venerdì 16 marzo 2007

Tujiko Noriko: "Solo" (Mego, 2007)

















Ascoltando la fresca ristampa di “Shojo Toshi” (per l’occasione intitolato “Shojo Toshi+”), la tentazione di sentire qualcosa di nuovo proveniente dalla formula magica di Tujiko, era irrefrenabile.

Anni molto prolifici per la nostra folletta, soprattutto per quanto riguarda il biennio 2005/2006, in cui è stata capace di rilasciare un lavoro più bello dell’altro. Dalle soffici perline glitch-pop di 28, gli astrattismi del suo precedente disco solista (“Blurred In My Mirror”), le preziose collaborazioni con Riow Arai in RATN, con l’album “J”, e l’ancor più valido ammasso di suoni dal nome “Stéréotypie”, con alle spalle il lavoro di Peter Rehberg (aka Pita), nella sigla DACM.

“Solo” è un album molto particolare, forse il più complesso dell’artista. Le canzoni si fanno ancor più strascicate, lente, spossate, rispetto al passato. Il ritmo è (quasi) sempre calmo, nonostante l’onnipresenza della drum-machine. La struttura si complica ulteriormente, visto che non c’è mai un melodia o un pattern ricorrente, vari rumori o suoni si alternano senza un’apparente logica. Il tutto, apparentemente disordinato, si riconcilia e si amalgama all’arrivo della sua voce. Oh, sì, quella è sempre la stessa. Il suo canto rimane fra il disincantato e il fatato, sempre in bilico fra una distrazione digitale e lampi di melodia. Le canzoni, sì, arriviamo anche alle canzoni. Sono nove, una più bella delle altre, tutte per un motivo diverso.

Appena prende il via “Magic”, sembra proprio di ascoltare “Niagara Hospital” (la prima traccia di “Blurred In My Mirror”), stessa atmosfera claustrofobica, stessi suoni. C’è però l’inserzione di scomposizioni ritmiche (il rimbalzo in sottofondo), beat gommosi, timbri ciclici che si rincorrono senza mai raggiungersi a vicenda. Questa è bella, perché ci ricorda il suo passato, e non è certo spiacevole farcelo tornare alla mente.

“Sun!” si compone di una geniale miriade di campionamenti “faunistici”, rumori, clangori, guizzi di una onnipresente macchina digitale, che detta un ritmo spolpato e distrutto. Pare un’ipotetica sonorizzazione per “la” foresta presente nella sua (di Tujiko, ovviamente) testolina, con alberi colorati, erba rigogliosa e un cielo azzurrissimo. In ordine, questa seconda, ci piace perché fa sognare senza riserve.

“Ending Kiss” scappa dal nostro controllo per due motivi. Pochi accordi di chitarra (peraltro molto poveri), qualche rimasuglio digitale, nient’altro ci rimane per afferrare un qualcosa di ricorrente. Il secondo motivo, si sofferma sulla bellezza della voce. Il ritornello, carico di emozioni, è sospeso, danzano le parole fra le nuvole, e perciò, chi ascolta, non riesce proprio ad acchiappare nemmeno una frase. Questa, perciò, fa impazzire perché il cuore piange sopraffatto dal turbamento.

“Let Me See Your Face” è essenzialmente una canzone d’amore, o una canzone sul desiderio. Tujiko ripete con insistenza la frase :”Let Me See Your Face Again, again, again..”, mentre, inconsapevoli di tutto, spiccioli di suono brillano e si oscurano nel secondo più lungo, vocalizzi in secondo piano sognano e parlano della loro storia notturna, il giapponese prende il posto dell’inglese, ed è un finale in cui tutto scompare e riappare. La quarta, ammalia semplicemente perché parla di un rimpianto, di una “fantasia” che ormai non c’è più, o forse tornerà quando tutto è cambiato.

“Saigo No Chikyu” è una fiaba che parte sommessa, scivola su linee rette e decise, inciampa in un ritmo che pare un flusso infinito, si scuote quando dei battiti rimbombano, si riprende nell’attimo in cui la calma torna silenziosa. Un’alternarsi incredibile di tonalità cromatiche, dai colori oscuri e sfregianti, fino ad arrivare ad un azzurro pallido. Se i conti tornano, il quinto passo, incanta per il saliscendi timbrico, capace di distogliere l’attenzione, circuire i sensi e lasciar segni indelebili.

“Gift” è forse l’unico episodio in cui gli animi lasciano da parte la malinconia e si riprendono dall’oblio con un piglio pur sempre incessante. Il progressivo scrosciare della tempesta di beats, arriva al suo culmine al termine, quando la voce viene quasi completamente immersa, per poi lasciarla sfogare in un finale di rara dolcezza. La presente, si fa apprezzare per la grazia con cui sedimenta nei nostri sensi.

“No Error In My Memory” non è una canzone, al massimo la si può definire una sorta di poesia con il contorno della musica. Tujiko racconta la sua storia in giapponese, esponendo con grande velocità progressiva, mentre gli strappi sonori si fanno notare per estrosità e cupidigia. Il grande merito di questo pezzo (e perciò, il motivo per cui è apprezzabile), risiede nella capacità di tirar fuori le nostre paure e sbatterle davanti all’ascoltatore, davanti a noi. “Spot” è il culmine dell’essenza intangibile di questo mucchietto di canzoni, il ritmo si fa sbriciolato e inesistente, mentre il cantato, come in tutto il disco, è sempre più personale e, soprattutto, adattato e adatto ad ogni frangente. Piccole sembianze di canzone si vedono sporadicamente, ma è un senso di disorientamento quello che ci avvolge. D’altronde, è anche il motivo per cui questo penultimo episodio è per l’ennesima volta promosso.

Tutto ci si aspetterebbe da Tujiko, qualsiasi trovata, ma un finale movimentato, quasi dance, proprio no. “In A Chinese Restaurant” è un geniale groviglio di scampoli elettronici che perdura per quasi 9 minuti, fra alti e bassi, impennate intrecciate, stimoli inarrestabili. Forse tutta la sua fantasia si riversa qua, magari eventuali sviluppi futuri risiedono in questa indicazione misteriosa. Fatto sta che niente è fuori posto, perciò, la stellina positiva è assegnata anche alla canzone numero 9, per una semplice motivazione, la “sorpresa” è impagabile.

Distratti da quest’ultima perla, veniamo condotti al termine, senza certezze, smarriti e lasciati alla deriva. L’unico punto fermo si può ritrovare in un’opera complessivamente coesa, diversa rispetto al passato, innovativa per quanto riguarda la carriera di Tujiko. Il lato più devoto alle emozioni è pienamente soddisfatto, come dimostra ogni singolo frangente, risiede nel più piccolo particolare apprezzabile.

(8)

recensione di Alessandro Biancalana

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