e poco melodiche - dimostrano una maturità in tema di
cesellatura timbrico ritmica davvero notevole, sublimata poi nella
flessuosa “Wistful Song For A Soaring Gull” – contenuta in <b>Dampen</b> – forse uno dei primi esempi veramente compiuti della loro formula sonora.<br />
<br />
Il primo album sulla lunga distanza arriva nel 1998 con <b>Beautronics</b>, pubblicato sulla sussidiaria della Rough Trade Tugboat Records – fondata dal <i>frontman</i> dei <a href="http://www.ondarock.it/rockedintorni/pianomagic.htm" target="_self">Piano Magic</a> <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2009_johnson.htm">Glen Johnson</a> - etichetta nel cui <i>roster</i> si annoverano nomi di grande rilievo come <a href="http://www.ondarock.it/rockedintorni/low.htm">Low</a>, <a href="http://www.ondarock.it/popmuzik/mum.htm">mùm</a> e <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2011_discoinferno.htm">Disco Inferno</a>. L’opera si snoda su sedici tracce ed è strutturata con brani principali e piccoli <i>sketch</i> della durata di circa un minuto con il suffisso “Tint”. <br />
Nonostante
vi siano germi di genialità (“Sublimation” è davvero magnifica) il
disco è troppo prolisso e decisamente frammentario. Le prime
sperimentazioni Idm danno risultati positivi senza strafare (l’iniziale
“Vosil”, il bel quadretto bucolico di “Paintchart”), mentre gli
intermezzi sono vere e proprie bozze (risaltano in particolare “Tint3” e
“Tint4”), altri episodi sono poco efficaci o embrionali (“Skeek”, “Iam
Twisq”). <br />
<b>Beautronics</b> dà l’idea di essere di un vero
e proprio “primo tentativo”, un buffo, quasi maldestro e ingenuo,
esordio, comunque fondamentale per capire da dove sono partiti Antony e
Robin. Nel 2013 Morr Music ristamperà l’album con l’aggiunta di quattro
nuove tracce (fra queste risalta “Spoonery”) e l’eliminazione di
“Sublimation”.<br />
<br />
L’anno successivo la band cambia ancora etichetta e approda alla Liquefaction Empire. In <b>Digitalis</b>
- a tutti gli effetti un mini-album - il suono continua a prendere
forma già dall’iniziale “Zip Left, Zip Right”, in cui si scorgono
strutture più compiute. Assalti un pochino più abrasivi (“‘Bean Sea”
ricorda gli <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/autechre.htm">Autechre</a>
più incisivi) lasciano spesso il posto a tiepide mini-suite (“M.Mouse”,
“Falling”), mentre composizioni un pelo più strutturate lasciano adito a
qualche curiosità ulteriore (“Dilly”, “Reno”). Conclude la bellissima
“Quink Like Ink”, con <i>sample</i> concreti a dare vivacità compositiva.<br />
<br />
<img align="left" alt="a6091134604650.jpeg" height="270" src="https://www.ondarock.it/ADMIN/upload_file/img_nl/a6091134604650.jpeg.jpg" title="a6091134604650.jpeg" width="220" />In un contesto di forte creatività, lo stile “Isan” viene a farsi più definito con <b>Salamander</b>, pubblicato pochi mesi dopo <b>Digitalis</b>
e primo approdo alla famosa etichetta berlinese Morr Music poi
diventata per il duo una vera “casa”. In contemporanea, quell’anno prese
corpo una tendenza nel mondo della musica elettronica il cui culmine si
raggiunse sia con la pubblicazione di “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/1998_boardsofcanada_musichastherighttochildren.htm">Music Has The Right To Children</a>” (in realtà rilasciato qualche mese prima, nel 1998) dei <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/boardsofcanada.htm">Boards Of Canada</a> (carriera poi esplosa con “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2002_boardsofcanada_geogaddi.htm">Geodaddi</a>” del 2002) e la contemporanea rilevanza dei capolavori degli <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/autechre.htm">Autechre</a>
di qualche anno addietro (nel 1999 in realtà fu pubblicato “LP 5”).
L’elettronica d’ascolto - sia esso più colto o “pop” - stava subendo
fortissimi rivoluzioni e il materiale prodotto, complice un’eccitante
frenesia e urgenza produttiva, era tantissimo. E fu lì che il sodalizio
dei Nostri riuscì a inserirsi, con un album in cui si scorgevano chiari
riferimenti alla tanto chiacchierata Idm (acronimo controverso ma tutto
sommato comprensibile), tastiere prossime all’ambient, oltre
all’incedere di certa electro che di lì a poco avrebbe spopolato in
chiavi decisamente mutevoli.<br />
Iniziando l’ascolto ci imbattiamo in
“Peg”: fra placidi tappeti di tastiere e innumerevoli strati di ritmi
sintetici, si inseriscono folate di disconnessioni e vari <i>glitch</i>, componendo la sonorizzazione educata per un <i>software</i>
in malfunzionamento. L’ascolto prosegue con gentili concessioni al lato
più ambient (“Proager”, “Lid Former”, “Twentyfive Thirtyone”) mentre
altre volte il ritmo si fa più presente con risultati davvero notevoli
(la <i>title track</i>, la scomposta “Happy Pet In A Car”, quasi in territorio <i>glitch</i>). Fra le tracce più significative troviamo “Still. Blue”, che fra delicatissimi tocchi di <i>drum machine</i>, campionamenti vocali e sapienti pennellate di tastiera addormenta l’atmosfera, rendendola flebile e ovattata. <br />
Sulle
stesse coordinate si attestano altre gemme (“Clipper”, le leggermente
screziate “Snot” e “Effekl”), mentre “Braille Foundry”, in
collaborazione con la band Charles Atlas - nella cui formazione si trova
anche un ex-componente dei <a href="http://www.ondarock.it/rockedintorni/pianomagic.htm">Piano Magic</a> - incanta con un bel sottofondo di chitarra acustica. <br />
Solo a tratti capace di tenere testa ai dischi successivi, <b>Salamander</b> offre un consistente antipasto poco prima del definitivo compimento artistico del progetto Isan.<br />
<br />
<img align="left" alt="9339c0f30cb14eb2b900280217cf2aed" height="270" src="https://www.ondarock.it/ADMIN/upload_file/img_nl/9339c0f30cb14eb2b900280217cf2aed.jpg" title="9339c0f30cb14eb2b900280217cf2aed" width="220" />Il momento arriva nel 2001 con <b>Lucky Cat</b>
e coincide con il picco d’ispirazione e di pubblico, probabilmente
allineato anche con il periodo di maggior splendore dell’etichetta di
Thomas Morr. Questo album si stampa nella cronologia dell’elettronica
moderna per il suo tocco cristallino, per un modo gentile ed educato di
entrare nelle orecchie dell’ascoltatore.<br />
La partenza è subito un
colpo difficile da metabolizzare, infatti “Cutlery Favours” è a pieno
diritto uno dei brani più belli mai pubblicati dal duo. La grana grossa
del synth dell’<i>incipit</i> viene dopo pochi secondi invasa da un
effluvio di bordate soniche e da uno sfarfallio che sa tanto di magia
quanto di mestizia, in una sinfonia che per cinque minuti lascia
letteralmente steso l’ascoltatore. <br />
I toni si ammorbidiscono con la
filastrocca “Table Of Deciduous Species”, tiepidamente screziata da un
ritmo scomposto e un da filo di sintetizzatore, sottile come le trame di
una ragnatela. Ed è quel ritmo che solca la bellissima e già citata
“Fueled” - conclusa con un intreccio di suoni che paiono i lamenti di
una stella - poi seguita da piccoli capolavori come “Recently In The
Sahara” e “What This Button Did” (un ipnotizzante susseguirsi di sbuffi e
squilli sintetici). <br />
L’album non perde un’oncia di efficacia e
incanto nemmeno nella parte centrale, alternando sognanti nenie
cibernetiche (“Anteaters Eat Ants”, “Kittenplan A”) ad altri episodi più
propriamente Idm (gli strati ritmici di “Read Again” e “Scraph”).
Spicca in questo frangente “Cathart” (già presente ne “<a href="http://www.ondacinema.it/film/recensione/amico_famiglia.html">L’amico di famiglia</a>”)
con il suo meraviglioso susseguirsi di melodie e singulti, brano
architettato in modo pressoché perfetto e ad alto tasso emotivo.<br />
L’album
sfuma fra rarefazioni sabbiose e crepuscolari (“Caddis”, “You Can Use
Bambolo As A Ruler”) lasciando una non bene definita sensazione
agrodolce. Quest’opera rimarrà uno dei più significativi esempi
dell’espressività della musica elettronica, capace con i soli suoni di
smuovere sensazioni inimmaginabili.<br />
<br />
A stretto giro con l’uscita di <b>Lucky Cat</b> troviamo un singolo e un Ep di inediti mai più ripescati. <b>Exquisite Honeyed Tart</b> – su Static Caravan – e <b>Salle d’Isan</b>
su Morr fanno insieme, almeno dal punto di vista numerico, praticamente
un altro album. Se nel primo troviamo prima una cupezza fuori dallo
standard Isan (la <i>title track</i>), per poi seguire con una
giocosità che non avrebbe sfigurato in alcun album (“Hugs Now, No Kisses
(Hugo’s Sleep)”), nel secondo siamo di fronte a un vero e proprio
mini-album. <b>Salle d’Isan</b> contiene infatti diverse gemme
meritevoli di essere riscoperte. Se “Days & Later” spinge la cassa
ai limiti di un battito techno gentile, “Bubbles8” e “Disruptive
Elephant” sono candite da una dolcezza di fondo ormai marchio
distintivo. “Fullen Brimm” fa sfoggio di un synth dalla grana grossa e
di un’atmosfera futuristica, mentre “Serene Driver” è una ninnananna
stellare, una delle migliori tracce mai pubblicate dal duo.<br />
<br />
Meno
di un anno dopo, viene pubblicato un altro tassello fondamentale nel
percorso artistico del duo. Nel 2002 la fidata Morr rilascia la raccolta
<b>Clockwork Menagerie</b>, composta da brani precedentemente
apparsi in Ep o singoli di difficile reperibilità. Qui si può ascoltare
in maniera sparsa tutta la creatività e il genio che risiede nell’arte
del sodalizio artistico della formazione inglese, se non la più alta
sublimazione della musica prodotta fino a quel momento. Sarà difficile
resistere a una miriade di stimoli sonori, a partire dall’ammaliante
incedere di “Betty’s Lament”, senza contare struggenti malinconie
pastorali (“Calf”, “Cubillo”), distorsioni elettriche (“Comb”,
“Autolung”) e l’ipnotico e angosciante andirivieni di voci della
magnifica “Remegio” (utilizzata ancora da Sorrentino nel film “<a href="http://www.ondacinema.it/film/recensione/conseguenze_dell_amore.html" target="_blank">Le conseguenze dell’amore</a>”). <br />
Facendo
scorrere le tracce, ci si rende conto di quanto sia ampio lo spettro di
influenze a cui i due musicisti hanno attinto nella loro carriera: un
vero appassionato, infatti, scorgerà le incursioni nella techno - seppur
sempre mitigate dalla solita compostezza di fondo - di episodi come
“Damil 85”, splendidamente impreziosita da un campionamento vocale. Il
lato più “ambient” e diluito mostra un aspetto più riflessivo (“Eeriel”,
“Ulim”, “Schema”) ma al contempo legato alle angosce della <a href="http://www.ondarock.it/speciali/krautrock.htm">kosmische musik</a> (“Titled, Not Tithed”). <br />
Nei restanti brani trovano posto suoni <i>electro</i>,
siano essi declinati su coordinate più acide (“Phoeb”, “Schema”),
giocose (la divertente “Rron”) o distese (il bel tiro di “Eusa’s Head”).
Siamo di fronte a una sorta di <i>summa</i> di stili, tendenze e
ondate elettroniche, che copre più di quindici anni di musica, il tutto
chiaramente filtrato dall’inconfondibile sensibilità di Robin e Antony.
L’uscita è impreziosita da un <i>artwork</i> di prim’ordine, curato come sempre da Jan Kruse, l’autore di quasi tutte le grafiche delle uscite su Morr Music degli Isan.<br />
<br />
Dimenticati nel marasma delle pubblicazioni discografiche, si collocano sempre nel 2002 due mini-split con <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2017-lalipuna-twowindows.htm">Lali Puna</a>
(pubblicato dalla bolognese Unhip Records) e Phonophani. Nel primo
disco il brano degli Isan non aggiunge nulla di significativo, mentre
nel caso di “My Soaring Heart” il tiepido lamento di una voce in
sottofondo mette insieme atmosfere piacevoli.<br />
<br />
<img align="left" alt="1797855807_86d7fb2261_b" height="270" src="https://www.ondarock.it/ADMIN/upload_file/img_nl/1797855807_86d7fb2261_b.jpg" title="1797855807_86d7fb2261_b" width="220" />A due anni di distanza arriva nel 2004 il quarto album di studio <b>Meet Next Life</b>,
che introduce nuovi elementi rispetto al già cospicuo campionario
sonoro fin qui proposto. In quegli anni erano di grande richiamo suoni
folktronici, e band come <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/books.htm">The Books</a> e <a href="http://www.ondarock.it/rockedintorni/tunng.htm">Tunng</a>
campeggiavano sulle copertine delle riviste musicali e nei principali
festival. Gli Isan con questa loro prova si accodano a quell’ondata con
l’introduzione di alcuni strumenti a corredo dell’elettronica. Come non
scorgere elementi di folktronica nell’incedere bucolico di “Birds Over
Barges”? E come rimanere indifferenti al tintinnio degli xilofoni di
“The Race To Be First Home”? <br />
L'elemento positivo è che tale
deviazione dallo stile originario (il basso di “Sat 73” è un’altra
divagazione interessante) è perfettamente funzionale e comunque solo
parziale. Infatti con tracce come “First Date - Jumble Sale”, “One Man
Abandon” o “Gurnard” sarà il puro stile-Isan a inondare le vostre
orecchie con carezzevoli fiocchi di <i>bit</i> e ritmi al rallentatore. <br />
Ad
alzare il tiro e dare una sferzata di tensione viene in soccorso la
stratificata “Gunnera”, che grazie a un nutrito intreccio di <i>layer</i>
sonori soddisfa pienamente, mentre l’autentico electro-pop di “Iron
Eyes” sorprende per come i musicisti riescano a padroneggiare ambiti a
cui non sono abituati. Da metà in poi, il disco prende quota con le
dolci pulsazioni di “Snowdrops And Phlox” e “Willory”, due vere e
proprie sonorizzazioni per foreste chiaroscurali. La parte conclusiva si
attesta su atmosfere piacevoli ma non sorprendenti (molto buona la <i>title track</i>, un po’ sottotono “Slow Bulb Slippage”). <br />
Nonostante siamo pur sempre al cospetto di un’uscita pienamente sufficiente, lo scarto fra <b>Meet Next Life</b> e un vero classico come <b>Lucky Cat</b>
si avverte, c’è meno empatia o come si suol dire “urgenza espressiva”,
anche se non mancano buone canzoni o momenti da ricordare. Possiamo
parlare a tutti gli effetti di un classico album interlocutorio.<br />
<br />
A margine dell’esperienza di <b>Meet Next Life</b> –
in cui per la prima volta viene sperimentato l’uso degli strumenti
acustici - meritano una citazione i due album solisti di Robin Saville <b>Peasgood Nonsuch</b> del 2008 pubblicato dalla Static Caravan e <b>Public Flowers</b> rilasciato da <a href="http://www.ondarock.it/news.php?&id=370">Second Language</a> cinque anni dopo nel 2013. Lo spostamento verso territori folktronici, addirittura con alcuni accenni alla <i>toy-tronica</i> degli <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2013_psapp_whatmakesusglow.htm">Psapp</a>,
è ancora più marcato e la presenza di alcune suite richiamanti
atmosfere modern-classical mostra la vastità dell’ispirazione
dell’artista inglese. Soprattutto il secondo album ha una grande
capacità di commistionare sensibilità acustica e trame elettroniche.
Sono due album da recuperare, vista anche la scarsa visibilità che hanno
ricevuto.<br />
<br />
Giunto nel 2006, in un periodo in cui l’ondata <i>indietronica</i> stava subendo un calo di vendite e ispirazione, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2006_isan.htm"><b>Plans Drawn In Pencil</b></a>
cerca di trovare nuove vie dopo le incertezze della precedente uscita.
L’unico modo per uscire da tale stallo era il ritorno alle origini di
una composizione totalmente elettronica che ha sempre contraddistinto il
duo inglese. Il disco prende il largo sin da subito con un trittico
davvero notevole, composto in principio dalle pulsioni bucoliche di
“Look And Yes”, proseguendo poi con il seducente synth di “Cinnabar”,
per poi finire con gli sbuffi pastorali di “Yttrium”.<br />
Tuttavia, con
il passare dei minuti incorrono svariate criticità in brani svuotati dal
pathos (“Ship”, “Corundum”, “Ruined Feathers”), poi dimenticate dai
pregi evidenziati sia nella languida e fluida “Roadrunner”, che dipinge
acquarelli dal fascino inconfondibile, sia quando ci si imbatte
nell’ambient ipnotica di “Immoral Architecture”. <br />
Il focus della
musica degli Isan sembra essersi spostato verso una visione più lucida e
meno emotiva della musica, animata da una passione più ragionata e meno
istintiva. Ciò non costituisce sempre un difetto, rimanendo intatto
l’indomito talento per le belle melodie (carezzevoli in “Amber Button”,
taglienti in “Five to Four, Ten to Eleven”). A non convincere è la
mancanza di un collante di fondo che tenga le basi di un disco coeso e
ben rifinito, la sensazione che si ha è quella di una serie di episodi
senza un’idea alla base, tutto ciò nonostante la dolcezza evocativa di
“Seven Mile Marker” e i pulviscoli glitch di “Working In Dust”. <br />
Alla
luce di questa parziale incertezza, appena dopo il rilascio del
discreto Ep "Trois Gymnopedies", il progetto Isan viene messo in pausa
per un periodo più lungo del solito.<br />
<br />
Dopo quattro anni è la volta di <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2010_isan.htm"><b>Glow In The Dark Safari Set</b></a>,
sesto album in studio (settimo, se contiamo il mini “Digitalis”), dove
in cinquanta minuti si tratteggia nuovamente una dimensione onirica e
aliena, sospesa tra tastiere giocattolo, omaggi più o meno espliciti ai <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/kraftwerk.htm">Kraftwerk </a>e
sapienti artifici Idm, il tutto dominato da un’estetica da modernariato
niente affatto stucchevole, anzi assai credibile rappresentazione di
quella che per gli Isan è tutto fuorché una propensione dettata dal
trend del momento. È un po’ il destino degli antesignani, quello di non
riuscire più a suscitare la dovuta attenzione al momento dell’esplosione
del “fenomeno”, così come quello di cominciare a disperdere parte della
spinta propulsiva iniziale proprio quando se ne potrebbero raccogliere i
meritati frutti.<br />
<br />
<img align="left" alt="51mo6ufwml" height="271" src="https://www.ondarock.it/ADMIN/upload_file/img_nl/51mo6ufwml.jpg" title="51mo6ufwml" width="220" />In questo senso, <b>Glow In The Dark Safari Set</b>
non può certo definirsi un album “che arriva troppo tardi”, poiché, ad
esempio, quando pigia il piede sull’acceleratore delle avvolgenti derive
cosmiche, mostra di avere ben poco da invidiare alla celebrata
emotività sintetica degli <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2010_oneohtrixpointnever.htm">Oneohtrix Point Never</a>;
tuttavia, superate le carezze della miriade di suoni sguscianti tra
sibili, crepitii e pulsazioni, il disco scorre via ordinato negli
accurati ceselli melodici, ma i suoi brani faticano a lasciare
un'impronta ulteriore rispetto a quelle delle cangianti modulazioni
analogiche o delle saltuarie incursioni ritmiche.<br />
Se infatti
l’abbraccio liquido dell’iniziale “Channel Ten” viene tradotto in
versione vagamente acida da “The Axle” e i battiti Idm di “Grisette” e
“Catgot” scompaginano appena un po’ le divertite linee-guida retrò del
lavoro, la sua seconda metà risente di una certa stanchezza, percepibile
in particolare lungo gli oltre nove minuti di “64 Fire Damage” e nella
iterativa immersione cosmica di “Slurs And Slowly”. Unico spunto
significativo, in questa parte, restano i vocalizzi della conclusiva
“East Side V34”, che paiono chiudere il cerchio retrofuturista gettando
un ponte verso gli <a href="http://www.ondarock.it/popmuzik/stereolab.htm">Stereolab</a> più eterei.<br />
Realizzato
e compilato con il solito buon mestiere, l’album rappresenta una nuova
testimonianza della perdurante vitalità del duo inglese, un disco che
appaga parzialmente, ma non intacca di una virgola la classe del duo. A
seguito di questo album, e ad eccezione della pubblicazione dell’Ep
“Discette” nel 2012, la coppia inglese torna in un silenzio discografico
lungo sei anni.<br />
<br />
Nell’agosto del 2016 appare sulla pagina Facebook ufficiale la foto di un nuovo <i>artwork</i>
senza alcun messaggio di accompagnamento. In realtà si tratta
dell’annuncio di un nuovo lavoro poi pubblicato ufficialmente il 14
ottobre dello stesso anno. L’attesa è tanta perché, nonostante tutti
sapessero che non c’era aria di scioglimento, nuove canzoni tardavano ad
arrivare. <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016_isan_glassbirdmovement.htm"><b>Glass Bird Movement</b></a>
rievoca tutte le migliori caratteristiche della musica del duo:
atmosfere ovattate, ritmi appena abbozzati, litanie ambient fra il
malinconico e il crepuscolare, tante melodie, semplici ma bellissime. <br />
Il
risultato è di sicuro interesse, la riproposizione di quell’ambient non
troppo estatica ma fresca e movimentata, dona nuova linfa dopo alcune
incertezze sulla direzione da prendere. In queste undici canzoni
ritroviamo soffici intrecci <i>electro-pop</i> (i <i>loop</i> della <i>title track</i>,
l’empatia Idm di “Parley Glove” e “Slow Rings”), bozze ritmiche
tendenti all’ambient (“Lace Murex”, la quasi impalpabile “Linnaues”),
episodi più legati alla natura <i>electro</i> di questa musica
(“Napier Deltic”, “Rattling Downhill”), il tutto condensato e cementato
da una sensibilità timbrica e melodica fuori dal comune, un senso del
suono che lascia incantati e sbalorditi.<br />
Manifesto dell’opera e miglior episodio è “Risefallsleep”, una sorta di <i>emo-electro-ambient</i> in cui i synth in sottofondo pennellano un giro strappalacrime, mostrando forti affinità con un altro capolavoro come “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=bq0qET2a4VY">Cutlery Favours</a>“. <br />
<br />
Alla
luce dei risultati di questa ultima uscita, i sei anni di pausa non
sono certo passati invano. Ed è con questi suoni che finisce, almeno per
ora, il racconto della carriera di un duo che ha segnato senza farsi
notare un’intera stagione di musica elettronica, proponendo nuove
soluzioni con garbo e un indistinguibile stile compositivo.<br />
<br />
<span style="font-size: x-small;"><i>Contributi di Raffaello Russo ("Glow In The Dark Safari Set")</i></span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-77166815633839858542018-11-01T09:47:00.001-07:002018-11-01T09:49:46.679-07:00Love Calò + Isan 19/10/2018 @ Outer Festival, Castelfranco Emilia<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.ondarock.it/images/livereport/8_1541087043.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="350" height="320" src="https://www.ondarock.it/images/livereport/8_1541087043.jpeg" width="248" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
In una nebbiosa serata di
fine ottobre, torna per la terza volta l'appuntamento dell'Outer
Festival in quel di Castelfranco Emilia. L'edizione 2018 di questo
piccolo ma significativo appuntamento per gli appassionati di certi
suoni alieni, propone in cartellone oltre al duo inglese <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/isan.htm">Isan</a>, David Calà <i>aka</i>
Love Calò, DJ e producer italiano già autore di ottime cose (da
recuperare “Fashion Victims” a nome And), Indian Wells e il duo
electro-pop francese <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_zombiezombie_rituels.htm">Zombie Zombie</a>. Il tutto ospitato nella splendida Chiesa di San Giacomo Apostolo e nell'adiacente Teatro Dadà.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La serata che andremo a raccontare ospita in primis l'italiano David Calò impegnato in un <i>dj-set</i>.
I suoni da lui proposti spaziano in maniera decisamente efficace fra
virtuosismi electro-techno e certi tribalismi di grande impatto, il
tutto supportato da <i>visual</i> evocativi. La sua esibizione di
circa quaranta minuti non disdegna elevate impennate di ritmo mixando
sapientemente i cambi di disco e le variazioni di suono attuate “live”
con un risultato che ha ricreato, all'interno del contesto chiesastico,
un'atmosfera davvero ammaliante. La natura ibrida della sua vena
musicale, divisa fra il <i>djing</i> e la produzione, viene tutta fuori mostrando un'ottima creatività nel creare e miscelare suoni.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Salgono successivamente sul palco Antony Ryan e Robin Saville nel loro ormai famoso setup scenico con luci, due <i>laptop</i>,
alcune tastiere ed altre strumentazioni sonore fra cui possiamo
annoverare dei MIDI controllers ed alcuni campionatori. Il loro suono
culla dolcemente pure dal vivo, capaci come sono a creare un'intimità
sognante ed onirica. Con picchi quali “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=C3ArO4-lP8g" target="_blank">Remegio</a>”, tutta flussi vocali ipnotizzanti e <i>beat</i>,
gli Isan propongono uno show imperniato attorno a suoni ovattati,
ciclici, pungenti e al contempo gentili. La particolarità del loro modo
di lavorare sui live risiede nella preparazione. La filosofia della
collaborazione fra Antony e Robin ha come perno la separazione dei ruoli
e la distanza. A differenza di molti altri artisti, gli Isan non
provano prima dei live - ad eccezione di veloci <i>setup</i> in
albergo la sera stesso dell'evento - né si incontrano diversi giorni
prima per decidere come proporre la loro musica. L'improvvisazione,
unita ad una fiducia reciproca e ad un istinto che si matura dopo
vent'anni di collaborazione, gioca un ruolo fondamentale e dal suono
prodotto si nota tantissimo, sopratutto alla luce di come vengono
modificati e stravolti i pezzi rispetto al disco.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Come mostrato nel loro ritorno dopo sei anni di assenza “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016_isan_glassbirdmovement.htm">Glass Bird Movement</a>”,
la loro vena creativa è tutt'altro che svanita e mostra quanto il loro
stile sia di fondamentale importanza per la scena elettronica, in quanto
il loro modo di fare musica è davvero unico anche dal vivo. In una
performance scarsamente generosa in termini di durata (intorno all'ora),
tutte le qualità ampiamente mostrate in vent'anni di carriera vengono
messe in pratica, frullando con tatto <i>electro</i>, Idm, ambient ed indietronica. Li aspettiamo presto nel nuovo album recentemente dichiarato in lavorazionein una recente <a href="http://www.ondarock.it/interviste/isan.htm">intervista</a>.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Nonostante
l'entità ristretta di un evento così riservato a pochi appassionati, è
da plaudire l'organizzazione per aver attirato suoni di un certo tipo
fronteggiando colossi come il Robot Festival. Queste realtà non meritano
altro se non tanta pubblicità.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-48618184761186020902018-01-02T00:42:00.003-08:002018-01-02T00:42:44.198-08:00Nathan Fake: "Providence" (Ninja Tune, 2017)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAhSb86UC_YHMMK29_moXxFp5dr5ERA_zDCoLz7l3nxpYT1FDkgs94ODhyphenhyphenTkO_4jRDnrvUv2iQmnmXSd9pEk0PCYvuxW_MwRAJYXg82ivkn4faKHlC4ag-3IINsP_d0CgZ9z-S2WRpM4c/s1600/nathan_fake_1514817264.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="252" data-original-width="252" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAhSb86UC_YHMMK29_moXxFp5dr5ERA_zDCoLz7l3nxpYT1FDkgs94ODhyphenhyphenTkO_4jRDnrvUv2iQmnmXSd9pEk0PCYvuxW_MwRAJYXg82ivkn4faKHlC4ag-3IINsP_d0CgZ9z-S2WRpM4c/s1600/nathan_fake_1514817264.jpg" /></a></div>
Con alle spalle un clamore adolescenziale di un certo rilievo e forte di
un talento assai consolidato, il britannico nativo di Norfolk <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_nathanfake_steamdays.htm">Nathan Fake</a> giunse al terzo album “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_nathanfake_steamdays.htm">Steam Days</a>” nel 2012 - dopo due successi di pubblico e critica come “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2006_fake.htm">Drowning In A Sea Of Love</a>” e “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2009_fake.htm">Hard Islands</a>”
- con tutte le carte in regola per diventare uno degli artisti di
settore più quotati. Come già accaduto diverse volte nella storia della
musica, è proprio quando si è pronti a spiccare il volo che le cose si
rompono, svaniscono, sfumano.<br /><br />Come dichiarato in alcune
interviste rilasciate durante la presentazione del nuovo “Providence”,
la ragione di questo silenzio durato ben cinque anni è stata un drastico
calo di ispirazione. I suoni non volevano uscire fuori, le cose non
giravano e dunque il ragazzo decise di trasferirsi da Londra a Norwich
per trovare nuovi stimoli. Complice l'acquisto istintivo del <em>synth</em>
Korg Prophecy, un oggetto vintage di metà anni 90, il ragazzo inizia
nuovamente a comporre e si accasa alla Ninja Tune dopo anni di militanza
nella Border Community del fido compagno <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2017-jamesholdenandtheanimalspirits-theanimalspirits.htm">James Holden</a>.<br /><br />Il
risultato di questo sforzo in un periodo di buio totale è un'opera in
perfetta linea con la carriera fin qui tratteggiata dall'autore di
“Outhouse”. Un perfetto connubio fra musica ambient, techno, <em>electro</em> ed <em>IDM</em> con frequenti ondeggiamenti verso il <em>noise</em>, la dance e la musica sperimentale. Come dimostrato in un <a href="http://www.ondarock.it/livereport/2017-nathanfake.htm"><em>live</em></a>
di qualche mese fa in quel di Bologna, il ragazzo ha dentro di sé la
voglia di proporre una musica mai troppo estrema né da un lato né
dall'altro, equilibrando perfettamente ogni elemento della sua arte. <br /><br />“Provicence”
infatti vive fasi alterne, con un inizio sparato a mille con velocità
urbane e molto poco meditative dove la magnifica <em>title-track</em> e gli otto minuti di follie sonore – composta in collaborazione con <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2017-prurient-rainbowmirror.htm">Prurient</a>
- di “DEGREELESSNESS” trovano la massima espressione, sfumando poi
verso un ambient trasfigurata e malata con pezzi come “CONNECTIVITY” -
colma di <em>synth</em> impazziti – e l'autentica gemma “RVK”, una sorta
di tritacarne sonoro in cui sentiamo la voce di Raphaelle
Standell-Preston, frontman di <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2015_braids_deepintheiris.htm">Braids</a> e <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2013_bluehawaii_untogether.htm">Blue Hawaii</a>.
Nella foga di voler sperimentare ed usare il nuovo strumento, Fake
pecca di qualche ingenuità autoreferenziale, mostrando il fianco ad
episodi interlocutori (“REMAIN” e “feelings 2”), non pregiudicando
l'efficacia dell'album che naviga su livelli di assoluta eccellenza (le
flessioni plastiche di “The Equator & I”, la rilucente
“HoursDaysMonthsSeasons”). <br /><br />Per chi aspettava qualche nuovo
segnale dall'enfant prodige di Norfolk o anche solo chi ha bisogno di
nuova linfa nell'ambito della musica elettronica, avrà (ri)trovato in
Fake un bacino a cui attingere con grande soddisfazione. Lo smisurato
talento di questo trentaquattrenne non può e non deve naufragare in un
nulla di fatto, la musica ha bisogno di lui.<br />
<br />
<span style="font-size: large;"><b>(7)</b></span><br />
<br />
recensione di Alessandro Biancalana Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-35214252917508640932017-12-21T05:22:00.000-08:002017-12-21T05:22:29.801-08:00Lusine: "Sensorimotor" (Ghostly International, 2017)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiowR6dppy4ZruCdZJ8hQKPIc_tvoLUJWFj40Gr-WTXc9H-ZqJMVx8l6X-tULt2BwyxRPi3kAJZIvtyMbkeF8KtVxUbVoA58Npq_M4kaY9dwmjgHvZVWENFMF4BnCnlhYyHrk55qIjuDe0/s1600/lusine_1513854846.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="252" data-original-width="252" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiowR6dppy4ZruCdZJ8hQKPIc_tvoLUJWFj40Gr-WTXc9H-ZqJMVx8l6X-tULt2BwyxRPi3kAJZIvtyMbkeF8KtVxUbVoA58Npq_M4kaY9dwmjgHvZVWENFMF4BnCnlhYyHrk55qIjuDe0/s1600/lusine_1513854846.jpg" /></a></div>
A distanza di quattro anni dall'ottimo "<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2013_lusine_thewaitingroom.htm">The Waiting Room</a>",
Jeff McIlwain continua la sua esplorazione in ambiti elettronici in
maniera coerente e proficua pubblicando "Sensorimotor". Frullando <i>house-pop</i>, IDM ed <i>electro</i>, l'artista, anche grazie alla non trascurabile prolificità, ha tragettato certa <i>british techno</i> verso l'house e il pop, in una percorso personale e fortemente identitario a distanza di quasi due decenni dagli esordi.<br />
<br />
Il
suo nuovo album si tinge di sfumature house e synth-pop, mostrando i
muscoli quando serve ed usando la leggerezza e il candore di un vero
artigiano. Continuando a collaborare con la moglie Sarah e la talentuosa
vocalist Vilja Larjosto, McIlwain fa ancora centro con strumentali dal
grande fascino <i>electro-techno</i> (affascinanti i clangori di "Slow
Motions"), episodi evocativi e dal richiamo ambient (i flebili suoni di
"Canopy"), mantenendo una certa appetibilità con i singoli pop, come al
solito molto <i>catchy</i> ed orecchiabili (splendida "Ticking
Hands", calda ed avvolgente "Just A Cloud"). La scorrevolezza degli
album di Lusine, compreso questo "Sensorimotor", nascondono
un'eterogeneità calcolata ed istintiva al tempo stesso, dove una forte
predisposizione all'equilibrio e alla misura viene incontro alla
capacità di emozionare. Questa sensazione è percepita ascoltando il
piacevole alternarsi di vari umori e suoni, temperature, melodie e
durate. Se dopo la già citata "Just A Cloud", synth-pop arioso e
ficcantissimo, troviamo le flessioni <i>electro</i> di "The Level" – tutta progressioni di <i>synth</i> e <i>layer</i>
sonori mutanti – ed ogni cosa ci sembra perfettamente al suo posto, è
segno che l'artista ha fatto un lavoro di livello assoluto. <br />
<br />
Poco
dopo, nel caso in cui vi possa sembra questo un album di passagio o
solo vagamente transitorio, potrete trovare le disturbanti membrane
vocali di "Witness"- pezzo arrangiato e cantato da <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016_benoitpioulard_listeningmatter.htm">Benoit Pioulard</a>
-, le quali, fluttuando da un canale audio all'altro, disturbano
incantando con malizia. Brano di qualità altissima e pregiata, un
perfetto incrocio fra <i>techno-pop</i> e sperimentazione vocale. Sulla falsariga di questa scia melliflua – solo leggermente più speziata – troviamo gli <i>stop&go</i> che sanno molto di <i>2step</i>
britannica nella sinuosa "Won't Forget", poco dopo seguita dalla coda
finale dell'album composta da tre strumentali degni dei migliori <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2014_gusgus_mexico.htm">Gus Gus</a>.<br />
<br />
Jeff
McIlwain, artista emotivo e calcolatore in parti eguali, mette in
mostra tutte le sue qualità in un album corposo, ben rifinito e conciso
al punto giusto. Il suo gusto finissimo e totalizzante rende appetibile
la musica che produce ad un'ampia schiera di ascoltatori, dando agio a
chi ama il pop o l'elettronica più fisica di goderee appieno senza mezze
misure.<br />
<br />
<span style="font-size: large;"><b>(7,5)</b></span><br />
<br />
recensione di Alessandro Biancalana Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-739831787709086602017-11-26T10:45:00.002-08:002017-11-26T11:01:10.168-08:00Ofeliadorme + Telefon Tel Aviv, 22/11/2017 @ Bologna, Locomitv<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxoSsQFy4ZYhanh-RU-_bhMrlV76cqE06vwicHyFOBra6LwwVNwsfUkex5rIQvAnV3twtUyGDb9NzHG8TnITpsjs2bzRu-3NbnKBWPkOStk_EpvSf3tQ103j6fzNcyq5caF26Ejr8bYlY/s1600/foto_1_1511720155.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="350" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjxoSsQFy4ZYhanh-RU-_bhMrlV76cqE06vwicHyFOBra6LwwVNwsfUkex5rIQvAnV3twtUyGDb9NzHG8TnITpsjs2bzRu-3NbnKBWPkOStk_EpvSf3tQ103j6fzNcyq5caF26Ejr8bYlY/s320/foto_1_1511720155.jpg" width="248" /></a>Sono grandi le emozioni che colgono gli appassionati quando giunge il
momento di riabbracciare personaggi e sensazioni ritenuti quasi perduti.
Il progetto <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/telefontelaviv.htm">Telefon Tel Aviv</a> oltre ad essere uno di questi casi racchiude tutte le caratteristiche di una vera e propria storia da raccontare.<br /><br />La
coppia Joshua Eustis e Charles Cooper, dopo tre album uno più bello
dell'altro e un carico di aspettative e talento sulle spalle, si accinge
nel 2009 a lanciare il bellissimo “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2009_telefontelaviv.htm">Immolate Yourself</a>”
con un tour in tutto il mondo. A pochi giorni di distanza, sul finire
dell'anno, arriva la doccia fredda: Charlie Cooper muore in circostanze
misteriose, il gruppo immediatamente congelato, tour completato con un
sostituto e carriera troncata. Questa brusca interruzione di un percorso
che poteva seriamente diventare trionfale, mette in forte crisi la
motivazione artistica del compare Joshua Eustis il quale decide di
dedicarsi ad altro per non pensare.<br /><br />Negli anni che lo dividono
dall'attimo in cui decide di riprendere in mano il suo passato,
l'americano calca i palchi spalla a spalla con band come <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2007_puscifer.htm">Puscifer</a>, <a href="http://www.ondarock.it/dark/nineinchnails.htm">Nine Ninch Nails</a>,
The Black Queen, oltre ad avviare i progetti elettronici Second Woman e
Sons Of Magdalene. Nel 2016 si accende la classica scintilla che fa
tornare le motivazioni per riprendere in mano un discorso irrisolto e
per cui fiumi di parole si erano spesi. Nuovo pezzo, tour in tutta
Europa – fra cui alcune date di supporto ai <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016_moderat_III.htm">Moderat</a> - e tanta voglia di sorprendere ancora.<br /><br />Ed
è con questa aura di mitologia che la serata viene percepita con grande
interesse da parte di tutto il pubblico del Locomotiv, il quale fluisce
con il passare delle ore sempre più numeroso. Ad accogliere e scaldare
le orecchie degli astanti ci pensano i bolognesi <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2017-ofeliadorme-secretfires.htm">Ofeliadorme</a>.
Nonostante un bilanciamento dei suoni poco favorevole alla bella voce
di Francesca Bono – purtroppo troppo impastata e confusa la resa finale
-, la band si muove agilmente e con efficacia mirabile fra <em>dark-rock</em>, sintesi wave e accenni <em>minimal-synth</em>.
Davvero di grande impatto pezzi come “Birch”, “Body Prayer” e “My
Soldiers”, sinuose e guidate da rasoiate di sibilante elettronica, <em>pattern</em> ritmici incessanti e una voce che ricorda l'impeto di <a href="http://www.ondarock.it/dark/siouxsiesioux.htm">Siouxsie</a>. Da seguire ed ascoltare, partendo dal nuovissimo “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2017-ofeliadorme-secretfires.htm">Secret Fires</a>”.<br /><br />Il tempo di un veloce cambio palco ed è l'ora di Joshua Eustis, il quale inizia il suo <em>show</em>
pestando di brutto con nuovo materiale fatto di grovigli IDM fittissimi
e molto movimentati, gettando dei grossi dubbi sull'entità del disco
che avrà luce molto probabilmente nel 2018, il quale, su stessa
ammissione del suo autore, sarà più scuro, arrabbiato e cattivo rispetto
al suono ovattato e quasi confortevole dei lavori precedenti. A
testimoniare ciò arriva l'esecuzione del nuovo pezzo “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=-lQqP5c5028" target="_blank">Something Akin To Lust</a>”, una tetra staffilata <em>electro-dark</em> decisamente distante dai suoni abitualmente ascoltati nei dischi dei Telefon Tel Aviv.<br /><br />L'oretta
scarsa messa in scena da Eustis da l'impressione di essere una sorta di
spettacolo preparatorio ed esplorativo più che un vero e proprio
concerto, d'altronde – come si può ascoltare in una recente intervista
per un'emittente felsinea – lui stesso prima di riprendere seriamente in
mano il marchio ha voluto testare l'impatto sul pubblico del materiale
che aveva intenzione di produrre.<br /><br />Sul finire dell'esibizione, ci
pensano le prime note di “The Birds” a scaldare i cuori dei nostalgici, a
cui non si possono non dedicare alcune lacrime, oltre ad un altro
classico come “You Are Worst Thing In The World”, una tambureggiante e
magnifica ballata <em>electro/dance</em> dal sapore agrodolce.<br /><br />Ed è la bellezza di questa musica che trascende la realtà del <em>live</em>
e fa pensare a quanto il duo poteva essere e non è mai stato per colpa
di una tragica disgrazia, generando frustrazione ma dando la speranza
che nonostante tutto non è ancora il momento di mettere fine ad uno dei
progetti elettronici più interessanti del nuovo millennio
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-5807258358743167142017-11-19T08:42:00.002-08:002017-11-26T10:45:51.506-08:00Manitoba + Lali Puna, 17/11/2017 @ Bologna, Locomotiv<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGp_-ys0hT4lWc6DVmmhjujf4pG9w53dVmr19A2BuUwNMhS7xiCYjNyFMaB_PPRgS1tylDwJHbNvlHrDHVzsFeWlCS9wqypRNMKDDwiaHx_HbWtHMrYiYqrWSmlXjwjP5XXULB1oylnFE/s1600/foto_1_1511108409.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="350" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhGp_-ys0hT4lWc6DVmmhjujf4pG9w53dVmr19A2BuUwNMhS7xiCYjNyFMaB_PPRgS1tylDwJHbNvlHrDHVzsFeWlCS9wqypRNMKDDwiaHx_HbWtHMrYiYqrWSmlXjwjP5XXULB1oylnFE/s320/foto_1_1511108409.jpg" width="248" /></a></div>
Per suggellare un autunno di concerti imperdibili, il Locomotiv di via Sebastiano Serlio propone, dopo eventi imperdibili come <a href="http://www.ondarock.it/livereport/2017-lamb.htm">Lamb</a> e <a href="http://www.ondarock.it/dark/zolajesus.htm">Zola Jesus</a>, il ritorno sui palchi dei <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2010_lalipuna.htm">Lali Puna</a>, con alle spalle un recente ritorno discografico intitolato “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2017-lalipuna-twowindows.htm">Two Windows</a>”
e a distanza di sette anni dall'ultimo live bolognese proprio al
Locomotiv. Le fisiologiche incertezze dell'uscita discografica rendono
questi live un banco di prova importante per una band che dopo
un'ennesima pausa tenta di riaffacciarsi sul mercato discografico con
qualche punto interrogativo.<br />
<br />
Ad aprire la serata ci pensano gli
italiani Manitoba, band nostrana nata nel 2015 grazie al sodalizio
artistico fra Giorgia Rossi Monti e Filippo Santini, poi aiutati dal
produttore Samuele Cangi, responsabile della svolta <i>alt-electro-rock</i> della band. Sulla falsariga di certe alterazioni fra indie-rock ed <i>electro</i>, il trio sul palco non eccelle ma nemmeno demerita, mostrando una <i>frontman</i> femminile molto capace a tenere il palco ed un chitarrista di grande talento. Purtroppo i <i>pattern</i>
elettronici a tratti paiono un po' ingessati e poco funzionali al suono
complessivo. Chiaramente l'idea di smarcarsi dallo stilema del duo
acustico è lodevole, tuttavia senza uno studio attento dell'integrazione
fra due componenti molto differenti, si rischia di ottenere un qualcosa
che è solo una via di mezzo fra vero cantautorato rock ed <i>electro</i>. Alla base di ciò però ci sono canzoni molto valide, fra tutte la bella “Glaciale”.<br />
<br />
Quando
salgono sul palco i Lali Puna la domanda più grande è: il chitarrista
dov'è? Si sapeva che già da tempo fra Valerie Trebeljahr e <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016-rayon-abeatofsilence.htm">Markus Acher</a>
non correvano più buone acque nonostante il matrimonio e un'unione
artistica durata quasi vent'anni, tuttavia ci si aspettava che la band
fosse corsa ai ripari rimpiazzando il leader dei <a href="http://www.ondarock.it/popmuzik/notwist.htm">Notwist</a> con un altro componente, quantomeno nelle esibizioni <i>live</i>.
Così non è stato fatto ed inevitabilmente la performance ne ha
risentito. Nonostante la formazione tedesca faccia dell'elettronica la
sua componente fondamentale, è sotto gli occhi di tutti come molta della
musica proposta da Valerie e soci abbia nella chitarra uno strumento
fondamentale. Ascoltare i <i>pattern</i> di chitarra preregistrati o addirittura simulati con il <i>synth</i> (come nella conclusiva “Faking The Books”), fa storcere la bocca non poco oltre all'atavico problema dei <i>live</i> dei Lali Puna della voce di Valerie che difficilmente esce fuori al cospetto dell'intricato reticolo di suoni.<br />
<br />
Nonostante
questi problemi di assetto ed equalizzazione, i Lali Puna sono sempre
loro ed in grande salute. Le emozioni salgono alle stelle quando
l'attacco di “Scary World Theory” fa capolino, mentre la magnifica “Deep
Dream” si conferma uno dei migliori pezzi della band, insieme a
classici intramontabili come “Left Handed”, “Small Thing”, “Bi-Pet” e
“Micronomic”. Ignorato con grande rammarico “Tridecoder”, viene dato
ampio spazio all'ultimo album con il pezzo omonimo, “Wonderland”, “The
Bucket” e “The Frame”, confermando la non totale riuscita dell'ultima
uscita. Come già analizzato in sede di recensione, secondo il modesto
parere di chi scrive, il trio berlinese ha nelle mani una carriera
ancora non del tutto relegata all'esecuzione dei grandi classici del
passato, bensì proiettata al futuro, come ben testimonia il picco di
efficacia del <i>live</i> appena commentato proprio coincidente con
“Deep Dream”. Sarà solo il tempo a dirci se Valerie e soci sono pronti
per diventare grandi una seconda volta.
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-24052088594003617362017-11-15T09:28:00.006-08:002017-11-26T10:46:11.046-08:00HÅN + Lamb, 09/11/2017 @ Bologna, Locomotiv<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhddzqFXMXMdy2PDFYcloHhY8fsjO6ypZ42Qq03lsVH_DHu6ZNfSeJZsajH6ZaaCruYyhh98CUQ9pR79h5Gm99vv9mVPgP15GYZO6S5Nx2PNMPhUryhy2jQddqREKSexBBqKo4jFqPCsQ4/s1600/foto_1_1510765186.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="446" data-original-width="350" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhddzqFXMXMdy2PDFYcloHhY8fsjO6ypZ42Qq03lsVH_DHu6ZNfSeJZsajH6ZaaCruYyhh98CUQ9pR79h5Gm99vv9mVPgP15GYZO6S5Nx2PNMPhUryhy2jQddqREKSexBBqKo4jFqPCsQ4/s320/foto_1_1510765186.jpg" width="251" /></a></div>
A distanza di più di vent'anni dagli esordi (l'album omonimo è infatti
del 1996) e dopo un pausa durata cinque anni – periodo in cui Lou Rhodes
si dedica alla carriera solista – i <a href="http://www.ondarock.it/popmuzik/lamb.htm">Lamb</a> tornano sui palchi di tutta Europa con una folta serie di concerti. Dopo “5” del 2011 e l'ottimo “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2014_lamb_backspaceunwind.htm">Backspace Unwind</a>”
di tre anni fa, il duo di Manchester dimostra di voler far sul serio,
dando sostanza ad un ritorno che non è mera riesumazione ma volontà di
produrre nuovo materiale ed andare in tour costantemente. Il Locomotiv,
come sempre sensibile a tali eventi, accoglie Andrew Barlow e Lou Rhodes
in una serata autunnale, ed è fin da subito il pubblico delle grandi
occasioni ad accogliere la band. <br />
<br />
In preparazione del live
principale, si accomodano sul palco gli italiani HÅN, progetto della
giovanissima Giulia Fontana. Confessando la totale estraneità
all'esistenza di questo solo <i>project</i> prima di questo live, per chi scrive il suono si attesta su un prezioso connubio fra i candori <i>post-pop</i> degli <a href="http://www.ondarock.it/popmuzik/xx.htm">XX</a>
e certe tentazioni post-rock misti ad elettronica. Nonostante ad
un'attenta analisi si noti una certa approssimazione nell'esecuzione dal
vivo delle canzoni, è indubbia – anche dando un ascolto ai pezzi su
disco – la qualità di fondo che ispira questa ragazza ed il suo compare.
Belli i suoni e la voce, da rivalutare ed ascoltare in futuro.<br />
<br />
Andy
Barlow e Lou Rhodes si presentano sul palco dopo il tempo del cambio
palco ed è subito una grande emozione. La teatralità del vestito e
relativo copricapo con cui la Rhodes si accomoda al centro del
palcoscenico ricorda la delicatezza dei primi videoclip (vedi “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=tSRYvYN1ayw" target="_blank">Gorecki</a>” o la stessa “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=4oLp8CocUAY" target="_blank">Gabriel</a>”), mentre Barlow si mostra più un animale da <i>djset</i>
con canottiera e urli di incitamento. Ed è proprio questa discrasia fra
due anime all'apparenza opposte ad aver animato una musica enormemente
complessa e significativa. Riascoltando adesso pezzi del passato risalta
sempre più quanto la musica dei Lamb sia stata un perfetto crocevia
degli anni 90, raccogliendo l'ondata trip-hop, non limitandosi a
cavalcarla ma storpiandola con <i>breakbeat</i>, <i>drum'n'bass</i>, inflessioni folk e un'innata anima pop. Tutte queste considerazioni, solo all'apparenza ovvie, sono confermate da un <i>live</i> che raccoglie ogni singola ispirazione e la mette in pratica.<br />
<br />
La
formazione è composta oltre al duo sopracitato, da un capacissimo e
poliedrico batterista danese, da una violinista, un contrabassista
(fantastico il suo strumento in legno!) e da un trombettista. Questa
folta schiera di musicisti permette all'esibizione, la quale sfiora le
due ore di durata, di spaziare fra momenti più concitati e ballabili,
sospensioni strumentali e soffici episodi in cui la voce femminile la
può fare da padrone, fra cui chiaramente svetta la magnifica “Gabriel”.
Dando spazio a tracce mai eseguite dal vivo proveniente dal primo disco
omonimo, l'esibizione tocca vette di eccellenza e sorprende per la resa
sonora, in cui risalta la purezza della voce della Rhodes e le
straordinarie capacità da produttore e musicista di Barlow il quale
suona dal vivo praticamente tutto, dalle tastiere, al campionamento
della voce fino agli effetti dei vari strumenti. Non manca davvero
niente e risulta soddisfatto il fan accanito e l'avventore casuale in
cerca di nuovi stimoli sonori.<br />
<br />
Come congiunzione fra passato e
futuro c'è il nuovissimo singolo “Illumina”, apripista per un un
eventuale nuovo disco e posto a conclusione della serata, che prosegue
le tentazioni <i>electro-pop</i>, dando spazio al lato più movimentato
senza mostrare stanchezza o banalità. Ed è qui che il concerto termina
con la speranza e la promessa che non sia assolutamente finita qui la
carriera di una della più importanti band dell'ondata trip-hop.
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-42483341360875241012017-10-09T06:07:00.002-07:002017-10-10T01:39:33.313-07:00Susanne Sundfør: "Music For People In Trouble" (Bella Union, 2017)<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhK8gThF_MhLqE9mW55vA3rxfYYoTcFMzZ6fMSxLBkk6nNYNo09_FGDj2exCq29UGxDVonV4OkrzAKH4djkEYJgsPYlMJT26glKN62B3_CYTsKiU1aTGJrvRJrXNIPGoO3UIdNvK8cuQsw/s1600/Susanne_1507481269.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="252" data-original-width="252" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhK8gThF_MhLqE9mW55vA3rxfYYoTcFMzZ6fMSxLBkk6nNYNo09_FGDj2exCq29UGxDVonV4OkrzAKH4djkEYJgsPYlMJT26glKN62B3_CYTsKiU1aTGJrvRJrXNIPGoO3UIdNvK8cuQsw/s1600/Susanne_1507481269.jpg" /></a></div>
A distanza di soli due anni dal sorprendente "<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2015_susannesundfor_tenlovesongs.htm">Ten Love Songs</a>",
la cantautrice norvegese Susanne Sundfør, forte anche di un'accresciuta
popolarità al di fuori del proprio Paese, torna con "Music for People
in Trouble" ed è fin dalle prime note una riscoperta delle origini. Se
il suo precedessore sorprese tutti con una decisa virata synth-pop, la
sua attuale attenzione è spostata verso l'essenzialità e il minimalismo.<br />
<br />
La chiave di lettura di questo album, indipendentemente dallo strumento cardine di una canzone, sia esso uno scarno <i>pattern</i>
di chitarra ("Reincarnation") o un piano suonato in punta di piedi (la
bella e intensa "Good Luck Bad Luck"), è l'acredine derivante dal
contrasto fra il solenne e lo scheletrico. Già un pezzo come "The Sound
Of War" mette in note questi concetti, dove se da una parte l'impianto
strumentale è quanto di più essenziale si possa trovare, dall'altra
abbiamo la voce chiara, limpida e leggiadra che in certi frangenti ha
dentro di sé qualcosa di forte e imponente, donando al pezzo un qualcosa
di inspiegabilmente stentoreo grazie anche alla coda dal sapore <i>dark-ambient</i>.
Nonostante la bella sensazione rilasciata da queste atmosfere l'album,
visibilmente un'opera ambiziosa, risulta monco e poco sviluppato, quasi
abortito anche grazie a una durata troppo affrettata. Ed è dunque sugli
episodi che la qualità generale si alza tantissimo, dove se le tracce
già citate svettano sul resto, la fantastica "Undercover" ha ovviamente
il predominio, mentre pezzi come "Bedtime Story" e "No One Believes In
Love Anymore" gli stanno leggermente indietro in termini di efficacia e
bellezza.<br />
<br />
Come anche sottolineato per "Ten Love Songs", la
Sundfør pare aver perso una coerenza di fondo che le potrebbe permettere
di pubblicare un album con il quale davvero spaccare il mercato in due,
infatti se i singoli brani anche qui promuovono quasi del tutto il disco,
il complesso è sfilacciato e senza un tema sonoro che lo
contraddistingua. Non per questo però possiamo ignorare la bellezza del
vocal-pop di "The Golden Age", tutto svolazzi di <i>synth</i> e vocalizzi, o la chiusura momentale di "Mountaineers" con la collaborazione di <a href="http://www.ondarock.it/songwriter/johngrant.htm">John Grant</a>.
Siamo dunque di fronte a un'opera che recupera in parte le origini
della musicista nativa di Haugesund, spingendo molto sulla commistione
fra un vocal-pop sussurrato e certe trame folk sperimentate con i primi
due album, mettendo quasi inspiegabilmente da parte i synth tanto ben
accolti in pezzi come "<a href="https://www.youtube.com/watch?v=MdSB_PcBW3k" target="_blank">Delirious</a>".<br />
<br />
Si
sorride dunque a metà ed è davvero un peccato perchè le potenzialità di
questa ragazza sono sconfinate quanto la bellezza della sua voce,
qualsiasi sia il registro vocale con cui si misuri. Urge dunque una
decisa riassettata agli obiettivi da raggiungere, magari lasciando
decantare un po' più di due anni prima del prossimo disco.
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-20427158942705497092017-09-16T08:56:00.000-07:002017-09-18T23:46:29.685-07:00Lali Puna: "Two Windows" (Morr Music, 2017)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8u3_dDU_w9vapnZtE9vz7I0Futm1C7sStI0kbG4ni8dwiD1ujT_zsFT5LGYtNEkHBR5fv0ChxrgYlSq7eAKbu-4bOKgDILl3ogXo5kRmG43UMA9i_RCKNOmnTSw4S9RkDqS8UIQKqDPc/s1600/twowind_1504799726.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="252" data-original-width="252" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8u3_dDU_w9vapnZtE9vz7I0Futm1C7sStI0kbG4ni8dwiD1ujT_zsFT5LGYtNEkHBR5fv0ChxrgYlSq7eAKbu-4bOKgDILl3ogXo5kRmG43UMA9i_RCKNOmnTSw4S9RkDqS8UIQKqDPc/s1600/twowind_1504799726.jpg" /></a></div>
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A distanza di sette anni dall'ultimo “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2010_lalipuna.htm">Our Inventions</a>”, Valerie Trebeljahr, orfana del fido Markus Acher (frontman dei ben noti <a href="http://www.ondarock.it/popmuzik/notwist.htm">Notwist</a>),
in quasi totale solitudine rimette in carreggiata la sigla Lali Puna
insieme ai superstiti Christian Heiß e Christoph Brandner (già nei
meritevoli <a href="http://www.ondarock.it/news.php?id=2471">Saroos</a>).
Nonostante, almeno per chi scrive, non abbia mai avuto molto senso
rivalutare in negativo correnti musicali non più in voga a decine di
anni di distanza, la domanda principale che ci si pone di fronte a
questo disco è: cosa hanno ancora da dire i Lali Puna a quasi vent'anni
dagli esordi (Tridecoder è del 1999)?<br />
<br />
Il periodo in cui la
Germania e il giro intorno alla teutonica Morr Music erano al centro
dell'attenzioni di tutte le riviste del mondo indipendente, ha lasciato
in eredità artisti e band che sono rimaste nel tempo a fasi alterne.
Tante sigle storiche si sono perse dopo esordi sfavillanti (fra gli
altri <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2013_ulrichschnauss_alongwaytofall.htm">Ulrich Schnauss</a> e <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2005_mashaqrella.htm">Masha Qrella</a>), altri hanno continuato più o meno a rinnovarsi con risultati apprezzabili (<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016_isan_glassbirdmovement.htm">ISAN</a>, Notwist), altri sono spariti dai radar lasciando alle spalle opere preziosissime (<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2008_styrofoam.htm">Styrofoam</a>, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_bfleischmann_imnotreadyforthegraveyet.htm">B. Fleischmann</a>, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2014_gofind_brandnewlove.htm">The Go Find</a>).
I Lali Puna, con stalli e lunghi periodi di pausa, hanno continuato
nella loro opera di rinnovamento e riproposizione di certi suoni nel
corso degli anni. Com'è dunque “Two Windows”?<br />
<br />
Una cosa che va
subito detta è che il disco vive di sali e scendi qualitativi che minano
un po' il risultato finale. Complice anche una durata non certo
immediata, la sensazione che si ha ascoltando molte volte l'album è che
la scrittura di Valerie e soci sia un po' appannata ed illuminata dalla
solita luce solo a tratti. Se ascoltando il trittico iniziale sembra di
essere a cospetto del migliore album mai pubblicato dalla band - “Deep
Dream” va annoverata fra le più belle canzoni mai rilasciate dal gruppo
-, il proseguimento si siede un attimo su certi stilemi <i>electro-pop</i>
stantii (non di grande aiuto Dntel in “The Frame”, “Wear My Hearth” e
“Hair Daily Black” non smuovono niente), mentre gli archi di
“Wonderland” e la minimali “Bony Fish” e “Birds Flying High” risollevano
un attimo il livello complessivo della parte centrale. <br />
<br />
Sul
finire delle dodici tracce, viene in soccorso la frizzante “The Bucket” -
pregevole sopratutto il pattern ritmico -, mentre “Everything Counts
On” e “Head Up High” concludono dignitosamente l'album senza infamia e
senza lode. Giunti alla fine resta onestamente un po' l'amaro in bocca,
complessivamente le atmosfere non sono né troppo ovattate per risultare
sognanti né troppo concitate per dare una spinta di ritmo significativa,
lasciando l'album in un limbo esattamente a metà. <br />
<br />
A salvare il
risultato finale ci sono una manciata di canzoni veramente notevoli,
capaci di non far rimpiangere i tanti lodati esordi. Siamo dell'idea che
per proseguire un discorso compositivo serio la band abbia bisogno di
rimanere insieme per almeno un altro album senza pause, trovare la
chimica ogni volta dopo anni e anni di stasi è davvero complicato.
Tuttavia, ascoltando “Deep Dream” non sarà difficile scorgere le magiche
sensazioni che quasi vent'anni fa sconvolsero tanti appassionati.<br />
<br />
<span style="font-size: large;"><b>(6,5)</b></span><br />
<br />
recensione di Alessandro Biancalana Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-86407126652811636132017-07-30T04:31:00.001-07:002017-07-30T04:31:20.770-07:00Arab Strap, 28/07/2017 @ Bologna, Covo Summer<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjE2yvV0Z81FMmhYVHgDxA-MSVuTgFh4BEOfhCFgygA4q-tYFIDJTk4tkP2cgjobYllpz7m-MPGa4AIlWDNwweui-1eTFgwWGAOMvYIpKL0gaHlibHUHBsJDtxxjlJXFfCTdZp9PsKtwAk/s1600/arab_strap_1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="350" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjE2yvV0Z81FMmhYVHgDxA-MSVuTgFh4BEOfhCFgygA4q-tYFIDJTk4tkP2cgjobYllpz7m-MPGa4AIlWDNwweui-1eTFgwWGAOMvYIpKL0gaHlibHUHBsJDtxxjlJXFfCTdZp9PsKtwAk/s320/arab_strap_1.jpg" width="248" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Nel contesto del cortile interno del giardino del Casalone, il Covo Club ha allestito una bella <em>location</em>
per una serie di concerti, perfetto compendio di una stagione di eventi
durante tutto l'inverno. L'organizzazione non poteva concludere in modo
migliore questa rassegna estiva, chiamando per la quarta volta a
Bologna gli scozzesi <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2006_arabstrap.htm">Arab Strap</a>. Band simbolo di un certo periodo di musica indipendente fra vecchio e nuovo millennio, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016_malcommiddleton_summerof13.htm">Malcolm Middleton</a> e <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2011_moffatwells.htm">Aidan Moffat</a> mettono nuovamente insieme una formazione <em>live</em>
a circa dieci anni dal loro abbandono delle scene, pubblicando per
l'occasione un doppio omonimo contente rarità e vari pezzi mai
realizzati su album, un po' come fu fatto nel 2006 con l'album
commemorativo “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2006_arabstrap.htm">Ten Years Of Tears</a>” e con un <a href="http://www.ondarock.it/livereport/2006_arabstrap2.htm">tour</a> che toccò anche in quel caso Bologna.<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La
formazione, composta oltre ad Aidan e Malcolm, comprende un batterista,
un bassista, la violinista Jenny Reeve (già nei The Reindeer Section) e
un tastierista. Un fortissimo senso di déjà vu e una sorta di acredine
malinconica coglie gli ascoltatori all'attacco di “Stink”, brano di
apertura del loro ultimo album in studio “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2005_arabstrap.htm">The Last Romance</a>”.
Tutta la forza sommessa, implosa e frustrata della musica del duo
inglese torna improvvisamente come se non fosse mai completamente
sparita. Si prosegue con le sferragliate al limite della cacofonia della
stridente “Fucking Little Bastards”, proveniente dal bellissimo “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2003_arabstrap.htm">Monday At The Hugh & Pint”</a> - a parere di chi scrive il miglior album pubblicato dal duo -, proseguendo ancora con lo <em>spoken word</em>
di “Girls Of Summer”. Già da questi prime esecuzioni, si nota lampante
l'adorabile chimica che c'è fra i due, stona sul palco l'accostamento
fra l'impeccabile e straordinariamente talentuoso chitarrista che è
Middleton e l'atteggiamento da guascone avvinacciato che ha sempre avuto
Moffat, cantore della normalità e dei sentimenti terreni. La forza di
questa musica sta tutta qui: il contrasto fra la forma a tratti
dissonante e violenta, in altri episodi dolce e cullante, e la sostanza
fatta di storie di cazzi, fighe, desolazione e sbornie.<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Trovano
posto in circa due ore di musica le più note canzoni del duo, prima fra
tutte la splendida “The First Big Weekend” - uno dei rari casi in cui
Malcolm canta -, passando per la struggente melodia chitarristica di
“Who Named The Days?” e “Don't Ask Me To Dance”, fino alla sublimazione
di “The Shy Retirer”, un <em>electro-pop</em> arioso e puntellato da
flussi di chitarra e violino impeccabili. Sempre sulla scia più
elettronica della produzione della formazione anglosassone si fanno
spazio “Rocket, Take Your Turn” - ossessivamente sostenuta da un giro di
<em>drum-machine</em> in 4/4 –, “Scenery” e “Turbulence”. La versione
più scheletrica e prettamente cantautoriale viene fuori in ”New Birds” e
“Blood”, due episodi estratti rispettivamente da “Philophobia” e “Mad
For Sadness”, dove Moffat recita i suo testi come in un confessionale
sostenuto da pochi accordi di chitarra e qualche pattern di batteria. In
conclusione non smettono mai di emozionare alcuni classici come “Speed
Date”, “Here We Go”, “Piglet” e “Soaps”, tutte e quattro canzoni
significative all'interno della carriera decennale di una band tanto
controversa e indecifrabile quanto unica e indistinguibile in mezzo ad
altre mille.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Non resta che plaudere gli sforzi fatti dal <em>team</em>
del Covo Club per aver riportato a Bologna dopo quasi undici anni la
formazione scozzese, augurandoci che questo tour sia l'inizio di un
nuovo percorso che possa portare a un nuovo album a distanza di dodici
anni da “The Last Romance”. </div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-41195564770956209902017-04-09T04:22:00.003-07:002017-04-09T04:22:54.580-07:00Notwist, 08/4/2017 @ Bologna, Locomotiv Club<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBmK7g44DkZ9M9fj5JJ8zWp5crIGv1DiU87kGuqDw3LRzECZG2NUixcKMtSEtkYLCkRAfPCw86CdIVxGCtINhw_Vjisx0CqFAG9ExFNyOPFskDHc1f4BhxUyVhB5e13kCDFLyewiYPyAo/s1600/foto_1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBmK7g44DkZ9M9fj5JJ8zWp5crIGv1DiU87kGuqDw3LRzECZG2NUixcKMtSEtkYLCkRAfPCw86CdIVxGCtINhw_Vjisx0CqFAG9ExFNyOPFskDHc1f4BhxUyVhB5e13kCDFLyewiYPyAo/s320/foto_1.jpg" width="248" /></a></div>
A distanza di tre anni dall'ultima esibizione a Bologna, i <a href="http://www.ondarock.it/popmuzik/notwist.htm">Notwist</a>
tornano nel capoluogo emiliano nella racchiusa cornice del Locomotiv
Club. Perso per strada uno dei componenti fondatori Martin Gretschmann,
la band, ricostruita con Andi Haberl, Max Punktezahl, Karl Ivar Refseth e
Cico Becka reclutati negli anni, continua il proprio percorso di
ricerca nell'ambito discografico ed esibizione live. Come già dimostrato
in “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2014_notwist_closetotheglass.htm">Close To The Glass</a>”
del 2014, i teutonici hanno dimostrato di voler dare una nuova linfa
alla propria musica, smarcandosi almeno parzialmente dall'immaginario <em>indie-tronico</em>
d'inizio millennio. Tale sterzata è dimostrazione di duttilità
stilistica e voglia di rinnovamento oltre che conferma delle radici
intrinsecamente rock e di band preparata e versatile.<br /><br />Ascoltando
come vengono in parte modificate le sottili trame di inni generazionali
sotterranei come “Consequence”, “Pick Up The Phone” o “Chemicals”
emoziona e sorprende, confermando la deviazione verso radici <em>kraut-rock</em> di connazionali come <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_kreidler_den.htm">Kreidler</a> e <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2014_torococorot_instrument.htm">To Rococo Rot</a>.
Le lunghe e sinuose code strumentali, disturbanti con sfrigolii noise
ficcanti, danno dei Notwist l'immagine di una band in continua
mutazione, coscienti del richiamo derivante dai classici ma
contemporaneamente capaci di andare oltre. Ed è dunque su questa scia
che il concerto sfocia in lande malinconiche con una versione minimale
di “Trashing Days”, esplode in un implosione di suoni con versioni mai
così devastanti “This Room” e "Where In This World", proseguendo con la
nervosa “Gravity”, proveniente da “The Devil, You + Me”, da cui viene
estratta anche la gracile <em>title-track</em>. Da non dimenticare anche la carica rock di un paio di tracce estratte dalle loro poco conosciute origini <em>hardcore-punk</em>.<br /><br />Si
possono apprezzare con il passare dei minuti le sferzanti manipolazioni
elettroniche di “Signals” e “Into Another Tune”, il richiamo degli
esordi con la marcetta indie-pop “Kong” e il bell'affresco <em>electro-pop</em>
“Run Run Run”, tutte tracce estratte dall'ultima fatica. Nonostante i
cambi di formazione e direzione artistica, a risaltare su tutto è la
solidità e perizia musicale del gruppo. Il passare degli anni e dei
suoni in voga non hanno intaccato per niente le capacità di musicisti
enormemente preparati e capaci, la stratificazione e complessità del
suono che viene fuori da ogni brano è semplicemente strabiliante. Ogni
variazione sul tema originale, sia che si parli di una coda strumentale o
di un cambio di arrangiamento, è perfetta e al suo posto. Divertimento,
balli e riflessioni introspettive, fino alla chiosa finale con “Gone
Gone Gone” dopo due <em>encore</em> e più di due ore di concerto.<br /><br />Dopo
questo tour europeo i Notwist si sposteranno in Cina per alcuni
concerti in maggio, per poi tornare in Europa ad estate inoltrata fino
in autunno. Voci di corridoio parlano di un nuovo album in lavorazione
dopo due pubblicazioni transitorie come il <em>live album</em> “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016_notwist_superheroes.htm">Superheroes, Ghostvillains + Stuff</a>” e la raccolta di inediti “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2015_notwist_messierobjects.htm">The Messier Objects</a>”, mentre nel frattempo i <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2010_lalipuna.htm">Lali Puna</a> di Markus Acher e sua moglie Valerie Trebeljahr sono in uscita con nuovo materiale a sette anni di distanza da “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2010_lalipuna.htm">Our Inventions</a>”.
Le mode passano ma i suoni e la musica che davvero vale restano, a
distanza di circa quindici anni da quando la Morr Music fece esplodere
il mercato discografico.
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-84671120232339390442017-03-28T02:30:00.001-07:002017-03-28T02:30:32.300-07:00After Crash + Nathan Fake @ 25/03/2017 - Locomotiv Club<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgeBURrU4vKqSipvRnqhnWXOjYdlPUkP38BiZt6Dv9SvxKEW0-tddBNRLqKkWXeCcgHeo2TBhAmnAdxUmw6JvgWn8w9BB4PTJMfhYsyy2v0BEttyKIlOjHl5E2UjRx4SmV4y-3L-znc0M/s1600/foto_1_1490527756.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhgeBURrU4vKqSipvRnqhnWXOjYdlPUkP38BiZt6Dv9SvxKEW0-tddBNRLqKkWXeCcgHeo2TBhAmnAdxUmw6JvgWn8w9BB4PTJMfhYsyy2v0BEttyKIlOjHl5E2UjRx4SmV4y-3L-znc0M/s320/foto_1_1490527756.jpg" width="248" /></a></div>
<div id="maintext2">
<div class="fotolr">
Arrivati all'ultimo episodio della mini rassegna Blender
promossa da Locomotiv Club, Disco d'Oro e Radio Città del Capo – già
presenti nelle settimane scorse artisti del calibro di <a href="http://www.ondarock.it/musicstore/2017-clapclap-athousandskies.htm">Clap! Clap!</a>, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2015_romare_projections.htm">Romare</a> e <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016_jessylanza_ohno.htm">Jessie Lanza</a> – questa serata conclusiva ha come protagonista un nome di richiamo nell'ambito degli appassionati di musica elettronica: <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_nathanfake_steamdays.htm">Nathan Fake</a>.
L'artista inglese oltre a tornare in tour in tutta Europa, presenta in
questi giorni il suo nuovo album “Providence” su Ninja Tune a distanza
di cinque anni dal precedente “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_nathanfake_steamdays.htm">Steam Days</a>”. Ad affiancare uno dei più grandi talenti dell'elettronica dell'ultima decade, c'è la band bolognese <a href="http://www.ondarock.it/speciali/dpi57.htm">After Crash</a> che aprirà la serata con una manciata di brani provenienti dal loro esordio “Lost Memories”.</div>
<br />Per
chi scrive il duo italiano era una cosa nuova, dunque ascoltando via
via i pezzi ci si accorge di quanta qualità ci sia nella musica di
Francesco Cassino e Nicola Nesi. Post-rock, elettronica, pulsazioni
techno, ambient, tantissima carne al fuoco centrifugata in lunghi
strumentali a metà fra tentazioni <em>dance-rock</em> e velleità <em>avantgrade</em>. Senza mai perdere un grammo di efficacia i due ragazzi si districano fra richiami illustri quali <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/telefontelaviv.htm">Telefon Tel Aviv</a>, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2013_65daysofstatic_wildlight.htm">65daysofstatic</a>
e in generale tutta la tradizione post-rock “deviata”. La flessibilità e
l'efficacia anche in pista dona a queste tracce una grande adattabilità
a vari contesti, dalla serata da <em>club</em> a quella più impegnata e
seriosa. L'energia complessiva generata da questa esibizione fa ben
sperare per il futuro del duo italiano, messi a punto alcuni dettagli e
smussata qualche asperità di troppo possono davvero arrivare in alto. <br /><br />L'esibizione di Nathan Fake, <em>on stage</em>
a tempo record dopo il cambio di strumentazione sul palco, infiamma il
pubblico fin da subito con l'energia delle sue nuove composizioni. Il
quinquennio di attesa – senza dimenticare i due EP “Glaive” e
“Degreelessness” - ha fatto bene all'<em>enfant prodige</em> che esplode
con tutta la sua fantasia sparando negli altoparlanti la sua personale
visione dell'elettronica. Da sempre capace di mettere insieme techno, <em>electro</em>, <em>downtempo</em>
e suoni campionati, il ragazzo proveniente da Norfolk non lascia scampo
con una sequenza mixata di pezzi esclusivamente provenienti da
“Providence”. Dalle staffilate della title-track, passando per la
malinconia <em>downtempo</em> della bellissima “Hoursdaysmonthsseasons”, fino all'episodio cantato di “RVK” - ospite la cantante di <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2015_braids_deepintheiris.htm">Braids</a> e <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2013_bluehawaii_untogether.htm">Blue Hawaii</a>
Raphaelle Standell-Preston – la musica fluisce liquida senza intoppi,
alternando momenti concitati di furia techno a stasi estatiche
supportate da pochi battiti. Il segreto dell'artista di casa Ninja Tune è
quello di scatenare l'inferno in pista senza mai eccedere o risultare
uno sciacallo da grandi platee, il suo tocco quasi onirico permette alla
sua elettronica da ballo di trascendere il sudore della pista ed
elevarsi a metà strada fra musica d'ascolto e <em>rave music</em>. Da non dimenticare, essendo perfetto corollario ad un'ora e mezzo di cataclismi sonori, i <em>visual</em>
sviluppati appositamente per il lancio del nuovo disco, rappresentanti
una serie di forme geometriche in evoluzione su sfondi psichedelici e
molto evocativi.<br /><br />A conti fatti siamo qui a raccontare una serata
di eccellente fattura, la speranza è che rassegne come queste siano
parte integrante di tanti cartelloni nei locali di tutta Italia.
Ricerca, fruibilità e tanta qualità, questo è il segreto per attirare
pubblico in maniera eterogenea.<br />
<br />
di Alessandro Biancalana <br />
</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-61603435385936648152017-02-19T03:19:00.001-08:002017-02-19T03:19:03.022-08:00Piano Magic: "Closure" (2017, Second Language)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGbmP4lH4rRlAdzHVIrut7kDXueTx9Onolsk2M4JDlVGU0epN0nPyEY0QA-K2CSptdgoqkT1gUlP6PwJk6qEvyB-3ct4yOMOJU4rpHs6aZ6AhC8lOBtw9-8DTyImQUhqMPCO6z6GcILFs/s1600/piano+magic.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGbmP4lH4rRlAdzHVIrut7kDXueTx9Onolsk2M4JDlVGU0epN0nPyEY0QA-K2CSptdgoqkT1gUlP6PwJk6qEvyB-3ct4yOMOJU4rpHs6aZ6AhC8lOBtw9-8DTyImQUhqMPCO6z6GcILFs/s1600/piano+magic.jpeg" /></a></div>
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Scoccati da non molto i venti anni di militanza e dodici dischi, una
delle band più significative degli ambienti rock indipendenti chiude la
propria carriera con un album di commiato. La notizia più rilevante che
accompagna la cartella stampa di “Closure” è questa. E non è per niente
banale accettarlo, dato che da “Popular Mechanics” in poi – correva il
1997 – le flessuose e mutevoli nenie della band franco-inglese ci hanno
accompagnato più o meno in maniera costante. Con quella peculiare
malinconia sommessa e quel sapore acre delle parole scritte quasi sempre
dal frontman Glen Johnson, il gruppo ci ha insegnato molto su come può
essere la musica rock, usando varie forme e registri interpretativi.
Tutto però ha una fine. Lo stesso Glen Johnson, interrogato a riguardo
dello scioglimento della band, parla del concetto di “chiusura
fisiologica”, facendo riferimento alle sue recenti esperienze personali
come la morte del padre e la fine di una lunga relazione sentimentale. E
c'è anche di che sfamarsi per gli inguaribili nostalgici, infatti, i
più attenti avranno notato che in “Artists' Rifles” è presente un brano
intitolato “No Closure”, sempre incentrato sul concetto di chiusura e
fine, come se, già una quindicina di anni fa, la band sapesse che il
loro destino fosse già segnato.<br /><br />Raggiunta la maggiore visibilità
con il capolavoro “Disaffected”, i Piano Magic avevano forse capito che
la loro carriera stava per spegnersi dopo tre album quantomeno
sottotono, forse solo controversi ma non per questo negativi, come “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2007_pianomagic.htm">Part-Monster</a>”, “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2009_pianomagic.htm">Ovations</a>” e “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_pianomagic_lifehasnotfinishedwithmeyet.htm">Life Has Not Finished With Me Yet</a>”.
“Closure” giunge a ben quattro anni di distanza dall'ultimo e racchiude
un po' tutte le sfumature della musica scritta in un ventennio di
carriera, ricomponendo per questa speciale occasione il nucleo
originario della band composto oltre ovviamente da Glen Johnson, da
Jerome Tcherneyan (batteria e percussioni), Alasdair Steer (basso) e
Frank Alba (chitarra). L'elegante dark-rock dai rimandi wave, poi
ribattezzato “ghost-rock”, è parte integrante di questo album fin dai
primi accenni. Infatti l'iniziale “Closure” è la traccia perfetta per
chi ama lo stile della band: compassate sferragliate elettriche, basso
cadenzato, coda strumentale che sfocia sopra i dieci minuti di durata,
cantato vicino allo <em>spoken word</em> e tanta, tanta, atmosfera.
L'album si sviluppa su variazioni di questi temi musicali, con ospiti
illustri a impreziosire tracce di grande classe, come la celebre
violoncellista Audrey Riley ospitata in “Living For Other People” o il
cantante Peter Milton Walsh degli australiani <a href="http://www.ondarock.it/popmuzik/apartments.htm">The Apartments</a>
presente nella struggente “Attention To Life”. Le delicate pennellate
di archi già citate di “Living The Other People” o anche di “You Never
Stop Lobing (The One That You Loved)” rendono “Closure” una chiusura di
carriera che fa del rock un fatto personale, quasi “da camera”,
profondamente catartico, una via di sfogo per le frustrazioni e le
emozioni più recondite.<br /><br />A stagliarsi solitaria e un po' lontana
dagli ultimi canoni c'è “Exile”, vicina alle tentazioni elettroniche
della magnifica “Saint Maire”, capace di raccontare con la solita
freddezza e classe il turbamento e la frustrazione di un rapporto
sentimentale complicato, sofferente e claudicante. Il cantato di Johnson
è anche qui perfettamente centrato per le suggestioni evocate, mai
sopra le righe e integrato fra le pulsazioni di una <em>drum-machine</em> e i flebili accordi di chitarra.<br /><br />Per
chiunque ha bazzicato i territori della musica sotterranea di cui
stiamo parlando, sarà un grande colpo al cuore dover dire addio ai Piano
Magic. L'unico modo che abbiamo per celebrare i venti anni di carriera
di questa straordinaria band è godersi questo loro ultimo album e andare
a recuperare tutto ciò che hanno inciso in passato, sempre non
dimenticando che, come pronunciava la prima tracca di “Writers Without
Homes”, <em>Music won't save you from anything but silence</em>.<br />
<br />
<span style="font-size: large;"><b>(7)</b></span><br />
<br />
recensione di Alessandro Biancalana Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-5758667685189742442017-02-10T08:45:00.000-08:002017-02-10T08:52:46.896-08:00Gold Panda: "Good Luck And Do Your Best" (City Slang, 2016)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj87ECNm6bPCuJC9L45EsBB8-KivHVEqECMIVRM0IBXF4KPKrqIxVNiaubUWf1WVZuO18PFEuqoCaKV80zeUBZajdchZN0cPgSJNOR0UdqijXz5DK5S-fAOp20mFsO3nIv2mTVCzBA0Ylw/s1600/gold_panda.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj87ECNm6bPCuJC9L45EsBB8-KivHVEqECMIVRM0IBXF4KPKrqIxVNiaubUWf1WVZuO18PFEuqoCaKV80zeUBZajdchZN0cPgSJNOR0UdqijXz5DK5S-fAOp20mFsO3nIv2mTVCzBA0Ylw/s1600/gold_panda.jpeg" /></a></div>
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Capace nel corso degli anni di creare un vero culto
nei confronti della sua musica, Derwin Panda in arte Gold Panda giunge
nel 2016 al suo terzo album. Dopo il discreto “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2013_goldpanda_halfofwhereyoulive.htm">Half Of Where You Live</a>” del 2013 e la valida collaborazione con <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016_charlixcx_vroomvroom.htm">Charlie XCX</a> in “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=qtrHH1BDlzk" target="_blank">You (Ha Ha Ha)</a>” - dove il britannico cede la base del suo pezzo ominimo proveniente da “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2010_goldpanda.htm">Lucky Shiner</a>” -, il <i>producer</i> si prende una pausa compositiva di tre anni in cui gira il mondo proponendo <i>live set</i> e <i>dj set</i>.<br />
<br />
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB">
Sembra
non essere passato così tanto quando attacca “Metal Bird”, infatti la
perfetta fusione e la sua evoluzione fra IDM, house e downtempo viene
ripresa dove il precedente disco l'aveva interrotta. <i>Synth</i> melodici e profondamente atmosferici in sottofondo, <i>break</i>
di tempo inframezzati da campioni vocali e alcuni punteggi di tastiera,
sono il perfetto inizio per un disco che sa di buona musica dai primi
minuti. Fortemente influenzato dalla vita in Giappone, le composizioni
di Gold Panda assumono una sorta di vitalità zen che porta a non
spingere mai fino in fondo sull'accelleratore, lasciando implodere
dolcemente le tracce. Ne è un esempio lampante “I Am Real Punk” o
“Autumn Fall”, con il loro incedere pachidermico ma seducente, composte
semplicemente da qualche accordo di chitarra e qualche arabesco
elettronico in sottofondo. L'elettronica d'ascolto che proviene dalla
tradizione Warp dei <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/boardsofcanada.htm">Boards Of Canada</a> viene traghettata verso la modernità attraverso un senso per la composizione e un gusto unico.<br />
<br /></div>
<div align="JUSTIFY">
<span lang="en-GB">Il
disco continua su questa falsariga dispensando altre gemme (la serafica
“Halyards”), spingendo in alcuni casi più sul ritmo (le più decise
“Time Eater” e “Song For A Dead Friend”) senza mai cedere il passo alla
noia o a qualche passaggio a vuoto. La stessa “In My Car” ha il <i>flow</i> giusto per essere piazzato in qualche <i>clip</i>
girata nelle notte buie di una Tokyo piovosa, mentre “Chiba Nights”
pare essere il perfetto compendio per una serata alcolica in qualche <i>club</i>
fumoso e desolato. Il disco non perde mai un'oncia di spessore nemmeno
sul finale, infatti “Your Good Times Are Just Beginning” - contente un
campione di </span>"The Moon Ain't Made of Green Cheese" edita da Billy Cobham – è una stilosa tinteggiatura <i>electro-jazz</i> dal fine sapore cinematico.</div>
<div align="JUSTIFY">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY">
Senza
strafare e con un polso della situazione da vero navigato, Gold Panda
supera a pieni voti la prova del terzo disco e si dirige verso il
consolidamento della sua fama e della maturità artistica, lasciando
sulle spine i suoi estimatori riguardo eventuali sviluppi.</div>
<div align="JUSTIFY">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;"><b>(7.5)</b></span></div>
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<div align="JUSTIFY">
recensione di Alessandro Biancalana </div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-9750959747914333302017-01-15T09:05:00.003-08:002017-01-16T02:54:00.855-08:00Parra For Cuva & Senoy: "Darwiš" (Project: Mooncircle, 2016)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidFBkfq9M0uMd_MZN9qQXSVfbthtjzptjue7WsGTM1e1CF-gCDLuCdvPm2hmt08_T3Yk_-jw4qo41ek0_9Dz8Yqk51R9rpctzwFUE5DtW2nbJ0Zh5Foy2t_EM4WBMK8W6AaSn49MjUDmo/s1600/parraforcuva.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEidFBkfq9M0uMd_MZN9qQXSVfbthtjzptjue7WsGTM1e1CF-gCDLuCdvPm2hmt08_T3Yk_-jw4qo41ek0_9Dz8Yqk51R9rpctzwFUE5DtW2nbJ0Zh5Foy2t_EM4WBMK8W6AaSn49MjUDmo/s1600/parraforcuva.jpeg" /></a></div>
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<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Con il ritorno di assi come <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016_faltydl_heavenisforquitters.htm" target="_self">FaltyDL</a>, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2013_goldpanda_halfofwhereyoulive.htm">Gold Panda</a> e <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2011_kuedo.htm">Kuedo</a>,
gli appassionati di elettronica avranno avuto di che sfamare la loro
fame di suoni in un 2016 tutto sommato positivo. Fra i ritagli di
visibilità di tanta musica prodotta, è riuscito a farsi spazio un
giovane produttore tedesco nato nel 1991. Nicolas Demuth nasce a
Göttingen nella bassa Sassonia, dimostrando fin da giovanissimo una
grande passione per la musica, in particolare per il piano e il jazz
improvvisato. Trasferitosi a Berlino poco più che diciottenne, stringe
un legame artistico con l'amica d'infanzia Anna Naklab, iniziando un
percorso artistico sotto il moniker Parra For Cuva. Fortemente
influenzato dagli studi classici - ritiene suoi punti di riferimento
artisti come Debussy, <a href="http://www.ondarock.it/altrisuoni/ludovicoeinaudi.htm">Ludovico Einaudi</a> e il <i>producer</i> <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2013_bonobo_northborders.htm">Bonobo</a>
-, fin da subito lo stile musicale del tedesco risulta un variegato
meticciato di house, pop e influenze classiche, il tutto condito da una
piacevole patina downtempo. Le primissime pubblicazioni in coppia si
distinguono per un gusto fascinoso e modaiolo del ritmo house, mettendo
insieme flessuose ballate plastiche di tutto rispetto (“<a href="https://www.youtube.com/watch?v=MoN0WlV_4IE" target="_blank">True Thoughts</a>” e “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=MaCOvk4gal4" target="_blank">Small Flowers</a>” su tutte). In tale periodo l'artista acquista una discreta visibilità con la cover di “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=24dG4m8ym_g" target="_blank">Wicked Games</a>” di Chris Isaak, raggiungendo buone posizioni nelle <i>chart</i> di mezza Europa.<br />
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Passato
qualche anno, e dopo un primo buon album di rodaggio (“Majouré”),
Demuth sbarca nel 2016 con delle consapevolezze in più. Abbandonato
parzialmente lo stile patinato delle sue prime produzioni, il teutonico
concentra tutti i suoi sforzi sulle melodie e il ritmo, asciugando le
tracce e rendendole meno ridondanti. Il risultato è “<span lang="en-GB">Darwiš”, un disco perlopiù strumentale e pieno zeppo di suoni freschi e ammirabili. Assimilabile per certi versi al coetaneo <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2014_loffler_youngalaska.htm">Christian Löffler</a>
- forse meno propriamente techno ma più disteso -, il fulcro delle
nuove composizioni di Parra For Cuva è la varietà e la fantasia.
Ascoltando l'opera tutta d'un fiato si ha l'impressione che lo sforzo
per rendere i quasi sessanta muniti di musica freschi e variegati sia
notevole. Si possono infatti trovare oltre alle strutture elettroniche
campionamenti di piano, kalimba, carillion, e chitarra, il tutto fuso in
una mistura unica di downtempo sognante il cui ritmo sembra voler
giocare tanto con la deep-house quanto con l'electro-pop.</span><br />
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span lang="en-GB">L'inizio
è l'introduzione in un estatico e soffice candore, fra pioggie di suoni
metallici come gocce di pioggia (la splendida “Sacred Feathers”),
movimenti più decisi come raffiche di vento (i tremori di “Quadrant”) e
la pace di una notte buia e piena di stelle (“Yuyun”). La formula
musicale di Demuth si sviluppa e muta continuamente, introducendo e
togliendo volta per volta elementi ambient e ritmi deep-house. Esempio
ne è la lunga e corposa title-track, la quale intorno al minuto cinque
cambia rotta repentinamente innestando un ritmo percussivo stile
world-music, tornando poi lentamente a reinserire vari strati di suono
per concludere sfumando dolcemente. Continuando si possono ascoltare
altri esempi di qualità, fra cui l'unico episodio cantato, in cui
Cornelia presta le sue corde vocali per un downtempo pop che richiama
tantissimo i mai dimenticati Télépopmusik, mentre nel resto si mischiano
vaghi richiami post-rock (la chitarra di “The Walk”), sfavillii electro
(le magie acquatiche di “Onom”) e policromie chillout notturne (“No
Home”).</span><br />
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span lang="en-GB">Il talento e le grandi potenzialità dentro “Darwiš” fanno di Parra For Cuva uno dei più promettenti <i>producer</i>
elettronici degli ultimi anni, alla stampa specializzata andrà il
compito di dare il giusto risalto a questo artista giovane e poco
valorizzato, a lui quello di continuare su questa strada sviluppando
ulteriormente idee già di per sè evolute.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span lang="en-GB"><span style="font-size: large;"><b>(7,5)</b></span> </span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span lang="en-GB">recensione di Alessandro Biancalana</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-76034408590078625352016-12-22T06:15:00.003-08:002016-12-22T06:21:08.964-08:00Playlist 2016<div class="_39k5 _5s6c">
<div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://scontent.xx.fbcdn.net/v/t31.0-8/15676384_10154794765644720_6717554420084567924_o.jpg?oh=b0eac48da714fc9f0ca90d671b72a9aa&oe=58F0FA17" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="260" src="https://scontent.xx.fbcdn.net/v/t31.0-8/15676384_10154794765644720_6717554420084567924_o.jpg?oh=b0eac48da714fc9f0ca90d671b72a9aa&oe=58F0FA17" width="400" /></a><span class="_4yxo"></span></div>
<span class="_4yxo"><span id="goog_1182670487"></span><span id="goog_1182670488"></span></span></div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
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<span style="font-size: large;"><b><span class="_4yxo">1. FaltyDL - Heaven Is For Quitters</span></b></span></div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
<span style="font-size: large;"><b>2. HÆLOS - Full Circle</b></span></div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
<span style="font-size: large;"><b>3. Parra For Cuva & Senoy - Darwis</b></span></div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
<span style="font-size: large;"><b>4. Isan - Glass Bird Movement</b></span></div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
<span style="font-size: large;"><b>5. Moderat - III</b></span></div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
<span style="font-size: large;"><b>6. Pascal Pinon - Sundur</b></span></div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
<span style="font-size: large;"><b>7. Agnes Obel - Citizen Of Glass</b></span></div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
<span style="font-size: large;"><b>8. Underworld - Barbara Barbara, We Face A Shining Future</b></span></div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
<span style="font-size: large;"><b>9. Kuedo - Slow Knife</b></span></div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
<span style="font-size: large;"><b>10. Piano Magic - Closure</b></span><br />
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</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
11. Radio Dept - Running Out Of Love</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
12. Andrew Weatherall - Convenanza</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
13. Ofrin - Ore</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
14. Mala - Mirrors</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
15. Ocoeur - Reversed</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
16. Søren Juul - This Moment</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
17. Motion Graphics - Motion Graphics</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
18. Bibio - A Mineral Love</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
19. Beth Orton - Kidsticks</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
20. Chairlift - Moth</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
21. Katy B - Honey</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
22. Nick Cave & The Bad Seeds - Skeleton Tree</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
23. Primal Scream - Chaosmosis</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
24. Revglow - Thisorder</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
25. Ry X - Dawn</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
26. Skepta - Konnichiwa</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
27. C Duncan - The Midnight Sun</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
28. Gold Panda - Good Luck And Do Your Best</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
29. NZCA Lines - Infinite Summer</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
30. Søren Juul - This Moment</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
31. Olga Bell - Tempo</div>
</div>
</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-76703930369258148822016-12-11T12:16:00.000-08:002016-12-11T12:17:00.683-08:00FaltyDL: "Heaven Is For Quitters" (Blueberry Records, 2016)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBByK2mFN1JuF6MTRln_CrgYmtA1uA7w_28vUFAI8AgPdxwBENdxnU-tAjhDgDHiDW8vKxbZbLhspnhtNcy-uAqYQSgY7_dergbE2-drZnZ6kRRHcLbd1ghJGbT1LODRFO94CVw67jirU/s1600/faltydl_2_1481370647.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBByK2mFN1JuF6MTRln_CrgYmtA1uA7w_28vUFAI8AgPdxwBENdxnU-tAjhDgDHiDW8vKxbZbLhspnhtNcy-uAqYQSgY7_dergbE2-drZnZ6kRRHcLbd1ghJGbT1LODRFO94CVw67jirU/s1600/faltydl_2_1481370647.jpeg" /></a></div>
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Contenute le tentazioni esotiche, concretizzatesi in divagazioni poco efficaci, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2015_drewlustman_thecrystalcowboy.htm" target="_self">Drew Lustman</a> in arte <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2014_faltydl_inthewild.htm" target="_self">FaltyDL</a> dimostra di aver ritrovato il controllo del suo talento prima con il 12” “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2015_faltydl_richprickpoordick.htm" target="_self">Rich Prick Poor Dick</a>”
e poi con questo nuovo album. Il particolare che salta subito
all’occhio riguardo “Heaven Is For Quitters” prima dell’ascolto è la
pubblicazione esclusiva sull’etichetta Blueberry Records. Nonostante
Lustman abbia aperto il suo proprio marchio discografico già dal 2014,
l’attività ha iniziato ad intensificarsi dal tardo 2015, con cui ha
gestito contemporaneamente le proprie uscite e la promozione di altri
artisti (fra cui nuovi interessanti progetti come Uffe e Ren &
Stimpy). Con questa operazione ha deciso di slegarsi completamente dalle
logiche classiche di distribuzione e pubblicazione, lasciando etichette
di grande prestigio come Ninja Tune e Planet Mu (anno scorso venne
pubblicato qui “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2015_drewlustman_thecrystalcowboy.htm" target="_self">The Crystal Cowboy</a>”).<br />
<br />
L’evoluzione
della musica del compositore americano è sempre stata evidente e sotto
gli occhi di tutti, dagli ascoltatori casuali fino ad arrivare ai più
attenti fan. Nonostante qualche uscita meno a fuoco e alcune cose poco
centrate, il suo tentativo è sempre stato quello di andare oltre il
passato, cercando di superare i propri limiti anche quando era reduce da
pubblicazioni eccezionali come il suo secondo album “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2011_faltydl.htm" target="_self">You Stand Uncertain</a>”.
Il suo sesto disco – comprendendo anche l’uscita a suo nome – si
avvicina alle sue vette per incisività già dalle prime tracce. “Tasha”,
con il suo incedere mistico e fumoso, introduce il primo episodio
cantato dell’opera (“Infinite Sustain”), un <i>bubblegum techno-pop</i>, tagliato e squarciato da synth affilatissimi, sostenuto dalle linee vocali del talento <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2015_hannahcohen_pleasureboy.htm" target="_self">Hannah Cohen</a> (già conosciuta per i buoni “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_hannahcohen_childbride.htm">Child Bride</a>” e “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2015_hannahcohen_pleasureboy.htm">Pleasure Boy</a>”),
imperniato attorno a un corollario di melodie e idee come nella
tradizioni dei più grandi. Dopo tale splendore, troviamo delle fantasie <i>breakbeat</i> camuffate sotto le vesti di un singolo pop (l’eccellente “Frigid Air”), esempi di modernariato elettronico a metà fra techno, <i>IDM</i> e <i>jungle</i>
(“River Phoenix” e “Bridge Spot”) e per finire, all’incirca attorno
alla metà dell’album, Lustman piazza un altro pezzo cantato. Giocando
questa volta la carta della battuta bassa, in una forma sfigurata di
trip-hop, si avvale del prezioso contributo di <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016_rosielowe_control.htm" target="_self">Rosie Lowe</a> – conosciuta per il recente esordio “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2016_rosielowe_control.htm" target="_self">Control</a>” - annichilendo l’ascoltatore con un sestetto iniziale letteralmente perfetto.<br />
<br />
Complice
una lunghezza considerevole l’album assume forme variabili e mutevoli,
lasciando per strada qualche lungaggine (“Neelon (First Kiss)”) ed altri
episodi meritevoli di attenzione (“Fleshy Compromise” sfiora la <i>electro-darkwave</i>,”Shock Therapy” è puro FaltyDL <i>style</i>),
mentre sul finire, come anche in altri frangenti dei pezzi già
analizzati, il Nostro tenta di ampliare i propri orizzonti con inserti
puramente <i>classical</i>, fra cui partiture di piano melliflue (“Whisper Diving”), intrecci di archi e xilofono (“Beasts Of Heaven”) e richiami <i>jappo-zen</i> nella serafica “Osaka Phantom”. Prima di concludere, vale la pena citare le due <i>bonus track</i> presenti solo nella versione giapponese dell'album con il bel tiro techno di “Stolen Kicks” e i vaghi sentori <i>nineties</i> di “New Dreams”.<br />
<br />
Il
vero valore di “Heaven Is For Quitters” è, nonostante la qualità media
molto alta dei singoli episodi, la capacità di tenere alto il
coinvolgimento dell’ascoltatore sulla distanza di ben quindici tracce.
Come si sa, l’eccessivo minutaggio negli album di musica elettronica è
sempre il viatico, anche nei casi di grande ispirazione, per opere
sfilacciate e prolisse. Ci sono invece rari casi – come questo – in cui
l’artista riesce efficacemente a diluire le proprie idee senza risultare
logorroico. Non sappiamo se l’album di FaltyDL sia un capolavoro per
questo o per altri motivi, probabilmente no, ma francamente non ci
sentiamo di dargli una valutazione sotto l’eccellenza.<br />
<br />
<span style="font-size: large;"><b>(8)</b></span> <br />
<br />
recensione di Alessandro BiancalanaAnonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-43485264399283802962016-11-20T05:21:00.000-08:002016-11-20T05:21:03.825-08:00Isan: "Glass Bird Movement" (Morr Music, 2016)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgikOtF4IfWnN3S_96Mh7I2XgalU2JAeAm_gkKN1b0e-qJw3Zs5eGthabf1_qfRXltc_xRrNARXl7-fQNMIhbbmEPGo0KcwdNB0LsyQLnXYo5wV033RWdz02xYMMNMYu-vg_EMY3r8Gdcs/s1600/isan.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgikOtF4IfWnN3S_96Mh7I2XgalU2JAeAm_gkKN1b0e-qJw3Zs5eGthabf1_qfRXltc_xRrNARXl7-fQNMIhbbmEPGo0KcwdNB0LsyQLnXYo5wV033RWdz02xYMMNMYu-vg_EMY3r8Gdcs/s1600/isan.jpeg" /></a></div>
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A distanza di sei lunghi anni, Antony Ryan e il suo sodale Robin Saville
si ripresentano con un nuovo disco accompagnati dal consueto sottotono.
Alfieri di quel filone IDM tanto in voga agli inizi del nuovo secolo,
meno celebrati dei <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/boardsofcanada.htm" target="_self">Boards Of Canada</a>
ma egualmente brillanti, gli Isan hanno attraversato un biennio di
discreta visibilità sotto la Morr Music con dischi come “Lucky Cat” e
“Meet Next Life”. Colti dall'inevitabile crisi del genere e dopo un paio
di album appena sotto le attese, il duo decide di mettere in
ibernazione il progetto per un periodo indefinito. <br /><br />Lo scorso agosto, sulla pagina facebook del progetto, appare la foto di un nuovo <em>artwork</em>
con la relativa presentazione del nuovo lavoro, pubblicato
ufficialmente il 14 ottobre. L'attesa è tanta perché, nonostante tutti
sapessero che non c'era aria di scioglimento, nuove canzoni tardavano ad
arrivare. “Glass Bird Movement” rievoca tutte le migliori
caratteristiche della musica del duo: atmosfere ovattate, ritmi appena
abbozzati, litanie ambient fra il malinconico e il crepuscolare, tante
melodie semplici ma bellissime. Il risultato è di sicuro interesse sia
per chi ama la musica ambient contemporanea, non troppo estatica ma
fresca e movimentata, ma anche per gli storici appassionati
dell'elettronica tedesca sdoganata dell'etichetta di Berlino.<br /><br />Troverete in queste undici canzoni soffici intrecci <em>electro-pop</em>
(i loop della title-track, l'empatia IDM di “Parley Glove” e “Slow
Rings”), bozze ritmiche tendenti all'ambient (“Lace Murex”, la quasi
impalpabile “Linnaues”), episodi più legati alla natura <em>electro</em>
di questa musica (“Napier Deltic”,”Rattling Downhill”), il tutto
condensato e cementato da una sensibilità timbrica e melodica fuori dal
comune, un senso del suono che lascia incantati e sbalorditi. Manifesto
dell'opera e miglior episodio è “Risefallsleep”, una sorta di <em>emo-electro-ambient</em> in cui i <em>synth</em> in sottofondo pennellano un giro strappalacrime, con forti affinità ad un altro capolavoro come “<a href="https://www.youtube.com/watch?v=bq0qET2a4VY" target="_blank">Cutlery Flavours</a>”.<br /><br />Nonostante
il genere non sia più in voga, gli Isan e la loro musica possono ancora
ritagliarsi spazi lasciati vuoti sia nel mercato discografico che nel
cuore degli appassionati, infatti – almeno per il sottoscritto – la
mancanza della magie composte da Antony Ryan e Robin Saville era
palpabile.<br />
<br />
<b>(7)</b><br />
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recensione di Alessandro Biancalana Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-85469269064969263742016-10-04T07:55:00.002-07:002016-10-04T07:55:54.851-07:00Radio Dept. : "Running Out Of Love" (Labrador, 2016)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZomHulmhiUjYlQ7xPi6UCQ8v1OuPvryRgwDJkF7IBwdiQpz9nF9lpH14vR_zKI4GVHS6s5dXW33t1X3F9hWw_zGzf4xV7W3WX4EcIshLtwKA14MzWqHZx4-MAruY38ZJmexngPAnZA8o/s1600/radio_dept_1475578466.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZomHulmhiUjYlQ7xPi6UCQ8v1OuPvryRgwDJkF7IBwdiQpz9nF9lpH14vR_zKI4GVHS6s5dXW33t1X3F9hWw_zGzf4xV7W3WX4EcIshLtwKA14MzWqHZx4-MAruY38ZJmexngPAnZA8o/s1600/radio_dept_1475578466.jpg" /></a></div>
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Come accadde per il terzo album “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2010_radiodept.htm">Clinging To A Scheme</a>”,
anche questa nuova avventura dei Radio Dept. si è fatta attendere per
diverso tempo. Le avvisaglie del quarto album si sono avute dal 2010 ad
oggi con il rilascio di svariati singoli o EP, utili ad individuare la
direzione stilistica intrapresa dalla band. Sopratutto con “Death To
Fascism” e “Occupied”, uno del 2014 e l'altro del 2015, è stato chiaro
fin da subito il cambio di rotta abbastanza deciso. Seppur sempre
marchiata da una malinconia e una levità tipica del gruppo svedese, la
spinta verso il ritmo e il quasi abbandono delle trame shoegaze
indirizza il mirino verso un dance-pop screziato e fumoso, un po' come
se i <a href="http://www.ondarock.it/popmuzik/depechemode.htm">Depeche Mode</a> suonassero il repertorio di una qualche formazione della Sarah Records.<br /><br />
Nonostante lo stranimento al confronto della <em>drum-machine</em> incessante della già citata “Occupied” - notare il vago sapore <em>twinpeaksiano</em> del <em>synth</em>
di sottofondo - sia notevole, ciò che sorprende è la totale naturalità
con cui Duncansson e soci riescano a gestire strutture ritmiche mai
affrontate in passato. La straordinaria intensità di “Swedish Guns” ne è
un esempio: associato all'usuale cantato appena sussurrato, abbiamo
strascichi di <em>synth</em>, pulsazioni decise e qualche squarcio di
chitarra, il tutto confezionato con una perizia tale da non disorientare
ma al contrario capace di incantare. Sulla stessa scia di collocano le
belle trame sintetiche di “We Got Game” e “Can't Be Guilty”, con le
uniche eccezioni fuori dal coro, riconducibili agli esordi,
rintracciabili in “Sloboda Narodu” e “Commited To The Cause”. Rimangono
da segnalare le ariose sospensioni ambient della <em>title track</em>
strumentale e l'insolita solarità del twee-pop elettronico di “This
Thing Was Bound To Happen”. La lunga e finale “Teach To Forget”,
flessuosa, robotica e perfino ballabile, mostra tutta la flessibilità
stilistica dell'ensemble svedese, eliminando completamente l'uso delle
chitarre e creando le stesse atmosfere irresistibili provenienti da “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2003_radiodept.htm">Lesser Matters</a>”
senza stridore ma semplicemente con strumenti diversi. A margine di
qualsiasi considerazione inerente alle nuove canzoni, gli ascoltatori
più attenti avranno comunque ravvisato che le pulsazioni elettroniche
sono sempre state più di un contorno per i Nostri fin dagli esordi,
dunque questa evoluzione è molto più naturale di quanto si possa
percepire ascoltando le tracce di questo ultimo disco.<br /><br />
Non
un semplice album di risulta né un indeciso passo di transizione,
“Running Out Of Love” rappresenta un altro importante tassello
nell'importante carriera dei Radio Dept. Sempre coerenti con se stessi e
mai sotto un certo standard qualitativo, confermano con quest'ultima
prova la propria identità come formazione di punta nell'ambito del pop
indipendente.<br />
<br />
<span style="font-size: large;"><b>(7)</b></span><br />
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recensione di Alessandro Biancalana Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-9261187697889052862016-03-14T02:09:00.003-07:002016-03-14T02:11:47.911-07:00Barbara Morgenstern. Diario di una techno-cantautrice.<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.ondarock.it/images/monografie/6a458018bdb74e909a211b26a038474b_1457187882.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://www.ondarock.it/images/monografie/6a458018bdb74e909a211b26a038474b_1457187882.jpg" height="205" width="400" /></a></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
Sull'onda lunga dell'entusiasmo post-unitario, i Novanta tedeschi furono
un'irripetibile congiuntura di esperienze distinte ma comunicanti. Se
da una parte è innegabile l'influsso di venti d'Occidente, sotto forma
dello standard "acido" d'Oltremanica - un fascino che attecchirà a un
punto tale da elevare Berlino nel giro di un lustro da colonia a
metropoli del 4/4 - dall'altra se il suono di nomi pur differenti come <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/mouseonmars.htm">Mouse On Mars</a>,
Basic Channel e i fratelli Lippok ha una peculiarità inconfondibile e
riconosciuta è un fatto che si ricollega a sua volta innegabilmente alla
geografia, questa volta quella immediata dei fa(u)sti elettronici di
marca <i>seventies</i>, traghettati fino al ricongiungimento delle due Germanie da brani quali "Computer Liebe " e "Techno-pop" dei <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/kraftwerk.htm">Roboter </a>di Düsseldorf.</div>
<div style="text-align: justify;">
Nel
fiorire di scene elettroniche, a Est come a Ovest, tra le storie ancora
tutte da rivalutare ci sono quelle di etichette formato-famiglia come
Kitty-yo e Monika, due <i>label</i> che presero in considerazione per prime discorsi di genere e <i>homo digitalis</i> e promosse da madrine quali <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_gudrungut_wildlife.htm">Gudrun Gut</a> e <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2013_agf_sourcevoice.htm">Agf</a>.
Lo spirito spiccatamente indipendente di ambienti di questo tipo genera
anche esperienze come la Wohnzimmer, fondamentalmente un collettivo di
musicisti che sceglie di sbarazzarsi delle macchinazioni dell'industria
discografica e di organizzare serate, nomen omen, nel proprio soggiorno
di casa.</div>
<div style="text-align: justify;">
È in questi scenari che Barbara Morgenstern comincia a farsi notare.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Giunta
nella capitale, fresca di conservatorio dalla provincia vestfaliana,
Morgenstern finisce ben presto nel circolo giusto, con compari quali <a href="http://www.ondarock.it/songwriter/maximilianhecker.htm">Maximilian Hecker</a>, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2007_pole.htm">Pole </a>e Ronald Lippok e la comunità Wohnzimmer in cui affina la sua sensibilità "sintetica".</div>
<div style="text-align: justify;">
Nel 1997 consegna i due primi Ep, <b>Plastikreport</b> e <b>Enter The Partyzone</b>,
quest'ultimo per la "ladies only" Monika Enterprise. Si tratta di due
brevi raccolte di canzoni - in tedesco - che ben testimoniano lo
sviluppo della penna della Morgenstern, in particolare il suo prendere
le mosse da certo synth-pop minimalista e con un gusto per le
dissonanze, ma anche da una vena quasi-punk ("Im Wiederhall").</div>
<div style="text-align: justify;">
Nello stesso mood viene inciso il primo album vero e proprio, <b>Vermona ET 6-1</b>,
ancora per la Monika, con cui da inizio un'affettuosa collaborazione
che durerà quasi un ventennio, nel cui catalogo compare nel 1998.
L'album raccoglie alcune tracce già edite nei due Ep e le amalgama in un
insieme più coerente in cui vengono intercalate produzioni originali.
Questi ultimi sono però pezzi che fanno la differenza, in un album che
altrimenti sarebbe rimasto una compilation di tentativi apprezzabili ma
nulla più. Brani come "Das Wort" e "Ein Versuch", oltre a brillare come
tenere ballate minimal-electroniche, mettono bene in chiaro come la
Morgenstern non sia interessata - non esclusivamente - agli aspetti
legati alla costruzione e de-costruzione del suono (come lo sarà Agf e
altri nomi legati alle punte d'avanguardia del <i>glitch</i>), quanto,
invece, la sua missione sia più una ricerca di armonia tra le nuove
frontiere minimal, un'estetica tardo synth-pop e un'inclinazione più
tradizionalmente cantautorale.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Tutto questo giunge però a completa fioritura con il successivo <b>Fjorden</b> (2000), registrato con Thomas Fehlmann e i fratelli Robert e Ronald Lippok, già <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/tarwater.htm">Tarwater </a>e <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2010_torococorot.htm">To Rococo Rot</a>.</div>
<div style="text-align: justify;">
L'album
riesce a riassettare i precedenti, acerbi, esperimenti in direzione di
un glitch-synth-pop più trasparente, a fuoco e, più frequentemente,
"canzonettaro".</div>
<div style="text-align: justify;">
Se infatti la notturna apertura di "Tag Und Nacht", la serenata sintetica della <i>titletrack</i> e il melanconico strumentale di "Dr. Mr" sono piacevolissimi bozzoli glitch che strizzano l'occhio a certo <i>downtempo</i> e ad alcune reminiscenze "björkiane" e <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/boardsofcanada.htm">Boards Of Canada</a>,
il singolo "Augenblick" è uno splendido e rarissimo esempio di idm
magistralmente sposata a un passo (trip-)pop e canticchiabile melodia
multi-strato, "Der Hintergedanke" ha quasi la sensibilità di una <a href="http://www.ondarock.it/songwriter/nico.htm">Nico </a>o una <a href="http://www.ondarock.it/songwriter/nico.htm">Joni Mitchell</a>
nelle sue corde confessionali e "Mjisnjedschaz" è esattamente come
immaginereste un blues trasognato intonato su uno scheletro
techno-ambient.</div>
<div style="text-align: justify;">
In questo equilibrio su spinte apparentemente
contraddittorie si forgia così l'idea di "elektronisches Pop" della
Morgenstern, una forma ambiziosa ma umile a un tempo, caldamente
riflessiva ma anche positiva e con un senso della dinamica nella
agro-dolcezza estrema delle atmosfere che ne nascono e nelle storie di
meditazioni quotidiane timidamente scoperchiate nella metà abbondante
"cantata" dei brani.</div>
<div style="text-align: justify;">
In punta di piedi, <b>Fjorden</b>
imposta lo standard di (alta) qualità su cui la compositrice tedesca
svilupperà il suo personale percorso nelle produzioni a venire.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<img align="left" alt="Barbara Morgenstern" border="1" class="left" src="http://www.ondarock.it/ADMIN/upload_file/img_nl/bms4_02.jpg" height="270" hspace="1" title="Barbara Morgenstern" vspace="1" width="220" />Il discorso prosegue tre anni dopo con <b>Nichts Muss</b>, pubblicato in piena esplosione electro-pop e <i>indietronica</i>. Il disco si fa apprezzare per un gradevole piglio electro veramente ispirato, dove la fantasia nell'uso di <i>synth</i>
e drum-machine si incastona in maniera pregevole in un contesto pop.
Avvicinabile a certe cose di casa Morr Music o Plug Research, il
materiale qui presente traghetta la tradizione teutonica del pop
robotico verso una forma canzone elettronica dalle vena cantautoriale,
arricchendo singulti tech-pop con partiture di piano, chitarra e altri
strumenti acustici. In <b>Nichts Muss</b>, si consolida un
altro elemento di tutta la musica di Barbara. Infatti, la fluidità con
cui i suoni accompagnano il cantato rende per effetto la lingua tedesca
insolitamente musicale, scorrevole, facile da ascoltare, fatto inusuale
per la fonetica e l'immaginario cui solitamente viene associata.</div>
<div style="text-align: justify;">
Fin dal fantastico <i>loop</i>
di “Nichts Und Niemand”, passando dai morbidi gorgheggi di “Gute
Natch”, ciò che viene alla mente in modo affettuoso sono i successi
contemporanei dei conterranei <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2004_lalipuna.htm">Lali Puna</a>.
Melodie educate, non banali o sdolcinate, ma delicate, ritmicamente
pungenti, piene di scosse, architettate con perizia e creatività. Gemme
come il glitch-techno-pop di “Merci” o lo splendida cavalcata con
profumi kraut della title-track, sono solo alcuni degli esempi che fanno
di questo terzo disco uno dei migliori di tutta la carriera della
nativa di Hagen. Il principale merito di <b>Nichts Muss</b> non è solo quello di concretizzare, dopo gli ottimi segnali di <b>Fjorden</b>, la peculiare poetica <i>morgensterniana</i>,
ma anche quello di saper sapientemente convogliare l'ispirazione in
qualcosa che va al di là delle semplici pop-song, come viene
testimoniato dagli strumentali presenti in scaletta, in bilico fra
kraut, electro e ambient (“Is”, “We're All Gonna Fucking Die”).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dopo
un'intenso periodo di composizione prevalentemente solitaria, Barbara
da sfogo alla propria vocazione collaborativa in musica e pubblica <b>Pick Up Sticks</b> insieme a Bill Wells (stimato polistrumentista nel giro <i>avant</i>), Stefan Schneider (dei <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2014_torococorot_instrument.htm">To Rococo Rot</a>) e Annie Whitehead. Il disco, preziosamente in bilico fra bruscoli <i>glitch</i>
e jazz in punta di piedi, incanta senza disturbare nonostante la vena
fortemente sperimentale. Chitarre pizzicate, timidi fiati in sottofondo,
pulviscoli elettronici e qualche strato di tastiere fanno di pezzi come
“Waft” o “A Soldier's Shoulder” un fulgido esempio di quel digital-jazz
tanto in voga nei giri avanguardistici di inizio millennio. Mai troppo
sconnesso o “casuale”, la prova di questo quartetto si distingue per
l'efficace mistura fra avanguardia e accessibilità. La <i>titletrack</i>
– come del resto un po' tutto l'album - sorprende per la capacità di
intrattenre e mantenere un certo equilibrio nonostante la struttura
scheletrica, raggiungendo vette in un brano pressochè perfetto come “The
Dust Of Months”.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Sempre in vena "collaborativa", nel 2005, nasce invece <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2005_morgenstern.htm"><b>Tesri</b></a>, album composto di 12 brani in <i>featuring</i>
con il fidato Robert Lippok. Album che, con poca sorpresa visti i nomi
in ballo, si costruisce su una concezione minimalista dell'elettronica,
ma in funzione tuttavia di un pop futurista e apolide. I brani non sono
strutturalmente molto complessi e l'ascolto è sempre guidato da melodie
semplici, da sovrapposizioni di suoni, ricavati da <i>synth</i>,
chitarre e piano, delicati e ben definiti, accompagnati da percussioni e
scelte ritmiche mai esasperate anche quando queste aumentano in
vivacità e intensità. In due occasioni - "Kaitusburi" e il grazioso
intermezzo di "Otuskimi" - i due si avvalgono anche della collaborazione
di Mieko Shimizo alla voce, che contribuisce con un tocco vagamente
"cosmopolita" sugli scenari digital-acustici minuziosamente disegnati
dal duo. </div>
<div style="text-align: justify;">
Spesso è però il piano a fare da portante melodico, come in
uno dei brani più memorabili della raccolta, "Sommer", che riporta a
mente certe partiture pop di <a href="http://www.ondarock.it/altrisuoni/ryuichisakamoto.htm">Sakamoto</a>. L'altra collaborazione alla voce è di Damon Aaron dei <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/telefontelaviv.htm">Telefon Tel Aviv</a>, che dona calore e sofferenza al fluire di <i>break</i>
e suoni sinusoidali di "If The Day Remains Unspoken For". Come al
solito i brani procedono per addizioni, stratificazioni, e sottrazioni
di elementi semplici, di campionamenti e suoni cristallini e puliti,
procedimento che è palese nella conclusiva "Winter", dove i rintocchi
essenziali del pianoforte e della chitarra giocano a riempire gli spazi
creati da loop ed effetti di tastiera dolci e minimali.</div>
<div style="text-align: justify;">
Tassello nella discografia della Morgenstern forse di importanza non capitale, <b>Tesri</b> è comunque un capitolo prezioso nella comprensione dell'idea globale di musica da parte della nostra.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<img align="left" alt="Barbara Morgenstern" border="1" class="left" src="http://www.ondarock.it/ADMIN/upload_file/img_nl/bms5.jpg" height="270" hspace="1" title="Barbara Morgenstern" vspace="1" width="220" />Appena un anno dopo quindi la Morgenstern si rimette in solo e arriva <b>The Grass Is Always Greener</b>,
quarto album solista e opera che amplia le tonalità del talento della
musicista tedesca. Con questa prova inizia una sorta di mini parentesi
pseudo-cantautoriale, in cui la compositrice decide di concentrarsi su
molti strumenti acustici diminuendo drasticamente l'uso dell'elettronica
e dei pur sempre cari ritmi sintetici. In questo leggero cambio di
rotta c'è dentro tutto il talento di una vera artista, capace di
rinnovarsi ed esplorare nuovi orizzonti senza fossilizzarsi sul proprio
campo di azione abitudinario. Il risultato è tutt'altro che fuori fuoco,
infatti la modifica della rotta è graduale e perfettamente
architettata. Nonostante il synth-pop plasticoso e dai toni distesi
rimanga (soffici loop in “Quality Time”, la tesa “The Operator”), a
farla da padrone sono flessuose ballate pop (la title-track, la malia di
“Polar” e “Das Schöne Einheitsbild”) e indefinibili strumentali a metà
fra modern-classical ed elettronica (il bel giro di piano in “Juist” e
“Initials B.M.”, la splendida “Die Japanische Schranke”). Continuando
nell'ascolto si percepisce chiaramente la voglia di fare qualcosa di
diverso, di realizzarlo senza approssimazione o in maniera affettata,
tale processo di rinnovamento è rintracciabile nelle scudisciate di
synth in “Ein Paar Sekunden” o nel quasi spoken-word pop robotico di
“Alles Was Lebt Bewegt Sich”, per altro ottimo esempio della capacità
narrativa della Morgenstern, che attinge come al solito da quadretti di
vita quotidiana cosiccome da una vena poetica quasi "zen". </div>
<div style="text-align: justify;">
Nonostante
la sensazione di trovarsi di fronte a un album di transizione ci sia,
nell'insieme l'album risulta decisamente positivo e con molti motivi di
interesse.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Con il quinto album in studio la Morgenstern decide
di proseguire la leggera mutazione intrapresa dalla sua musica,
continuando a puntare al lato più cantautoriale della sua arte. Infatti –
come già fatto in parte con <b>The Grass Is Always Greener </b>-, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2008_morgenstern.htm"><b>BM</b> </a>riassume
e concentra tutti gli elementi della musica della Morgenstern compiendo
un ulteriore passo verso la definitiva consacrazione. L'uso
dell'elettronica viene dosato con perizia rispetto al passato,
privilegiando strumenti acustici, nell'intento di dare una sferzata di
novità ad un songwriting già di per sè variegato. Da premiare le
splendide partiture di piano, mai troppo magniloquenti né invasive,
raffinate e perfettamente calate nella fine atmosfera delle tracce
(esemplare lo strumentale "Für Luise", come del resto il piano-pop
"Camouflage"). Tutti questi componenti vanno a formare un puzzle
difficilmente ripetibile, un vero mosaico realizzato a regola d'arte.
Policromie d'alta scuola si intersecano con risultati a tratti superbi
(l'intreccio fra tastiere e piano di "Driving My Car", duetto fra
chitarra e vibrafono in "Come To Berlin"), il ritmo spesso nasce dal
niente per poi tramutarsi in un'esplosione timbrica quasi orchestrale
(da manuale "Reich & Berühmt" e "Deine Geschichte"). Il perfetto
connubio fra classicità e moderno approccio al songwriting splende in
tutto il suo fervore, giungendo a una quadratura del cerchio senza
sbavature. Gocce di melodia oppressa si distendono con risvolti ombrosi
(la rarefatta "Jakarta", le gracili strutture di "Hochhau"), l'acidità
electro funge da diversivo per la parte centrale dell'opera (il
techno-pop indomabile di "Morbus Basedow", la corta "My Velocity"). Da
incorniciare le tenere scuciture minimaliste della composizione senza
voce che chiude il disco, un vago miscuglio di improvvisazione
cameristica e sinistre influenze dark-ambient.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
A cinque anni di distanza dall'ultima volta, torna la premiata ditta presente in <b>Pick Up Sticks</b> con un altro album di jazz deumanizzato e destrutturato intitolato <b>Paper Of Pins</b>.
Questa seconda prova riprende il discorso del precedente mutando la
forma verso un ambient-pop in cui la componente jazz viene appena
accennata dai fiati, mentre la struttura ritmica si scarnifica fino
all'osso per diventare un timido anelito. Ciò che ne viene fuori è
un'interessante forma di ambient music policromatica, difforme e
frizzante, punteggiata dai fiati e sempre entro un generale senso di
buon gusto e misura. Fra le otto tracce si fa preferire “Produce Of More
Than One Country”, composta da tutti e quattro i membri del quartetto,
in cui tutti i componenti si impastano in maniera perfetta, senza
dimenticare incanti dal sapore crepuscolare come la quieta “Tributaries”
o la romantica “The Hermitage Of Braid”. A differenza di tante
produzioni di questo settore, il sodalizio artistico fra questi quattro
artisti produce una musica sofisticata ma al contempo “facile”, senza
strozzature riconducibili all'improvvisazione, elegante e fluida.
Impastando zampilli di synth con risacche di fiati, il disco veleggia
versa l'eccellenza fra ritmi sghembi (la bellissima “Rowing Without
Roars”) e un misto di tecnologia e romanticismo (mix di sensazioni in
“Brown Recluse”), conducendo alla conclusione con un'ultima gemma (la
leggiadra “Loitering With Intent”).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<img align="left" alt="Barbara Morgenstern" border="1" class="left" src="http://www.ondarock.it/ADMIN/upload_file/img_nl/bms6.jpg" height="270" hspace="1" title="Barbara Morgenstern" vspace="1" width="220" />Dopo
un momentaneo allontanamento dall'electro-pop tipicamente tedesco che
l'ha contraddistinta, quindi, la Nostra chiude il cerchio e con l'arrivo
di <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_morgenstern_sweetsilence.htm"><b>Sweet Silence</b></a>
sembra invece tornare indietro di una decina d'anni. Infatti la
struttura dell'album si riscopre quasi completamente sintetica, tanto
che nei pezzi cantati pare di sentire un synth-pop primordiale,
robotico, in cui l'evocazione dei Kraftwerk è quasi scontata (si ascolti
l'intro di "Highway", in cui lo spettro dei maestri di Düsseldorf si
aggira già nel titolo).</div>
<div style="text-align: justify;">
In <b>Sweet Silence</b> la prima
cosa che risalta in maniera lampante è la bellezza dei suoni,
organizzati in superbe melodie inusuali, frizzanti e mai statiche. In <b>Sweet Silence</b> troveremo un campionario sterminato di composizioni impossibili da dimenticare - infatti, fin dall'iniziale <i>titletrack</i>,
passando per la magnifica e gelida "Spring Time", saremo assaliti
dall'inappuntabile grazia di ogni singolo pertugio. Il nuovo lavoro si
muove però anche su un ulteriore livello, sperimentato con i due dischi
precedenti e che potremmo definire a pieno titolo "cantautorale". Forte
delle recenti esperienze di reading poetry (il progetto "Only My Pen
Tolerates My Choices"), senza dimenticare il cameo nel canzoniere della
concittadina Antye Greie-Fuchs, la Morgenstern sembra voler allargare il
proprio raggio d'azione, abbandonando per una volta la lingua tedesca e
abbracciando un campo lirico alquanto esteso, che spazia da frammenti
di routine quotidiana a quiete riflessioni esistenziali, con la solita
penna sottilmente canzonatoria, ma con una marcia in più in termini di
poetica e comunicatività.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
È grazie a questa combinazione, quindi, che <b>Sweet Silence</b>
funziona alla perfezione come disco pop brillante e maturo, composto da
tredici tasselli che si reggono peraltro benissimo anche singolarmente:
il leggiadro synth-pop di "Need To Hang Around", il gioco a incastri di
sampling vocali di "Kookoo", il gentile upbeat di "Jump Into The
Life-Pool" (che riproduce sinteticamente quell'eterno movimento a
spirale qual è il cerchio della vita) fino alla sinuosa deviazione
electro di "Auditorium", in cui è più percepibile la mano di T.
Raumschmiere in regia, e il bel crescendo glitch-techno di "Status
Symbol", unico pezzo ad osare oltre i quattro minuti.</div>
<div style="text-align: justify;">
Diretto e incalzante, <b>Sweet Silence</b>
è un esempio magistrale di leggerezza e lavoro certosino, di
essenzialità e freschezza primaverile. Per un disco che si rifà a
modelli creduti morti e stantii non è davvero niente male.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Tre anni dopo, ecco quindi che <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2015_barbaramorgenstern_doppelstern.htm"><b>Doppelstern</b> </a>rinnova
l'incantesimo con undici brani-duetto (la "stella doppia" del titolo)
con i quali la Morgenstern sembra voler tirare le fila di quasi ventanni
di peculiarissimo <i>songwriting</i> che l'ha vista flirtare con il <i>glitch</i>,
l'avanguardia, la techno e gran parte dei teutonismi venuti a galla
agli albori del millennio. Stilare un "greatest hits" sarebbe stata
senza dubbio un'impresa pigra e artisticamente mortificante, per la
sempre ispirata e curiosa Morgenstern. La cantautrice di Hagen ha scelto
invece di rivedere il suo operato attraverso la lente delle tante
collaborazioni messe assieme sin dai suoi esordi nell'eccitante scena
berlinese di metà-Novanta. Ecco quindi che la nostra chiama a raduno
gente dal calibro di Robert Lippok, Gudrun Gut, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2013_juliakent_character.htm">Julia Kent</a>, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2011_hauschka.htm">Hauschka </a>e T.Raumschmiere.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nonostante
la compositrice tedesca non abbia mai ottenuto grandi consensi al di
fuori del circolo degli appassionati del settore, il merito della sua
musica è incalcolabile. Capace di traghettare l'indietronica verso una
forma mutata di synth-pop ammaliante e dal forte sapore canzonettaro, la
Morgenstern conferma anche in questa ultima fatica le sue straordinarie
capacità. Le prime due tracce sono un esempio lampante del suo potere
riassuntivo, infatti se “Was Du Nicht Siehst” è un brillante esempio di
godibilissimo tech-pop, “Meins Sollte Meins Sein” rispecchia certe
tendenze classical molto di tendenza negli ultimi anni. Le innumerevoli
collaborazioni all'interno della scaletta impreziosiscono e donano
varietà al disco, evitando di rendere troppo frammentario l'andamento ma
bensì frizzante.</div>
<div style="text-align: justify;">
Singoli pop di spessore (i singulti alla
berlinese di “Übermorgen” e ”No One Nowhere Cares”) si incastonano fra
sofisticati esempi di ambient-pop (“Too Much” con Gudrun Gut e “Gleich
Ist Gleicher Als Gleich”), strumentali dal fascino morboso (la tesa
“Facades”) e un pezzo dall'andamento mid-tempo dai sapori <i>jappo</i> (“Aglow”). La coda dell'album, con il picco nel pezzo pianistico “Schie”, ricorda le tentazioni cameristiche di <b>BM</b>,
convogliando l'opera verso una sorta di compendio di portata
consistente. L'arte di Barbara giunge dunque a un punto fermo, da cui
dovrà ripartire convogliando le sue forze su qualcosa di nuovo e magari
più elettronico.</div>
<div style="text-align: justify;">
A scapito della sua vena pop più posata, la chiave per poter esplodere seriamente sarà quella di puntare su quella verve <i>electro</i>
di cui parlavamo ad inizio recensione. È in quel caso che Barbara
raggiunge il massimo del suo appeal, permettendole di coniugare la sua
grazia compositiva con un'innata capacità di comporre melodie
indimenticabili.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: small;"><i><span style="font-size: xx-small;"><i><span style="font-size: small;">di Alessandro Biancalana e Roberto Rizzo. </span></i></span>Contributi di Paolo Sforza ("Tesri").</i></span></div>
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<span style="font-size: xx-small;"><i><span style="font-size: small;"></span><br /></i></span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-61235026577556456362016-03-14T02:08:00.001-07:002016-03-14T02:08:29.256-07:00Barbara Morgenstern: "Doppelstern" (Monika, 2015)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.ondarock.it/images/cover/barbara_1456403153.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://www.ondarock.it/images/cover/barbara_1456403153.jpg" /></a></div>
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Ascoltare un nuovo album di <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/barbaramorgenstern.htm">Barbara Morgenstern</a>
è un po' come darsi appuntamento con una vecchia amica, una di quelle
che si vedono ogni cinque anni, ma con cui è sufficiente incrociare uno
sguardo per ritrovare l'intesa di sempre e scambiarsi le confidenze e le
impressioni più intime accumulate dall'ultimo incontro.<br />A tre anni dall'ottimo "<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_morgenstern_sweetsilence.htm">Sweet Silence</a>", interamente in lingua inglese e guidato da una ritrovata verve <em>electro</em>,
ecco che "Doppelstern" rinnova l'incantesimo con undici brani-duetto
(la "stella doppia" del titolo) con i quali la Morgenstern sembra voler
tirare le fila di quasi ventanni di peculiarissimo <em>songwriting</em>
che l'ha vista flirtare con il glitch, l'avanguardia, la techno e gran
parte dei teutonismi venuti a galla agli albori del millennio.<br />Stilare
un "greatest hits" sarebbe stata senza dubbio un'impresa pigra e
artisticamente mortificante, per la sempre ispirata e curiosa
Morgenstern. La cantautrice di Hagen ha scelto invece di rivedere il suo
operato attraverso la lente delle tante collaborazioni messe assieme
sin dai suoi esordi nell'eccitante scena berlinese di metà-Novanta. Ecco
quindi che la nostra chiama a raduno gente del calibro di <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2005_morgenstern.htm">Robert Lippok</a>, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_gudrungut_wildlife.htm">Gudrun Gut</a>, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2013_juliakent_character.htm">Julia Kent</a>, <a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2014_hauschka_abandonedcity.htm">Hauschka</a> e T. Raumschmiere.<br /><br />Nonostante
la compositrice tedesca non abbia mai ottenuto grandi consensi al di
fuori del circolo degli appassionati del settore, il merito della sua
musica è incalcolabile. Capace di traghettare l'indietronica verso una
forma mutata di synth-pop ammaliante e dal forte sapore canzonettaro, la
Morgenstern conferma anche in questa ultima fatica le sue straordinarie
capacità. Le prime due tracce sono un esempio lampante del suo potere
riassuntivo, infatti se “Was Du Nicht Siehst” è un brillante esempio di
godibilissimo <em>tech-pop</em>, “Meins Sollte Meins Sein” rispecchia certe tendenze <em>classical</em>
molto in voga negli ultimi anni. Le innumerevoli collaborazioni
all'interno della scaletta impreziosiscono e donano varietà al disco,
evitando di rendere troppo frammentario l'andamento.<br /><br />Singoli pop
di spessore (i singulti alla berlinese di “Übermorgen” e ”No One Nowhere
Cares”) si incastonano fra sofisticati esempi di ambient-pop (“Too
Much” con Gudrun Gut e “Gleich Ist Gleicher Als Gleich”), strumentali
dal fascino morboso (la tesa “Facades”) e un pezzo dall'andamento <em>midtempo</em> dai sapori <em>jappo</em> (“Aglow”). La coda dell'album, con il picco nel pezzo pianistico “Schie”, ricorda le tentazioni cameristiche di “<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2008_morgenstern.htm">BM</a>”,
convogliando l'opera verso una sorta di compendio di portata
consistente. L'arte di Barbara giunge dunque a un punto fermo, da cui
dovrà ripartire convogliando le sue forze su qualcosa di nuovo e magari
più elettronico.<br />A scapito della sua vena pop più posata, la chiave per poter esplodere seriamente sarà quella di puntare su quella verve <em>electro</em> di cui parlavamo ad inizio recensione. È in quel caso che Barbara raggiunge il massimo del suo <em>appeal</em>, coniugando la sua grazia compositiva con un'innata capacità di comporre melodie indimenticabili.<br />
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<span style="font-size: large;"><b>(7)</b></span> <br />
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recensione di Alessandro Biancalana e Roberto Rizzo Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-32619068760046741752015-12-30T06:00:00.001-08:002015-12-30T06:00:34.443-08:00Playlist 2015<div class="_39k5">
<div>
<span style="font-size: large;"><b>1. Susanne Sundfør – Ten Love Songs<br />2. Jamie XX - In Colour<br />3. Sleaford Mods - Key Markets<br />4. Ibeyi – Ibeyi<br />5. LHF - For The Thrown<br />6. Herbert – The Shakes<br />7. Kelela – Hallucinogen<br />8. Black Dog – Neither/Neither<br />9. Blur - The Magic Whip<br />10. Braids - Deep In The Iris</b></span></div>
<div>
<br />11. John Lemke - Nomad Frequencies<br />12. Mercury Rev - The Light In You<br />13. Low - Ones And Sixes<br />14. Darkstar – Foam Island<br />15. Benjamin Clementine - At Least For Now<br />16. The Analog Roland Orchestra – Dinsync<br />17. Romare – Projections<br />18. New Order - Music Complete<br />19. Lifted – 1<br />20. Logos & Mumdance – Proto<br />21. Emika – Drei<br />22. Gacha - Send Two Sunsets<br />23. Rone – Creatures<br />24. Portico – Living Fields<br />25. Shiohmo - Dark Red<br />26. Silicon – Personal Computer<br />27. Killawatt - Émigré<br />28. Lakker – Tundra<br />29. Leftfield – Alternative Light Source<br />30. Barbara Morgenstern – Doppelstern<br />31. Foals - What Went Down<br />32. Autour De Lucie – Ta Lumière Particulière<br />33. Beach House – Depression Cherry<br />34. Drew Lustman - The Crystal Cowboy<br />35. East India Youth - Culture Of Volume<br />36. Gwenno – Y Dydd Olaf<br />37. Handful of Snowdrops – III<br />38. Holly Herndon – Platform<br />39. Sizarr – Nurture<br />40. Wire – Wire<br />41. Eska – Eska<br />42. Soko - My Dreams Dictate My Reality<br />43. Concubine – Concubine<br />44. Sufjan Stevens - Carrie & Lowell<br />45. Synkro – changes<br />46. Vessels – Dilate<br />47. The Dining Rooms - Do Hipsters Love Sun (Ra)? <br />48. Chemical Brothers - Born In The Echoes<br />49. Blue Daisy – Darker Than Blue<br />50. Lilies On Mars – Ago</div>
</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-12871193338836265142015-12-04T00:10:00.001-08:002015-12-04T00:10:43.236-08:00Darkstar: "Foam Island" (Warp, 2015)<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtzRl73xKsJW95Rr1gtkbQ3WxkAkiBOXWS78D5Mmafz32fyxq-JdwYDhSNSzZZsgoL3DfQKgNWbFqNaoZZTXq23WYNkhnwQ4UDbGHX0bLTMkA858etuJ0LdUgg2EyYEiX92dueFHnDGjs/s1600/darkstar_1449182844.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtzRl73xKsJW95Rr1gtkbQ3WxkAkiBOXWS78D5Mmafz32fyxq-JdwYDhSNSzZZsgoL3DfQKgNWbFqNaoZZTXq23WYNkhnwQ4UDbGHX0bLTMkA858etuJ0LdUgg2EyYEiX92dueFHnDGjs/s1600/darkstar_1449182844.jpg" /></a></div>
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A due anni di distanza dal magico e alieno “<a href="http://www.ondarock.it/musicstore/2013_darkstar_newsfromnowhere.htm">News From Nowhere</a>”,
i Darkstar rientrano in pista con un’assenza clamorosa: James Buttery è
improvvisamente uscito dal gruppo. Il trio è diventato duo. Un’uscita
di scena a suo modo pesante, visto che Buttery, oltre ad essere il vero
frontman, incarnava l’anima artistica della band sotto diversi aspetti,
stesura dei testi compresa. I due rimasti tengono a precisare come il
progetto torni alle origini, infatti, a ben vedere i Darkstar sono
sempre stati un duo, l'inserimento di Buttery è stato solo un
aggiustamento di percorso.<br /><br />Dunque, i nuovi Darkstar ripartono
semplicemente da James Young e Aiden Whalley, entrambi rimasti a guardia
di un progetto nato con l’intento di ricreare una formula elettro-pop
tanto travolgente, quanto a suo modo polverosa, aspra, intrecciata fino
al midollo tra bassi e drum machine alienanti, di gran fascino. “Foam
Island”, terzo disco in cinque anni, nasce dunque zoppo, o perlomeno
segnato da un rimpiazzo che sulla carta non c’è, e che trova le sue
risorse nei dialoghi sparsi qua e là tra un pezzo e l’altro:
conversazioni, brevi estratti di vita sociale dal gelido e malinconico
North Yorkshire. Parole spesso intrise di quel moderno disagio economico
proprio della classe operaia inglese e di una sempre più ferita media
borghesia, afflitta da diversi anni da un incessante malessere post
globale. Un senso di smarrimento comune che cede all’impotenza generale
verso un modello di sviluppo intransigente e a tratti disumano.<br /><br />Trapela
in questi termini l’allarme sociale lanciato da Young e Whalley, a
fungere da contraltare politico al resto della faccenda. La musica che
ne consegue è, al contempo, un coagulo di morbidissime articolazioni
elettriche, ritmiche misurate, mentre una tenue linfa melodica ne amplia
lemme lemme la resa emotiva, come accade nella delicatissima e
melanconica "Inherent In The Fibre".<br /><br />Nonostante la mancanza di
un'ugola pregiata come quella di Buttery, Whalley, in veste di cantante
unico del duo, si comporta in maniera più che discreta fin dalle sincopi
electro-pop della pregiata “Stoke The Fire”. A ben vedere “Foam
Island”, se fosse giudicato solo per le canzoni vere e proprie, si
dimostra un album di pop elettronico molto ispirato, partendo dai brani
già citati, fin ad arrivare alle stramberie d'archi fuse a strutture pop
(la bellissima “Go Natural”, i singulti storti di “Pin Secure”). La
magia non si placa nemmeno quando il tenore ripiega su strutture più
convenzionali (la pur positiva “Through The Motions”) o si accascia in
rivoli rilassati e minimali (i <em>glitch</em> alla <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/telefontelaviv.htm">Telefon Tel Aviv</a> delle title-track), dimostrando una versatilità non da poco. <br /><br />Il
problema di questo album sono purtroppo i vuoti. Senza escludere un
sottotesto di impegno sociale, le ripetute pause costituite da estratti
di interviste di strada, rendono l'album un qualcosa di incompleto e
controverso. Nonostante le canzoni ci siano tutte (unico neo la fumosa
“Days Burn Blue”) per riempire una tracklist di tutto rispetto, dal
successore del mezzo capolavoro “News From Nowhere” ci si aspettava di
più. Non ci resta altro che attendere i nuove percorsi, “Foam Island” è
infatti una tappa di passaggio non del tutto compiuta.<br />
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<span style="font-size: large;"><b>(6,5)</b></span><br />
<br />
recensione di Alessandro Biancalana e Giuliano Delli Paoli Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-643950477472102434.post-18068227805847620212015-11-15T04:52:00.002-08:002015-11-15T04:52:51.932-08:00LHF: "For The Thrown" (Keysound Recordings)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtT50PX4KrAoGI0R7fyE8sHGEH04q0Otns4oWHNKBdM0D1vaQnmE-Jj192lBR6Czj68DYK7KjtsNDfyheykMHX4dF7z5CP09YtMGQy_F-QWbFg4QtP99v9gHXIEMoSGLa48_hQlXWyAno/s1600/lhf.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtT50PX4KrAoGI0R7fyE8sHGEH04q0Otns4oWHNKBdM0D1vaQnmE-Jj192lBR6Czj68DYK7KjtsNDfyheykMHX4dF7z5CP09YtMGQy_F-QWbFg4QtP99v9gHXIEMoSGLa48_hQlXWyAno/s1600/lhf.jpg" /></a></div>
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Tornato a distanza di tre anni dal mastondontico esordio ”<a href="http://www.ondarock.it/recensioni/2012_lhf_keepersofthelight.htm">Keepers Of The Light</a>”,
il collettivo LHF prosegue il suo percorso nella sperimentazione
elettronica a tutto tondo. In formato decisamente più contenuto – questa
volta le tracce sono dieci – la formula del misterioso gruppo londinese
continua in maniera perfettamente coerente. Coadiuvato dalla
collaborazione con i Ragga Twins nell'EP ”From The Edge”, il mix di <em>jungle</em>, <em>2 step</em> britannico e spruzzate <em>dubstep</em>, si colora di sfumature e sentori mitteleuropei, alimentando certe tentazioni esotiche già presenti nel primo disco.<br /><br />”For
The Thrown” veleggia in un stato di perfetta estasi oppiacea,
trasportando l'ascoltatore in un limbo dove generi, etichette e
definizioni non vengono più in aiuto. La musica di LHF ha a che fare con
la metafisica e lo spirituale, così avviluppata in uno stato di perenne
incanto, quasi fosse una versione 2.0 dei viaggi psichedelici del <em>flower power</em>
anni 70. Ed è in tracce come ”Mud And Robot” che tutto ciò è facilmente
riscontrabile. Infatti, oltre all'essere una traccia difficilmente
catalogabile, è trascinante, ansiosa, elettrica e pensosa al tempo
stesso. La straordinaria capacità di questi musicisti è proprio quella
di creare flussi musicali atemporali senza eccedere in manierismi o
ermeticità.<br /><br />Cercando nei meandri del disco possiamo trovare <em>synth</em> luccicanti alla <a href="http://www.ondarock.it/elettronica/tangerinedream.htm">Tangerine Dream</a> (”Gateway”), ammalianti sinfonie arabe (”Surrender”,”Horizon”), incanti a metà fra <em>downtempo</em> e <em>dubstep</em> (la pace serafica di ”Yielding”), spinte più decise verso la <em>jungle</em> (”Entrapment”), il <em>2 ste</em>p
(”Wet Harmonic”) e la techno (”Triumph”). Il tutto è però svincolato –
come già detto in precedenza – da una mera valutazione legata al genere,
l'album è efficace e scorrevole grazie a una magica amalgama che rende
sensazioni e tendenze diverse divinamente coerenti.<br /><br />Non un
compendio trascurabile bensì capitolo importante dell'idea di musica di
LHF, ”For The Thrown” assesta un nuovo tassello di un progetto dagli
sviluppi possibilmente senza confini.<br />
<br />
<span style="font-size: large;"><b>(7)</b></span><br />
<br />
recensione di Alessandro Biancalana Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06182425998289598089noreply@blogger.com0