domenica 26 febbraio 2012

Mint: "The Metronomical Boy" (Boltfish Recodings, 2011)















 Nella selva delle piccole distribuzioni, negli ultimi anni il sottobosco specializzato nella IDM ha scovato prodotti di rilievo poco pubblicizzati. MINT è forse la punta dell'iceberg per qualità, tuttavia in questo ambito andrebbe fatto un po' di ordine. Non si tratta di riproposizioni scialbe dell'era d'oro del genere (i vari capisaldi Warp, per intenderci), ma bensì di candide riletture dal sapore stuzzicante. Non proposte settoriali adatte solo ai completisti ed appassionati ma qualcosa di limpido e originale autentico. Oltre alla Boltfish Recordings è bene ricordare le etichette n5MD e u-cover.

Murray Fisher è un ometto londinese cresciuto a pane e sintetizzatore. Comproprietario da qualche anno della Boltfish Recordings e titolare unico del moniker Mint, Fisher lavora di input digitali e olio di gomito su uno spettro musicale dinamico e giocoso, formula che tre anni fa diede vita al delizioso “Cardboard Rocketships”.
Ora è la volta di “The Metronomical Boy”, seguito più vivace e multiforme, ispirato al curioso episodio, incrocio tra aneddotica e leggenda, dell’archeologo norvegese Tor William Gudmundsen, che nel 1932 rinvenne in un sarcofago egizio una sorta di pupazzetto meccanico in grado di sorridere ed inchinarsi: l’esploratore decide di portarlo con sé e di donargli una seconda vita nelle mani della piccola figlia che lo elegge a suo svago preferito.
Non sorprende quindi che “The Metronomical Boy” si muova delicato e sinuoso tra beat che rimbalzano in ogni direzione, melodie appiccicaticce e nuvole ambientali policromatiche.

Fisher compone il suo terzo album in studio miscelando toni distesi e atmosfere serrate con un pennello disincantato, mostrando il lato sognante di questa musica senza abbandonare la natura ritmica. Distese tastieristiche dal sapore cosmico condiscono reticoli timbrici di  finissimo pregio (l'iniziale “Queasy”, la fredda malinconia in “Cartouche”), mentre gli episodi dalla grana più minuta eccellono per pathos emotivo (la magia fiabesca di “Ina's Special Day”, i rintocchi ancestrali di “Darker Than A Beginning” e “Air Chamber”). Influenzato tanto dall'immaginario storico già citato, quanto dalle colonne sonore dei videogiochi a 8 bit (chi ricorda Mega Man?), il prosieguo del disco schizza fra un mix di distrazioni ludiche (“Interluded”, “Free Association”), algide staffilate proto-techno (“Letting Go Quietly”, la cruda e sofferta “Daub”) e perfino un scappatella nella folktronica con gli inserti di banjo in “Learning To Walk”. “Cypher” (forse una citazione dell'omonimo film di Vincenzo Natali?) si libra fra brividi in bilico fra realtà e sogno, consegnando all'ascoltatore una traccia pulsante, mistura vivida, vitale e incandescente.

Dimostrazione di come certi settori dell'elettronica possano ancora dare tanto alla musica, MINT riesce nell'intento di non risultare calligrafico ma bensì autentico. Nelle sue composizioni trasuda passione e ispirazione, tanto che ascoltando l'album non si sente traccia di stanchezza o maniera, ma un profondo rispetto per i numi tutelari e un conseguente sguardo che va in avanti, molto in avanti. Quando il tocco carezzevole e i ritmi gentili possono far più dell'esasperazione.

(7)

recensione di Alessandro Biancalana e Roberto Rizzo

sabato 4 febbraio 2012

Leila: "U&I" (Warp, 2012)


Abituata alle lunghe pause creative, immersa in un microcosmo sonoro dalla peculiarità inconfondibile, Leila Arab si rifà viva dopo quattro anni dall'ultimo - viaggio sonoro mistico e incantato - "Blood, Looms & Blooms". Abbandonato il suo collaboratore storico Luca Santucci nella sede vocale, Leila sceglie per le sue nuove tredici tracce il lanciato Mount Sims, ricordato recentemente per la pregevole collaborazione con The Knife e Planningtorock intitolata "Tomorrow, In A Year".

Dopo otto anni di pausa da "Courtesy Of Choice", con "Blood, Looms & Blooms" la musica di Leila cambiò in modo abbastanza drastico. Abbandonate le cadute downtempo che l'avevano resa celebre con i suoi primi due album, l'atmosfera si faceva più cupa, meno flemmatica ma palpeggiante, quasi a voler mettere una distanza importante fra sé e la fastidiosa etichetta da diva trip-hop sfortunata che le era stata affibbiata. "U&I" continua con questa scelta approfondendo quella miscela variopinta di elettronica warpiana e toni electro-pop magici, mischiando un gusto per il ritmo incantevole e un talento melodico cristallino. Non c'è un vero tratto distintivo nell'opera di Leila Arab, difficile marchiarla con generi o stili, l'unica sensazione percettibile è la potenza creativa delle sue canzoni. Fantasia ed estro controllati da un perfetto piano compositivo confluiscono in un risultato compatto e sfavillante, candito da un lampo di follia, mai banale o scontato, sempre in procinto di sorprendere. Sia di fronte a un assalto electro-pop (l'incontenibile "Activate I") che al cospetto di un acquerello sognante (la commovente chiosa finale "Forasmuch"), con Leila non c'è mai niente nulla di certo.

Ed è proprio il richiamo electro a caratterizzare le cinque tracce divise con Matthew Sims, aka Mt.Sims, tra scomposte pulsazioni analogiche in scia Add N to (X) ("Welcome To Your Life"), piroette al synth a ricoprire loop vocali degni del DM Stith più esagitato ("Disappointed Cloud Anyway"), fughe astrali irte di mistero e travaglio ("U&I") a rimarcare reconditi dualismi interiori. "U&I" è un album alienato e al contempo terribilmente evasivo. Leila allestisce questo suo personalissimo cerimoniale elettrico senza fornire alcun punto di riferimento, fregandosene delle regole e dei galatei. Regna incontrastata una remota esagitazione sonora, rimarcata a più riprese da folli costrutti elettronici. Così, l'irrequietezza melodica di "Boudica", anch'essa prossima alle violenti evasioni sintetiche del già citato trio inglese, diventa a pieno titolo l'emblema dell'attuale inafferrabilità produttiva della musicista iraniana, mentre l'atmosfera pregna di mistero che pervade il battito lunare di "Eight", unita alle oblique interferenze di "Interlace", pone l'intera opera su binari decisamente insoliti. La lenta divagazione cosmica de "In Motion Slow" e il ping pong astratto di "Forasmuch", spiazzano ulteriormente l'ascoltatore smagnetizzando in definitiva qualsiasi gracile certezza acquisita.

Con "U&I" Leila è perfettamente riuscita a far perdere tutte le sue tracce, lasciandoci con un pugno di cartoline ai limiti del surrealismo. Senza cedere al qualunquismo dell'"al giorno d'oggi non ci sono più dischi fatti così", possiamo solo decretare l'inesorabile successo di un'artista capace di farsi notare esclusivamente per la sua musica.

(7)

recensione di Alessandro Biancalana e Giuliano Delli Paoli