domenica 30 aprile 2006

poco tempo, perciò listina:

This Mortal Coil: "Blood" (8)
Oceanographer: "Twenty String EP" (7)
Kobukuro: "Kokonishika Sakanai Hana" (7)
Sylvie Marks & Hal 9000: "Krazeee"
YeLLOW Generation: "Carpe Diem"
Tool: "10,000 Days" (7)
Thirteen Senses: "The Invitation"
Margareth Kammerer: "To Be An Animal Of Real Flesh" (8)
Cassandra Complex: "The War Against Sleep" (7)
The Rapture: "Mirror" (7)
The Mae Shi: "Heartbeeps EP" (6)
Pram: "Iron Lung" (7)
Mandarin: "Fast>Future>Present" (7)
Mandarin: "Driftline" (7)
Ovo: "Miastenia" (5-)
Nedelle: "From The Lion's Mouth" (7-)
Kofta: "Balmacaan" (7)
Kelley Polar: "Love Songs Of The Hanging Gardens" (7,5)
Kari Rueslatten: "Pilot" (6,5)
Hitomi Shimatani: "Delicious! The Best Of" (7)
Gus Gus: "Polydistortion" (7,5)
Guitar: "Tokyo" (wub/10)
Gonzalez: "Solo Piano" (7)
Frank Bretschneider & Peter Duimelinks: "FFlux" (6,5)
Chihei Hatakeyama: "Minima Moralia" (7)
Hypnoskull: "Dark Skies Over Planet E." (6)
Henrik Rylander: "Traditional Arrangements Of Feedback" (4)
Miki Yui: "Silence Resounding" (8)

capitolo a parte per lei: 





 










Sawako: "Nin+Nana" (amore)
Sawako: "Hum" (8)
Sawako+: "Omnibus" (7-)
Sawako: "Yours Gray" (amore)
Sawako: "Fishwish" (7)

riascoltare il suo esordio, "Yours Gray" è stato un qualcosa di emozionante. un flusso elettronico dolce e pungente, dolcemente sospeso in aria, con i colori che lo caratterizzano e il suo fare gentile, distaccato, sbarazzino. un sogno immaginifico che ti trasporta sulle stelle.
la sua nuova uscita "Nin+Nana" è un trilione di wub più una buona dose di amore. Sawako ristampa le sue primissime composizioni con un package delicatissimo, autografato da lei! in questi due cd-r si nota tutta la primordiale dolcezza, i suoi acquarelli ambientali sono depurati da intromissioni noise e sembra di sentire una versione dilungata di un'altra artista giapponese dedita all'elettronica, Miroque.
e tutto scorre lentissimo e gelido, con Omnibus che ci mette paura con i suoi scatti improvvisi e un rumore poco gentile, Hum che zittisce ogni suono di disturbo, dipingendo un mondo immaginario, tratteggiato da una tonalità che impaurisce e un tratto deciso, forte, cattivo.

sabato 29 aprile 2006

Margareth Kammerer: "To Be An Animal Of Real Flesh" (Charhizma, 2004)



torno ad ascoltare questa stella lucente dopo quasi un anno di astinenza.
lei è un'artista incredibile. ingiustamente sconosciuta.
riporto un'esauriente biografia:

Margareth Kammerer nasce nel 1966 in Alto Adige. Dal 1994 Vive e lavora a Berlino. Dal 1987 al 1993 frequenta i corsi al D.A.M.S (indirizzo musica) laureandosi con una tesi su “Lo sperimentalismo vocale di Demetrio Stratos”. Nel 1989 è co- fondatrice del “Laboratorio di Musica e Immagine” un ensemble di 14 musicisti, che tramite la composizione e improvvisazione collettiva sonorizzano film muti. Dal 1991-1993 studia canto con Michiko Hirayama.
Nel 1993 è co-fondatrice della band “in rosa” Fastilio e nel 1994 fa parte dell´Ensembles "Eva kant" a Bologna; l'ensemble esegue non soltanto proprie composizioni, ma anche composizione di Fred Frith e Butch Morris. Ha collaborato con Adeline Rosenstein and Leonid Soybelman (1997), con Michael Groß, Leonid Soybelman, Hanno Leichtmann, Joe Williamson, Nicholas Bussmann, Andrea Ermke ecc.(1998-1999).
Tra 1999 e il 2000 è cantante in The Theaterpiece "50 comas", about Antonin Artaud, al "Theatre de l'incendie", con la regia di Laurent Frechuret.
Nel 2001 collabora con Tone Avenstroup per la performance "bald legen sie los", prodotto dal “podevil” per il festival di teatro e performance "reich und berühmt"; sempre nel 2001 canta alla "schaubühne"/berlin nel pezzo "traum im herbst" di Jon Fosse con la regia di Wulf Twiehaus e la musica di Jörg Gollasch e compone un duo con il pianista australiano Chris Abrahams (“the necks”).
Nel 2002 canta in "Venusmond", un’opera di Burkhard Stangl e Oswald Egger; è autrice di una performance solista "Struppi und die prinzessin sezieren hamlet" al “Kunsternes Hus” di Oslo. Partecipa come attrice in "Orestea" con la regia di Jay Scheib, con Aleks Kolkowski e Marie Goyette al "Festival of Exiles". Nel 2003 lavora con Jay Scheib sull’ "Hamlet".

(per approfondire qua c'è una sua interessante intervista)

da questo si può evincere come il suo background sia di assoluta qualità.
tutti i suoi studi e/o collaborazioni la portano a quel disco capitale che è "To Be An Animal Of Real Flesh". sì, perchè questo disco è veramente importante.
l'improvvisazione che si ibrida con l'ascolto, un'anima classica che si fonde con la voglia di esplorare terreni inusuali e particolari, contraddittori e disturbanti.
si passa dalla composizione di chitarra volutamente scarna, al frangente elettronico scalpitante, un borbottio d'un fiato sfiancato, un sibilo noise saturante.
14 gemme sperimentali che vanno a fondo nel panorama musicale attuale, frutto anche della collaborazione in fase di produzione e/o mixing con personaggi dalle capacità indiscusse. Christof Kurzmann, Bernhard Fleischmann, Christoph Amann e Philip Jeck. insomma, non proprio i primi arrivati.
registrato quasi interamente in Italia, nel 2002, al Casteldebole.
As Your Nightly Dreams è un accordo di chitarra replicato con insistenza, senza cambi di tempo, il suo cantato è un ciclico ripetersi dei soliti fraseggi vocali, fra una parola glaciale e delle frasi sussurate con malizia. il tutto continua a perdurarsi per 5 minuti di pura atmosfera mistica, un'apparente calma ricopre la canzone, trasmettendo un qualcosa che pare tranquillità.
I Carry Your Heart With Me è volutamente disturbante e contradittoria. una chitarra innocente emana note concilianti e distese, in sottofondo, piano piano, la tromba di Axel Dörner entra in forte contrasto con il lato melodico del pezzo. un oblio di note che combattono senza esclusioni di colpi, fra un ritornello vagamente felice, un sibilo fiatistico, un urlo sommesso, piccoli tocchi di dolore acustico. la voce è un lamento doloroso. un pezzo che è un capolavoro.
tanto per rimanere a livelli altissimi, ci viene proposta Facing It.
questa volta interviene il tutto fare B. Fleischmann, remixando un pezzo di Margareth e rendendolo, come dire, alieno.
un beat elettronico oscuro e ossessionante fa da sfondo a un progressivo aumento del tempo di battuta, fra un piano melanconico che prende il sopravvento, un filo di elettronica ghiacciata, un noise tagliente quanto la lama più affilata. il tutto si sviluppa organicamente, mescolando cattiveria sonora con un ritmo sfregiato, una musica scomposta e sfasciata. le note del piano sono talmente belle che fanno male, ti entrano in testa e non ne escono più. il graduale avvinicinarsi della fine porta a un lentissimo sgretolarsi del ritmo, un silenzio che si approssima pacatamente.
registrata da Andi Moss e Mari Reijinders Somewhere I Have Never Travelled, è una perlina povera e malandata. una chitarra viene spremuta di tutta la sua espressività, probabilmente trattata per trarne un suono vagamente disturbato. la voce di Margareth è ancora un sogno ad occhi aperti, fra un frangente di malinconia velata e scampoli di felicità nascosta.
Se Open His Head, Baby (remix di Nicholas Bussmann) è una landa sonora scomposta e paurosa, l'originale Facing It, ripulita dalle convulsioni elettroniche, svela l'animo dolce e soave dell'autrice, gelando l'aria con accordi purissimi.
Il remix di Somewhere I Have Never Travelled da parte di Fred Frith è la scomposizione allo stato puro, sovrapponendo il dolce scorrerre della canzone originale con un beat elettronico scemo e pazzoide, fra un battito impazzito, stramberie acustiche e un andamento puramente casuale.
un certo Tatsuya Yoshida, componente di gente come i Ruins e i PainKiller, suona la batteria nell'incessante Willow... C'est Ce Que J'aime. una convulsione ritmica dopo l'altra si sommano una sopra l'altra, componendo un qualcosa di instabile e animato da un'anima impazzita. la batteria non sta mai ferma un attimo, la chitarra è ripetitiva fino allo sfinimento, gocciolando rumore ogni attimo in cui viene suonata.
poi arriva The Bright Stones.
prima nella versione remixata da Pihilip Jeck, poi l'originale.
il primo episodio di questa coppia è una scatola nera che ogni tanto luccica, sovente esplode con un rumore sordo, spesso e volentieri sembra una stella che scintilla veloce. profondamente digitale, ma proprio qui sta la sua bellezza. forse il remix più bello del lotto. ma sottolineo il forse.
come sempre, il pezzo originario è un bozzettino folk ammorbato da un'attitudine improvvisativa, con un afflato oscuro e sommesso. un pezzo essenziale e gracile, sempre sul punto di implodere, pronto a lasciar il posto al silenzio, ma sempre deciso a riprendersi con una corda pizzicata con stanchezza e una parola detta, in più.
Open His Head, Baby era stata precedentemente martoriata da Nicholas Bussmann ed ora riproposta in una versione scheletrica e asfissiante.
I Carry Your Heart With Me è trattata, questa volta, dal guru avant Christof Kurzmann. leggera e sognante, docilmente costruita su uno xilofono colorato e una voce posta su due piani diversi, creando uno straniante effetto "circolare". il groove elettronico è un battere profondo e lontanissimo che cesella un incedere cattivo e nero.
viene riproposta l'iniziale As Your Nightly Dreams, in una versione più ricca, aggiungendo il piano di Chris Abrahams. l'essenza è la stessa, ma il modo di svolgersi completamente diverso. più pienezza e meno essenzialità. una versione ugualmente bella per il valore intrinseco ma differente per l'approccio alla composizione.
e come non poteva spuntare dal niente il pazzoide O.Lamm in questa raccolta di remix? eccerto, eccolo.
Estimated Population Of Hell Circa 1976 (Old School Mix) non è altro che As Your Nightly Dreams, sovrastrata da una cascata di noise, glitch, scomposizione digitale, smembrando, cucendo, tagliando, distruggendo. rendendo il pezzo completamente irriconoscibile, se non per il rantolo vocale in sottofondo, completamente sovrastato dal marasma elettronico.
posso dire che è un capolavoro?
sì, sì. lo è proprio.

Dead Man (Jim Jarmusch)


















me lo sono visto qualche sera fa.

che dire? un film toccante.

depp è magistrale, il suo modo di muoversi, di cambiare espressione davanti alle situazioni ed evolvere lo stato del personaggio sono stupefacenti.

un attore che, come evidenzia la sua poliedricità interpretativa, ha sempre sperimentato un modo diverso di recitare, senza rimanere statico ne compiacendosi per la sua bellezza.

esilaranti iggy pop e il meastoso signor dickinson, interpretato da quel grande attore che è Robert Mitchum.

colonna sonora da brivido. gli accordi di neil young sono atmosferici e taglienti. soltanto la sua chitarra serve per (ri)creare un ambiente fatto di paura velata e ironia che più nera non si può.

jarmusch è un grande regista e le sue idee sono al massimo della sua espressione, in questo film.

a partire dalla narrazione lenta e volutamente strascicata, fino agli attimi di stasi immaginifica.

un film bello da far male, ed anche se la consapevolezza non può venirmi in contro dopo nemmeno 16 ore che l'ho visto, credo di poterlo eleggere tra i miei preferiti in assoluto.

Misterious Skin



ho visto questo film ieri sera.
a me ha impressionato. veramente tanto.
non posso che quotare le inizialio parole di edo, visto che condivido quasi in toto quello che ha scritto.
partiamo dalla colonna sonora: incredibile.
aggiungo i Ride, oltre alla sfilzia sfiziosissima dei nomi citati all'inizio.
mysterious skin è un film crudo e cattivo.
un film che ti fa male. una pellicola che scava in profondità nell'animo di un adolescente segnato da eventi tragici.
immagini e sensazioni dolorose scorrono con impietosa lentenzza sullo schermo, senza precauzioni dello spettatore.
lo "stupro" del bimbo indifeso, i rapporti fugaci dell'adolescente sicuro di sè, la paura conseguente all'esperienza che s'avvicina alla morte.
dall'altra parte, un'insicurezza cronica, idee malsane sul passato, una grande voglia di scoprire la verità.
il tutto si unirà in un finale fra i più emozionali e pieni di senso degli ultimi anni di cinema. fra una musica che rimbomba ossessionante e un'immagine che sfuma gradualmente.
mysterious skin non è un film perfetto, anzi.
ma la sua essenza mi ha trasmesso così tanto, che questi difetti vanno in secondo piano, se non spariscono del tutto.

martedì 25 aprile 2006

Kazumasa Hashimoto: "Gllia" (Noble Records, 2006)



Uno dei compositori fra i più interessanti e fantasiosi della scena giapponese, torna a deliziare i nostri sensi con un altro viaggio sonoro fatto di luce, colori ed immagini sgranate. Come non citare le sue due precedenti opere?
“Yupi” rappresenta un perfetto crocevia fra musica classica minimale e un’elettronica gentile e soffice. Episodi di pura inventiva sonora dimostrano come, già alla prima prova, il Nostro fosse in possesso di una sensibilità musicale fuori dal comune e perizia compositiva d’assoluto valore. La dolcezza del suo suono e l’approccio essenzialmente pacato scaturiscono con timida prepotenza, cesellando un sogno musicale dai tratti fini e vivaci.
Con “Epitaph” piccole variazioni s’introducono, arricchendo una formula che già di per sé era ricchissimia di spunti. Il piano come strumento singolo si fa più presente ed anche qualche scomposizione elettronica in più s’addiziona, senza disturbare. In alcuni frangenti si sente l’eco di una vera e propria musica glitch applicata a partiture classiche. Non certo un’innovazione straordinaria ma applicata con gusto ed estrosità bambinesca.
“Gllia” è un disco molto diverso dai suoi precedenti. E’ un bene dirlo subito per evitare equivoci. Un’opera molto più distesa, meno frammentaria e formata da “episodi”, più omogenea e orchestrale. Kazumasa si dev’essere accorto che aveva esaurito le cartuccie con le precedenti soluzioni stilistiche o semplicemente c’è stata un’evoluzione naturale e spontanea. La durata delle tracce all’incirca rimane la stessa, con l’alternanza fra pezzi dilungati e piccole suite di un minuto circa, per spezzare l’atmosfera o per impreziosirla, a seconda dei punti di vista. 


Il principio è affidato a quel bozzetto tenero e amatoriale che è “Theme”, una voce introversa ci racconta una storiellina semplice semplice, il piano spruzza colori nell’aria con le sue note cristalline, un delizioso sottofondo brulicante è un tappetto accogliente come non mai.
“Mr. Gleam” è un (perfetto) incontro fra i Rachel’s più intimisti e i due Matmos amanti della musica elettronica scomposta (incontro nemmeno tanto fantastico, visto che i due gruppi hanno collaborato davvero). La composizione si basa su una serie di bleeps morbidi, una batteria suonata con un fare gentile, ancora una voce appartata decanta una poesia appena sussurrata, quasi con la paura di esporsi. Il tutto si dispiega con sorprendente naturalità, fra un cello che zittisce il silenzio, un ritmo claudicante, e una serie di pause intrise di vivacità sorniona.
“Monochrome Prome” è una visione onirica che si fa reale attraverso uno xilofono che tintinna luminoso, piccole note di tastiera ripetitive sono una piacevole ossessione, una voce (questa volta maschile) riferisce la sua fiaba robotica, con una mano sul cuore e la mente immersa fra le nuvole più bianche del cielo. Un’attitudine sognante ricopre tutto il pezzo, disegnando trame melodiche d’una finezza incontenibile.
“001[far]” è un piccolo siparietto per una chitarra che strimpella scomposta, un oblio di complessità strumentale, stille di elettronica gelida, un arco tagliente e un qualcosa di misterioso che cattura, nonostante nasconda la sua identità.
Se credete che il pop possa ancora essere contaminato, rimarrete piacevolmente impressionati da un gioiellino raffinato come “Ne connissons”, se non disorientati ma al contempo accarezzati dal frattelo gemello di “Theme”, “Ruinruin”. 


La title-track trasuda passione, da ogni lato la si guardi, regalandoci una tenue atmosfera estatica, ancora note di chitarra dal fare educato, un piano saltella con un piede solo, lo xilofono disegna un cielo con l’arcobaleno ricco di sfumature mai uguali. Sul finale, un marasma orchestrale crea un qualcosa di unico e inestimabile, scampoli di un immaginario pianeta dove gli alberi sono sempre verdi e robusti, non ci sono mai nuvole nere e il sole splende riscaldando cuori dolenti.
Quadrettino finemente ricamato nella successiva “002[esbia]", abbellito da una percussione magica e un dondolare incontrollato di timbri evanescenti, una sorta di jazz mutante (?!) si presenta in “Milmils”, un rullante suonato per una marcetta primaverile, s’aggiunge un contrabbasso pulsante, decorando un dipinto rifinito nel più piccolo particolare.
Lasciar andare il cuore a “Drama” è semplice. Distendersi in un prato rigoglioso, quando il sole sta leggermente calando, farsi circondare dalle note, senza opporre resistenza, viaggiare con la mente per lidi immaginifici, socchiudere gli occhi, sognare che l’impossibile possa avvenire, veder scorrere i fotogrammi della propria vita. Ed il suo suono proliferà nel vostro essere, risanando ogni male, rigenerando un animo malandanto, soccorrendo un’anima sofferente.
La conclusione di questo peregrinare fra paradisi terreni e ambientazioni candide, spetta a una cascata di suoni che si inseguono a vicenda (“The happy days passed like a dream”), seguita poco dopo dalla sibilante “Curtainfall” che termina con un incedere fra l’amatoriale e il malinconico.
Consiglio vivamente questo disco a chi non sa dove riporre i propri dolori, facendosi cullare delicatamente, e agli altri, nonostante tutto, credo che il proprio cuore non potrà rimanere impassibile davanti a questa manciata di canzoni, fatte apposta per intenerire anche l’animo più terribile.

(7,5)

recensione di Alessandro Biancalana

Tsukiko Amano: "A Moon Child In The Sky"

 














 
dopo qualche mesetto che avevo lasciato da parte l'ultimo album di tsukiko, riprenderlo è stato una sensazione particolare.

un'artista che ho seguito fin dai suoi inizi. cioè il 2002. il primo album dal nome Mag & Lion.

questo disco che non prende d'impatto.

ricordo che i primi periodi dopo la sua uscita, non mi impressionò per alcuni suoni interrogativi e la voce leggermente più aggressiva rispetto al passato.

poi col tempo provai ad immergermi nelle trame più nascoste e fondermi completamente con questa manciata di canzoni. fu un tentativo mai così riuscito.

questo è j-rock fatto con il cuore. alcuni pezzi sono fra i più belli della scena rock femminile in Giappone. ultimamente solo Anna Tsuchiya e Mika Nakashima sono arrivate a questo livello. mettiamoci anche Asuca Hayashi che se lo merita.

L'intro della title-track è un piccolo acquarello dipinto con un accordo nascosto, rigurgiti rumorosi e un tastiera lontana.

quella tastiera che s'introduce all'arrivo di Devil Flamingo.

la voce di tsukiko è molto possente e pungente, qualità difficilmente ricercabili in un cantante giapponese. ultimamente, comunque, molte voci di questo tipo sono venute alla ribalta, con ottimi risultati.

la chitarra getta nell'aria accordi precisi e dilungati, la tastiera sopra citata è un rumore di sottofondo nemmeno tanto disturbante. le convulsioni della batteria cesellano un ritmo irresistibile. uno dei pezzi j-rock più belli degli ultimi anni. oh, sì sì.

Sulla stessa linea si assesta la successiva Joker Joe, stesso ritmo fatto di convulsioni ma con qualche apertura melodica in più, la voce è meno oscura e si lascia andare in frangenti dipinti di dolcezza velata.

Idea (A Moon Child mix) è un'altalena fatta di picchi e pause ottenebranti, Stone si permette intromissioni classiche d'emozionante valore, Hisui (A Moon Child type) è (forse) la canzone più lenta di Tsukiko, ma non atipica nè azzardata. semplicemente toccante. un piano suonato con leggiadria, la voce appena sussurrata, la chitarra si trasforma da coltello affilato a panno di seta delicatissimo.

1/2 (A Half) è un mantra j-dark-rock sorprendente. drumming incessante, ancora trasformazione nel modo di interpretare le canzoni, convulsioni chitarristiche, gocce di rumore piovono ovunque. il ritornello è bello come una mattina soleggiata e il vento leggero che smuove le foglie.

Koe è fatta con una fisarmonica distrutta che emana note ripetitive, archi sinuosi, una coppia di chitarre classiche e tanto amore. cori nerissimi urlano un dolore malcelato, timbri percussionistici come una marcetta spensierata, il giorno che si approssima a notte, l'irregolarità la fa da padrone. pure poliedrica la nostra tsukiko.

Se la pazzia compositiva di Satou Mizu lascia spiazzati, con i vocalizzi inusuali e un utilizzo ben calibrato dell'elettronica, Parade rivela un lato nascosto dell'autrice, proponendo una canzone lenta e gelida. lei e il suo piano. progressivamente un pugno di note orchestrali aggiungono pathos. il passaggio all'andamento incessante è una sorpresa inaspettata ma benvoluta.

Hakase to Kujaku è un giochino sbarazzino, un motivetto scemo e bambinesco, il finale Kakan è un simpatico esperimento gustosissimo per archi e manipolazione digitali.

verso metà maggio usciranno ben 4 singoli:



Karasu



Fukuro



Utakata



Fusen

Elettronica Jappo

in seguito a una richiesta in privato ho stilato un piccolo quadro degli artisti/dischi d'elettronica jappo ritenuti da me importanti.
non ho assolutamente pretese d'essere completo nè completamente corretto, ciò che scrivo è frutto solamente del mio personale gusto.
allora, ci sono due compile che riassumono il suono glitch-clip-and-clappe-techno di marca jappo. c'è proprio una linea distintiva rispetto all'elettronica europea (Berlino su tutti) e americana (ovviamente Detroit).






 















AA. VV. : "Forma. 1.02" (Progressive Form, 2002)

qua ci sono tutti teppisti jappo.
è fondamentale proprio.
la versione 2.03 della stessa compila è un'altra carrellata di pari livello.

 


AA.VV : "Mix Form" (Progressive Form, 2006)

anche qui è l'apocalisse.
aoki glitcha fino allo sfinimento, nao tokui spezza e ricompone e gentaglia meno conosciuta come 30506, Process e Eater fanno un figurone.
ecco, queste due compile sono un ottimo inizio.
l'etichetta di riferimento è la Progressive Form.
promuove tutti artisti jappo e lì dentro trovi praticamente ciò che va saputo.
tra i tanti consiglio assolutamente Ryochi Kurokawa. il suo Copynature è un capolavoro.
Nao Takui è un altro niente male ed ha fatto dischi d'assoluto valore come Mind The Gap e i 12" The First Train e Op.Disc 002.
piccole mine vaganti sono Yasuyuki Tsuchiya e 30506, a cui facevo riferimento prima. il loro split 12" 30506 vs. Sounguarehouse è un sfizio fatto di battiti alienodi e alienanti che ti sbattono al muro.
Yoshihiro Hanno..
lui è tra i più grandi, assolutamente. Si fa chiamare radiQ spesse volte.
ha una discografia sterminata, se non impossibile da seguire tutta.
io ne ho ascoltata una buona parte e divido i dischi in base ai tre moniker.
a suo nome Music On Canvas #0 Esquisse 1996. Liquid Glass e Portrait Of A Poet. 3 dischi molto diversi fra loro ma molto significativi. un oblio di suoni che ti fanno sembrare scura anche la giornata più soleggiata del mondo.
Multiphonic Ensemble.
Cirque, King Of May da avere senza ripensamenti.
riguardo radiQ, direi che Graffiti & Rude Boy sia il migliore.
Ogurusu Nohiride è un altro di quelli che non andrebbero tralasciati se si vuole capire un po' come progredisce il suono elettronico jappo.
a cuore potrei dire d'ascoltare tutto ma un minimo di selezione ci vuole ed allora consiglio humour("study" and "I") e Modern.
capitolo ATAK000.
quartiere Shibuya. Tokyo. Glitch-techno.
partendo da Atak000 di Keiichiro Shibuya dell'anno scorso senza lasciar da parte il sodalizio fra lui e Yuji Takahashi con il loro omonimo. c'è anche il disco omonimo degli Slipped Disk che rimbomba spesso nelle mie orecchie.
il già citato spesse volte Keiichi Sugimoto è un ambient dronata e molto atmosferica, con il suo modo di intendere il ritmo. anche qui siamo davanti a un'artista iper-prolifico, attivo con diversi moniker, tra cui: FilFla, Fourcolor e Fonica.
sorprendentemente la qualità è sempre a ottimi livelli.
Ripple di Fonica sono piccole stille di elettronica quando rumorosa quando minimale, Frame di FilFla è un'apocalisse di timbri.
Anche Riow Arai s'è ritagliato uno spazio niente male, con il suo approccio distaccato e quasi assente.
dischi come Device People, Mind Edit Syndicate e Again (sotto il moniker Ryo Arai) sono un'espressione funzionalissima di quanto questi giapponesi siano capaci.
ah, cosa importantissima. lui ha fatto un disco anche con Tujiko Noriko. si chiama J ed è, come ovvio, bellissimo.
Un altro artista fiume è Fumiya Tanaka.
il numero di dischi, remix, collaborazioni, pubblicato da questo ragazzino è impressionante.
rilascia dischi sotto i seguenti nomi: Hoodrum, Last Front, Speaker, Total Decay, Individual Orchestra, Karafuto.
rendetevi minimamente conto cosa significa stare dietro a un forsennato così. un pò il takashi miike dell'elettronica jappo..
il suo suono è molto più "techno" rispetto alle derive glitch, drum'n'bass, avant presenti negli artisti precedenti, ma l'attitudine alla sperimentazione non smette d'essere presente.
per quello che ho ascoltato, posso consigliare l'incedere vorticoso di Unknown Possibility Vol. 2 sotto suo nome, Individual Orchestra sotto Karafuto e Untitled EP con il moniker Speaker, insieme a Akio Yamamoto.
mi fermo tirando l'amo per alcuni artisti come: Taeji Sawai, Kan Daisuke e S.W.O.
eppoi qualche disco vagante che mi piace segnalare, piccoli gioielli che splendono, solitari fra il marasma discografico.






 













Yamaoka: "Hokkaido Loops 1" (U-Cover)

Yamaoka are a Japanese act formed by Yoshinori Yamazaki and Kenichi Oka. Since 1991 they have been very active and have several releases out in Europe and Japan. Most of them are mainly hard driven techno but for the U-cover CDr label they have especially created tracks with a more atmospheric sound. Living in the high north of Japan, Hokkaido who is the second largest of Japan's four main islands, where the winters are long and very cold and nature is pure and impressive they are devote to their music. Creating loop based tracks in a very skilled and unique way they will continue to build up their already massive discography. Hokkaido Loops 1 is the first of more to come soon.


 
 
Waki: "Music For Waki People" (Databloem)

Delicate techno grooves from Japanese master Wakisaka Akifuma. Many of you may know his most excellent earlier release "Music for Lazy People." Wakisaka Akifuma (Japan). Born in 1967. Started making electronic music at the age of 15. Studied Music Aesthetics at KYOTO UNIV. Founded a label "loveburger" in 1995 and has released 6 CDs from it. Released a CD + a vinyl from a German label TRAUM (KOMPAKT). Joined some compilations world-wide.
"my name is waki. a japanese techno-minimal-ambient...whatever kind of musician. i live in tokyo. tokyo is a hell. a hell needs a heaven. i looked for a heaven. and i found music. i found morris ravel. i found kraftwerk. i found james brown. i found joan gilberto. i found j.s. bach. and i met lots of great musicians. ... sometimes music is really great. i hope my music is nice for you as well."


sabato 22 aprile 2006

Ossessioni della settimana




 








  
Tilly and the Wall: "Wild Like Children" (7,5)
Tilly and the Wall: "Woo!" (7)

questa è musica primaverile!!
"wild like children" mi mette un'allegria impressionante, con il suo pop sbarazzino e frizzante.
canzoni semplici ed emozionanti come solo la Moshi Moshi ci sa regalare. tutto il disco è pervaso da un piglio scanzonato, senza derive sperimentali nè fronzoli di qualsiasi tipo.
canzonice essenziali per un sole che finalmente esce in tutto il suo splendore.


  
 











destroyalldreamers: "A Coeur Leger Sommeil Sanglant" (7)
destroyalldreamers: "Glare/Halo EP" (7)
destroyalldreamers: "Demo EP" (6,5)
AA. VV. : "Je L'ai Fait Pour Toi" (7,5)

i destroyalldreamers sono un ottimo gruppo di post-rock proveniente da Montreal e la loro etichetta è la Where Are My Records, di cui ho ascoltato una compilation.
il loro approccio al genere è molto orchestrale, dilatato e quasi slow-core da tanto l'andamento si fa spesso claudicante e malandato.
"a coeur.." è uno dei miei album preferiti del genere, per i suoni particolari al suo interno, per il suo piglio malinconico, per gli attimi di pura estasi strumentale.
date un occhi al catologo di questa etichetta, ci sono gioiellini rimasti per troppo tempo ingiustamente nascosti.



 
 
Sybarite: "Musicforafilm" (7)
Sybarite: "Placement Issues" (8)
Sybarite: "Nonument" (6,5)
Sybarite: "Scene Of The Crime EP" (7)

un altro artista lasciato a se stesso, ovviamente scoperto da quell'etichetta madornale che è la Temporary Residence Limited.
acustica deviata, IDM, glitch, pattern vocali smembrati, piccoli rigoli di ritmo martoriato, canzoni per uno spazio glaciale.
una chitarra è spappolata fino allo sfinimento, traendone un suono tutt'altro che conciliante, un battito di drum-machine assomiglia a un timbro robotico.
placement issues è un capolavoro. per il suo modo di prendere in mano una manciata di generi e tirarne fuori un lavoro coeso, magico, ritmico, mai noioso.

Artisti Jappo

Ken Ishii: "Flatspin" (7)
Ken Ishii: "Future In Light" (8)
Ken Ishii: "Green Time" (6,5)
Ken Ishii: "Innerelement" (7)
Ken Ishii: "Interpretaton" (6-)
Ken Ishii: "Jelly Tones" (7,5)
Ken Ishii: "Sleeping Madness" ()
Aoki Takamasa: "Silicom" (7)
Aoki Takamasa: "Indigo Rose" (7)
Aoki Takamasa: "Silicom Two" (7)
Aoki Takamasa+Ogurusu Norihide+Takagi Masakatsu: "Come And Play In Our Backyard" (8)
Aoki Takasama: "Quantum" (7-)
Aoki Takasama: "Simply Funk" (7,5)

qua siamo davanti a due degli artisti di elettronica più importanti attualmente esistenti, importanti non solo nel contesto giapponese ma anche imitati all'estero, tanto che vengono richiesti anche in Europa e in America come produttori, dj, compositori, ecc
Ken Ishii è un g-e-n-i-o.
le sue torbide atmosfere ottenebranti ti entrano dentro e infettano ogni tua cellula, per condurti in un mondo fuori da ogni immaginazione, un piccolo globo fatto di suoni dalle sembianze cattive e ossessioni timbriche.
Non so come sia possibile realizzare un album come "Future In Light".
un momento è ambient, un altro vira su una techno che più minimale non si puo', in altri frangenti vira su una IDM di warpiana memoria ma mai così personale. un album, un sogno.
meglio che non parlo di "Sleeping Madness", altrimenti scrivo troppo.
amore e basta.
aoki takasama è dedito a tutt'altro genere di elettronica, molto più sotterranea e concettuale. lui è amante del glitch e dei suoni pià puntigliosi, meno ricercatore del groove possente ma cesellatore di composizioni pungenti e disturbanti.
il tanto amato "28" nasce proprio dalle sue mani, i suoni sono (quasi) completamente suoi, e si sente.
sempre nel 2005 spunta con un album fantasmagorico come Simply Funk e non c'è che da rimanera a bocca aperta. glitch-techno, glitch-ambient. un po' di tutto in questo album, ascoltate l'iniziale That Melody.... ne rimarrete congelati ma attratti al contempo.
e per finire vorrei citare il mai dimenticato Come And Play In Our Backyard, un disco proveniente da 3 monumenti della musica giapponese tutta, fatto con il cuore e trasudante passione. un pop così, nel 2000, raramente lo si sente. è un pop vero. e non c'entra niente se ci sono le macchine. quelle sono solo contorno, l'anima è pura come non mai.


Sorpresa della settimana





 















Toy: s/t (Smalltown Supersound, 2006) (7)

toy-tronica!!
ma quanto mi sono innamorato di questo disco??
glitch come se piovesse, strumenti giocattolo, tastierine casio da quattro soldi, spirito pop, pennellate di colore vivissimo, fantasie assortite.
con i dischi dei To rococo Rot, Matmos e Microstoria sotto il cuscino, dormono notti fatti di sogni con una bambola parlante, un carillon leggermente danneggiato e un sorrisino sbarazzino.
recensione a brevissimo. 

venerdì 21 aprile 2006

Migu: s/t (Ochre Records, 2003)




 







più o meno tutti conosceranno Keigo Oyamado aka Cornelius.
nessuno sicuramente conoscerà la sua batterista. chi avrà visto un live di Keigo avrà notato la poliedricità della ragazzina alle pelli.
beh, lei si chiama Yuko Araki e per l'occasione (il suo album di debutto) decide di chiamarsi Migu.
la sua versatilità viene tutta fuori in questo album vagamente sperimentale ma dal cuore dolce e finemente cesellato. canzoni monche e spezzate, piccoli grumi di ritmo s'accumulano per poi esplodere e emanare un suono disturbante, sovente la parte romantica di Yuko emerge e ci propone canzoni tenere e graziose.
la sua vocina è quella della glitch-pop-girl giapponese, per farvi due esempi: tujiko noriko, piana (naoko sasaki), gutevolk (hirono nishiyama).
Sakaiminato è un brevissima introduzione, follia percussionistica processata digitalmente.
Nella seconda traccia (non c'è la traduzione dal giapponese) il suo è più un racconto, una confessione, più che un approccio da "cantante". un piano spara note come fuochi d'artificio colorati, la drum-machine è un battito meccanico e slabbrato, il vocoder filtra una voce in lontananza, la deriva strumentale, sul finale, è un flusso elettronico complesso e giocattoloso.
Lazy è ossessiva e morbosa. Un groove di batteria diritto e preciso, glitch che scintillano in sottofondo, il cantato sempre in disparte, la chitarra emana note parsimoniose e sibilanti, sdruciture elettroniche squarciano il ritmo come se fosse un delicatissimo panno di seta. il tutto si approssima dolcemente a un tenero silenzio, solcato solamente da rigurgiti di rumore, pungenti quanto una spina affilatissima.
siparietto classicheggiante (poco più di 30 secondi) in Drive Strings 0.
Spider inizia così:
: "There's a spider! In My Room! What Should I do?"
il testo è un esilarante racconto dell'inseguimento di un fantomatico ragno, che scappa per casa. la canzone è volutamente giocosa, fra una tastierina con il vizio di spezzare le sue note sul finire, ancora un pattern di batteria trascinante, sprizzare di colori digitali da parte d'un oggettino per fare le bolle di sapone. pura fantasia e ritmi sconclusionati per una canzone mai doma, una favola amatoriale e birichina.
Train Run è uno dei pezzi glitch-pop più belli mai ascoltati. loop chitarristici, la vocina di un angelo sbarazzino tratteggia una fiaba misteriosa, un'elettronica soffice quanto una nuvola fumettosa, ricami ritmici veloci e docili al tempo stesso.
Jazz è un marcetta jazzata irrefrenabile, un flauto s'intromette dispettoso, bleeps brillano di luce propria, il contrabbasso è un continuo molleggiare di pulsanti disegni melodici.
L'inizio di What To Do? prelude a un canzone (apparentemente) semplice ma significativa. Ancora quella voce che pare raccontare più che cantare, un battito di charleston loopato fino allo sfinimento, sparuti colpi di chitarra, rigurgiti elettronici sporchissimi e malandati. il tutto si sviluppa in maniera completamente (in)organica, fra un attimo di andamento (ir)regolare e frangenti di rumore digitale piacevolmente disturbante.
Sono o no una batterista? Ecco, questo chiede a se stessa. La risposta sta nel delirio percussionistico di Wait!.
L'accoppiata Drive Strings 2 e Drive sono un'ulteriore prova della miriade di idee che puntualmente si presentano nella testa di Yuko.
La prima è un bozzettino colmo di strumenti acustici, fra una miriade di archi che si intrecciano amorevolmente, attimi di panico e pause cariche di emozioni. La seconda è un sibilo digitale che ti entra in testa e non ti molla un secondo, ancora quell'incidere vagamente jazzato, un refrain incontenibile, accordi di chitarra gentili e accomodanti, rumorini sconosciuti, glitch-ettini puffettosi. pura estrosità.
la coda del disco è affidata al Sakaiminato 2, il gemellino della traccia iniziale.
un bel frullato di vari generi e attitudini, approcci e sensazioni, una scatola nera la cui scoperta si rivela sorprendente e inaspettata.

domenica 16 aprile 2006

Akeboshi: "Faerie Punks"


















era tanto che non ascoltavo il mio amato akeboshi.
stasera son tornato a percorrere i sentieri colorati di faerie punks.
un colpo al cuore. preciso al centro. senza nemmeno darmi possibilità di reagire.
queste 4 canzoni sono grandi come un sole splendente, piccole e curate come il diamante più raro.
c'è un qualcosa di emozionante fra tutte queste note, un timbro fugge con il sorrisino felice, un battito è uno schiocco metallico.
una lacrima di cristallo pianta dalla fatina raffigurata in copertina è l'inizio d'un flusso orchestrale continuo e sinuoso, fra una chitarra che sferza il silenzio e un fraseggio classicheggiante. c'è pure spazio per uno sfrigolio elettronico nascosto e velato. un cello sprizza tinte e immagini, un violino vola e tocca il cielo.
la voce decanta :"Hey Thereee! Hey Thereee!". appunto, questa è Hey There. non è bella. non è bellissima. è un sogno.
Night And Day è un affresco sfavillante, con le tinte che esplodono da tanto sono vive e frizzanti. il piano saltella come impazzito, in preda a una crisi di felicità, la voce sale e scende, fra un'altalena di sensazioni impressionante. la piano-song proveniente dal paradiso, con le sembianze tali e quali a uno scampolo di azzurro sconfinato. c'è pure spazio per il ritmo. non solo malinconia ma si fa largo uno straccio, un brandello di movimento, morto, ma presente.
Kamisama No Shitauchi giace fra l'abbraccio di un suono gustoso e deliziosamente sospeso in aria. il solito cantato fra un angelo e un demone, gli strumenti s'intrecciano con gentilezza, cesellando timbri concilianti e accomodanti. saper creare un qualcosa di prezioso e inestimabile, con qualche arrangiamento in più rispetto al passato, una ricerca melodica squisitamente raffinata e sapiente.
la title-track sprofonda ancora in un oblio di tristezza sonora, con quel piano che dondola piangendo, un violino gela l'aria rendendola irrespirabile, quando il pathos strumentale si fa insostenibile il tutto ti inchioda la mente e non ti lascia più. la fisarmonica s'insinua con un afflato d'altritempi, ancora parole in punta di piedi tratteggiano una storia sconosciuta e mistica.
un viaggio senza ritorno in un mondo povero di rifugi emozionali, ma ricco di frangenti in cui riporre il proprio cuore e custodirlo senza paura di smarrirne l'essenza.
ho poco tempo (e voglia) perciò questa settimana niente foto, nè commenti. solo una listina tetra, tetra.

short circuit - break your wall (7)
some water and sun - all my friends have to go (7)
the open - statues (6,5)
tosca - souvenirs (7)
ursula - autoayuda emocional (7)
vibrasphere - landmark (7)
wooden stars - mardi gras (7,5)
laika - Silver Apples Of The Moon (7)
laika - Sound Of The Satellites (8)
laika - Good Looking Blues (7-)
laika - lost in space (/10)
laika - Wherever I Am I Am What Is Missing (7)
lazarus - like trees we grow up to be satellites (7)
lazarus - songs for an unborn son (6)
hitomi yaida - here today, gone tomorrow (7)
ghost mice - ghost mice (5,5)
Advantage Lucy - Memai EP (7)
aco - lady soul (8)
adem - love and other planets (7)
reira starring yuna ito - endless story (7)
beyond sensory experience - the dull routine of existence (7,5)
ausia - kasa kasa (7)
arovane - lilies (7)
Aoa - Surfin' alright (6,5)
acetate zero - somehow about perfection (8)
grouper - way their crept (6)
gonzalez - solo piano (7)
kazumasa hashimoto - gllia (7,5)
aki tsuyuko - hokane (7)

venerdì 14 aprile 2006

Cheryl Wheeler: "Different Stripe" (Philo, 2003)



 















tante volte i dischi più belli si scoprono per caso, quasi se il destino c'avesse predistinato all'ascolto di una meraviglia senza averci avvertito.

in questo caso, almeno per me, è stato così.

prima di fare la conoscenza della signora cheryl wheeler, oggi stesso, c'era un qualcosa di fastidioso che mi tormentava l'animo.

dopo aver lasciato andare questo sogno mi son sentito meglio, molto meglio.

l'album in questione è una raccolta di canzoni timidamente acustiche, cantate con un voce profonda quanto un abisso infinito, parole timide e taglienti.

19 lacrime di una pioggia felice, sospiri di un essere malinconico e triste, gocce di una neve disciolta al sole.

una visione angelica si posa sulla terra ed emana un suono docile e conciliante, concepito per guarire ferite all'apparenza insanabili.

un folk composto con l'animo e proposto senza fronzoli, chitarra, voce, qualche percussione (quando elettronica, quando classica), qua e la un coro, un arco si presenta sovente con intromissioni dolci.

ah, la fisarmonica di Gandhi/Buddha mi ha gonfiato il cuore di felicità.

e non c'è una canzone sbagliata. sembra di sentire un'unica traccia dall'inizio alla fine, un filo conduttore collega tutto l'album, dando un senso di continuità all'opera. godendone tutto in un sol colpo.

si passa dalla scarna e granitica Northern Girl, con quel approccio emozionale, percorrendo i pericolosi vicoli di Almost, un piano che si introduce suadente e stille di ritmo si fanno largo.

Ed ancora un soffio di vento gentile in una gemma come Aces, una mattina dal freddo pungente e una chitarra imbracciata sopra il petto (Sylvia Hotel), la voce spicca un volo interminabile, solcando cieli immaginifici (75 Septembers), una lacrima (mi) scende ascoltando una favola straziante (So Far So Tall).

E non so distaccarmi da quel bozzetto gracilmente duraturo che è Arrow, una storiella raccontata con il sorriso (When Fall Comes To New England), lascio andar mente e cuore in quel turbine d'amore acustico che è la spartana Don't Wanna.

Ed ancora, ancora. le canzoni sono innumerevoli e non finiscono mai. sembra di sfogliare una margherita che non termina, con i colori che scintillano sotto il sole.

grazie cheryl, con le tue canzoni son riuscito a sopportare con più forza una mattinata iniziata male.

mercoledì 12 aprile 2006

Inside Man (Spike Lee, 2006)











visto ier sera.
sono rimasto un po' disorientato dal tipo di film proposto da Lee, anche se, come saprete, la sceneggiatura non è sua. lui il film lo gira e basta. divininamente peraltro.
niente da eccepire dal punto di vista tecnico/visivo, tutte le inquadrature e/o riprese nei vari frangenti del film sono perfette e si collocano adeguatamente nel contesto dell'attimo.
i protagonisti sono bravissimi e capaci di offrire attimi di pura azione e incredulità nei continui colpi scena presenti nella storia.
encomiabile il solito washington.
musiche perfette e coinvolgenti, composte da un ottimo terence blanchard. questo è un musicista davvero bravo, provate ad approfondire la sua discografia. dal vivo a Lucca fu veramente capace di creare atmosfere immaginifiche.
per il resto, che dire?
un ottimo action-movie. nè più nè meno. un ottimo film per passare 2 ore di discreta compagnia visiva, senza annoiarsi.
però, fatemelo dire. Il Lee della 25° ora non c'ha niente da spartire con questo. non c'è proprio paragone. e sapete anche voi, secondo me, da che parte pende la bilancia.

Pillow: "Flowing Seasons" (2nd Records, 2006)

















 Nell'attesa del nuovo album dei Giardini di Mirò, esce per l'ottima 2nd Rec il debutto solista del tastierista della band, Luca Di Mira, sotto il moniker Pillow (da non confondere con l’omonimo gruppo post-rock belga).
Le otto tracce racchiuse in “Flowing Seasons” rappresentano senza dubbio un ottimo viatico all'attesa, visto che condividono inevitabilmente le ambientazioni sonore della band d’origine. Tuttavia, l’affinità è più concettuale che non sonora, perché in questo disco si ritrova sì l’attitudine alla dilatazione ed alla sospensione sonora vagamente acida, propria di GdM, calata però in malinconiche ballate dalle predominanti atmosfere autunnali di indie-tronica minimale, notturna e romantica. A ciò contribuisce una scrittura non banale, pur in un ambito ormai piuttosto battuto, ed una sensibilità compositiva aperta anche a più d’una piacevole divagazione, come i molti passaggi acustici, un pianoforte che suona solo e maledetto ed un’elettronica che si fa a tratti più presente, lasciando impronte decise in brani quasi sempre arricchiti dall’elemento vocale, che in due episodi (“Cut-out-and-keep Quarrels” e “Mixologists And Waifs”) si concretizza nel cantato fragile e sognante del cantautore tedesco Finn. 


Atmosfere battenti di offuscata felicità si fanno opprimenti nell’incipit di “Song For Beginning”, fra una drum-machine che sbatte ombrosa e una chitarra cristallina che emana colori ad ogni vagito. Un canto vagamente mistico e solenne, un coro femminile e quel tocco di oscurità ne fanno un principio dalla bellezza scontrosa.
“Cut-out-and-keep Quarrels” è una folk-song vagamente classica che viene puntualmente ammorbata dal trattamento sempre più invadente dell’elettronica, con una sdrucitura che strappa e lacera, un battito deciso e insistente, un piccolo errore è un puntino di tinta vivace che sprizza una gioia variegata.
“In Deep Sea” vira su un approccio molto più elettronico, abbracciando in sé un qualcosa che sembra una IDM atipica, con una miriade di archi che cesellano linee melodiche squisitamente dolci e raffinate. Uno spirito classico s’ibrida con una mente aliena, inevitabilmente scontrandosi, ma anche regalando attimi di pura catarsi sonora.
“Indecision” è un pop dal sapore amarognolo, con quel tocco malandato e claudicante, dei suoni pungenti si ripetono ciclicamente, una voce femminile canta una poesia straziante, gocce di ritmo spezzato sono trasparenti, bollicine digitali dondolano fra un cielo azzurro e una nuvola bianchissima.
“Mixologists And Waifs” è la conferma che tutto è realizzabile con ancora quell’aria classicheggiante che si libera nell’aria, lo xilofono che tintinna metallico, piccoli glitch punzecchianti. Pulviscoli di voce si librano nell’aria, toccando vette (ir)raggiungibili e misteriose.
“Tree Shadow” è uno strumentale talmente bello che viene da piangere, le note di piano sono delle stelle che solcano cieli lontanissimi, il cello taglia il silenzio con violenza inaudita, il beat elettronico fraseggia contorni ritmici dalle sembianze espressive.
“Thick Skin” è un organo che si distende pacifico e rilassato, un oblio di glitch che sporca un qualcosa di finemente costruito, la voce di Jacqueline Tune è un canto proveniente dal paese delle meraviglie, accordi sognanti effigiano una visione terrestre. 


La conclusione (“With The Passing Of The Seasons”) spetta a un qualcosa intriso di tristezza finemente corrosiva e deteriorante. Un vero e proprio crescendo emozionale giustappone secondo per secondo tutti gli elementi per una canzone semplicemente stupenda. Ancora il piano trasudante dolore, un fiato che starnazza ululante, il groove meccanico che si fa sempre più gelido e uno straziante anelito che, alla fine dei suoi giorni, lascia il posto al silenzio, terminando un qualcosa di perfetto.
Ce n’è abbastanza per considerare questo album di debutto non una mera divagazione dalla band d’origine, ma un lavoro che esprime compiutamente le capacità del suo autore, collocandolo con pari dignità accanto ai migliori interpreti delle oblique intersezioni tra musica elettronica ed emozionali ambientazioni acustico-romantiche.

(7)

Recensione di Alessandro Biancalana e Raffaello Russo


Royksopp: "The Understanding" (EMI, 2005)

non avevo mai parlato di questo disco.
forse perchè ha caratterizzato tutta una mia estate, forse non ne ho avuto il coraggio, magari perchè era troppo tutto ciò che circondava questa opera.
ieri sera son tornato ad ascoltarlo dopo 9 mesi che non lo mettevo su.
troppo era nascosto all'interno, non riuscivo a riesumare certi ricordi, alcune emozioni legate a queste canzoni.
sento ancora Triumphant posarsi leggermente dentro di me, con il suo tono sommesso e soffice, il danzare orchestrale di alcuni timbri scanzonati, il crescendo d'un battito delicato, un'atmosfera plumbea e ovattata, gocce di ritmo dalle sembianze trasparenti. un piano spezza il silenzio con note taglienti, squarciandolo con facilità.
ed arriva quel singolo che non m'ha mai stancato, che non è mai riuscito ad abbandonarmi anche quando non l'ho ascoltato, quasi quel suono avesse sedimentato dentro di me senza lasciarmi mai completamente.
Only This Moment è un pianto che mi sale dal cuore fino al viso, per arrivare alla felicità, passando per la malinconia.
un turbine di questi elementi si generano in me come un flusso indipendente, senza logica nè una linea di continuità.
lascio andare la mente davanti alla voce degli stessi folletti norvegesi, viaggio in un cielo azzurro che mi trasporta da una nuvola oscura a un sole serenissimo.
scampoli di gioia fra queste note, da quel motivetto semplice che ti si inchioda nell'animo e non ti molla un secondo, fino alla vocina angelica della cantante. un oblio di semplice bellezza.
le convulsioni elettro-pop solari e scanzonate di 49 Percent sono un ballo sinuoso e colorato, Sombre Detune è un gioiellino ambientale ammorbato da bollicine digitali.
Follow My Ruin è contagiosa quanto una malattia benvoluta, Beautiful Day Without You è un pop semplice e tenero, un tocco di cesellatori musicali dal gusto armonioso.
What Else Is There? è un amore dal primo all'ultimo secondo, fra scampoli di musica gelida e una voce che tocca vette di espressività piacevolmente dolorose. Quel groove lo sentivo dentro di me anche in questi mesi in cui ho voluto allontanarmi, scappando da un qualcosa che prima o poi mi avrebbe (ri)preso.
e non mi dilungo ancora, perchè sarabbe infinito il fiume di parole per parlare delle convulsioni di Circuit Breaker, la landa sconfinata di Alpha Male ed ancora la coppia di gemme luccicanti formata da Someone Like Me e Dead To The World.
niente altro che l'amore per questo disco, magari come spesso mi capita (ahimè) l'oggettività viene sorpassata dal cuore e dai ricordi.
l'amore per un periodo della mia vita bello quanto un sogno immaginifico ed intenso fino all'inverosimile.
non sono certo se davvero questa manciata di canzoni siano significative o quantomeno innovative.
l'unica cosa di cui sono sicuro è che rimarranno dentro di me per sempre, non ci sarà attimo in cui dimenticherò questa favola sonora.

sabato 8 aprile 2006



SPOILER A TUTTA BIRRA

una delle commedie più atipiche e singolari mai viste.
l'ironia di fondo si ibrida con un gusto squisitamente macabro, l'amore per le immagini forti si alterna a una pennellata soffice e tenera, un tramonto che sfuma in notte, un'alba timidamente calorosa.
i due personaggi coinvolti sono due persone fortemente eccentriche e singolari.
il ragazzo, in seguito a un episodio d'infanzia, gode nell'inscenare dei falsi suicidi. Dal galleggiare in piscina come un annegato, fingersi un impiccato nel salotto, spararsi in fronte con una pistola finta. tutti episodi assolutamente inverosimili che diventano comicità lugubre e sottile.
in questo senso risultaassolutamente spiazzante l'inizio del film.
provare per credere.
in definitiva risulta una personalità distaccata e riservata, costretto a una vita controllata a vista da una madre oppressiva e insofferente per lo stato del figlio.
la donna è una collezionatrice di profumi, pittrice, creatrice di sculture per esercitare il "tatto", ladra di auto. vive la sua esistenza fra una frase colorata e un sorriso ottimista.
il loro incontro è dettato dal caso, se non completamente disegnato dal destino, l'inizio d'un rapporto pian piano sempre più stretto, approfondito, a suo modo passionale.
riversando nei loro incontri tutto le loro ossessioni, le loro personalità contorte e particolari, condividendo attimi di puro amore, nonostante l'apparente impossibilità, data la voragine anagrafica che li divide.
nel mentre i giorni passati insieme si fanno sempre più frequenti la madre di Harold dedice di farlo sposare. Invita nella loro (stupenda) dimora delle ragazze che potranno essere delle possibili compagnie. i modi con cui riesce a farle scappare tutte è fantastico: quando inscena un suicidio incendiario, quando tira fuori un accetta e si taglia una mano sul tavolo da tè, quando usa un finto coltello da harakiri per trafiggersi lo stomaco.
l'attore in questione in questi frangenti evidenzia una perfezione espressiva impressionante. uno sguardo dritto e deciso, senza emozioni, assolutamente impassibile. davanti alla morte si fa serio e gelido.
i suoi sorrisi possono essere invece apprezzati quando le giornate sono passate attorno all'entusiasmo della vecchia, fra un pomeriggio di sole in un prato e una corsa spericolata in auto. fuggendo dalla polizia per andare a piantare un albero che soffoca in città.
il finale è una continua sorpresa, con i due che si dichiarano amore, un (assurdo) matrimonio esposto alla madre in panico, le parole di un prete disgustato, il vero suicidio della vecchia al compimento del suo 80esimo compleanno, la folle corsa del ragazzo verso un dirupo. l'auto cade. si schianta sulla spiaggia.
sembra davvero che questa volta la sua vita sia finita davvero.
invece lo vediamo sfilare sullo sfondo con il suo banjo in mano che saltella suonando una canzone. la canzone del suo amore impossibile.
Ossessioni della settimana



Montag: "Are You A Friend?" (7)
Montag: "Objets Perdus EP" (7)
Montag: "Alone, Not Alone" (7,5)

musichetta per personcine distratte e tenere.
una sorta di indie-tronica che spesso si ibrida con una IDM minimale, campionamenti classici s'introducono con gentilezza, strappi sonori sono all'ordine del giorno, ma non feriscono, smuovono leggermente, con dolcezza.
ho ascoltato alone, not alone mentre viaggiavo in auto, con il sole splendente che stava scendendo, sulla sera, beh, è stata un'emozione fantastica. mi sembrava di essere in un bosco fatato con il sole che frangeva il silenzio.



Infadels: "We Are Not The Infadels" (7)

Dopo una miriade di 7", singoli e remix vari dei pezzi composti, arriva l'album lungo di questi punk-dance-rockers.
il disco è una bomba bella e buona.
sarà ruffiano e modialo ma la maggior parte delle canzoni colgono nel segno del ritmo malato e deliziosamente caotico.
Dall'adrenalina di Can't Get Enough, passando per il disco disco-punk ballerino come solo i Fischerspooner sanno fare così bene (Jagger '67), facendo(mi) ballare in maniera forsennata con Topboy.
sosterà bel po' nelle mie orecchie. sicuro.



Kazumasa Hashimoto: "Epitaph" (7)
Kazumasa Hashimoto: "Yupi" (7)
Kazumasa Hashimoto: "Gllia" (7,5)

ancora elettronica proveniente dal Giappone.
i primi due album di kazumasa sono stelline luccicanti che splendono e viaggiano veloci fra le galassie. un glitch docile e giocattoloso, un accenno di ritmo, soffici tepori sonori. ne parlai qua.
arriva il 2006 ed esce il suo nuovo album.
c'è bisogno di dirlo? sì, è bellissimo.
c'è più acustica rispetto al precedente, e addirittura partiture cantate.
ancora un pop distorto e monco ammorbato da una tenera produzione povera, una forte presenza del piano, una miriade di note sibilanti e sorde. un album per le notti solitarie e un gran bisogno di tenerezza.

J-Rock Mania



+



The Indigo: "Once More" (7)
The Indigo: "Glider" (7,5)
The Indigo: "Song Is Love" (6)
The Indigo: "Under The Blue SKY" (7)
Fra-Foa: "Chuu No Fuchi" (7)
Fra-Foa: "13 Leaves" (7)
Fra-Foa: "Kienai Yoru Ni" (6)
Fra-Foa: "Kirameyuku Mono" (7)

questa settimana un po' di j-rock. sopratutto due band.
i the indigo sono tra le proposte più interessanti nel panorama del Giappone, con un rock molto atmosferico e ritmico, lento e melodioso.
interventi di sax e tastiere vintage fanno di glider un disco bello e variegato, con quella Mermaid che ti rimane in testa per giorni e giorni. lasciar andare Song For You all'infinito e distendersi. non vorrei che finisse mai questa canzone. mai.
i fra-foa sono altrettanto bravi, nonostante il singolo Kienai Yoru Ni sia sottotono. un album come 13 leaves esprime appieno tutte le potenzialità dei suoni rock provenienti dal mondo jappo, fra una chitarra gelida e una voce angelica. Kirameyuku Mono sboccia e propone colori vivaci, Chiisana Hikari è una canzone che mi fa emozionare ad ogni suo ascolto.

Sorpresa della settimana



You Say Party! We Say Die!: "Hit The Floor" (7)

questi sì che sono fuori di testa. Cool
un rock scalmanato e vagamente disco, fra divagazioni ballerine e testi esilaranti.
sono giorni che non faccio che ascoltare quel siluretto che è The Gap, irresistibile marcetta, fra frasi reiterate all'infinito, groove di batteria incessante, una tastiera che non si ferma più.
You Did it! è una canzoncina monca e spastica, volutamente incompiuta, Midnight Snack straborda di ritmo.
il massimo della follia arriva con He!She!You!Me!They!We!Us!Ok!. 2 minuti e mezzo di furia punk con un attitudine da ballo, assolutamente esilarante e incontenibile.
mi stanno facendo impazzire! Cool

giovedì 6 aprile 2006



Flunk: "Morning Star" (Beatservice, 2004)

atmosfere leggermente sognanti, un tocco nordico che sa di freddo e gelo, quei suoni spigolosi che nascono dai fiordi.
il gruppo è norvegese ed è composto da Anja Øyen Vister, Jo Bakke e Ulf Nygaard. Perfetti sconosciuti, direte voi. beh, in effetti lo sono.
i loro album sono intrisi di dolcezza malinconica e sensazioni sospese in aria come un bolla di sapone, timidamente colorate e vivaci.
goccioline di elettronica rimbombante, soffici veli di una chitarra lontana, una voce distante e sofferente, note timide e scontrose.
il disco in questione è un sogno ad occhi aperti, fra un pop che si fa digitale, quei ricordi di trip-hop che si presentano puntualmente, uno sfrigolio meccanico che si tramuta, di volta in volta, soave o doloroso.
Morning Star è un racconto fiabesco cantanto con il cuore in mano e gli occhi socchiusi. La voce di Anja è un fiore sfavillante che mostra tutti i suoi colori, regalando momenti di pura emozione. Il contorno strumentale è un dream-pop che si ibrida con un'elettronica armoniosa e spumeggiante, il battito metallico detta un ritmo per una corsa incessante verso la felicità.
Oh My Balcony è una canzone timidamente allegra, fra una voce che sale in paradiso, una chitarra che suona timorosa, un filo digitale pende dall'alto come un goccia di acqua congelata dal freddo. Timbri di tastiera dondolano senza pause, scomparendo all'orizzonte con velocità incessante. Motivetto per un inverno finito ma mai dimenticato.
Spring To Kingdom Come è un trip-hop crepuscolare, lacrimevole e profumato da un gusto amarognolo, Six Seven Times sa commuovere e ballare allo stesso tempo, fra un ritmo ciondolante e un drone che pare infinito, se non silenziosamente rumoroso.
All Day And All Of The Night è la traccia più movimentata, il beat si fa leggermente incessante, una chitarra slabbrata si concede ad attimi di follia, note di basso pulsano regolarmente, una voce maschile fa capolino e si alterna al canto angelico di Anja. Un sogno che si fa incubo e si trasforma in visione onirica un attimo dopo.
I've Been Waiting All My Life To Leave You si concede completamente, proponendoci tutto il suo animo toccante e sincero.
Sapori sgranati e indefinibili, una corda che viene toccata con prudenza, parole flessibili e misurate, echi di dolore, frangenti d'un suono mai dimenticato e sempre pronto a regalarci quel calore di cui il nostro cuore ha bisogno. La canzone d'amore per i momenti disperati.
Quando lo spazio si fa terreno e cesella un qualcosa di estraneo e misteriosamente appartato (Blind My Mind), mentre ci ritroviamo ad ascoltare un qualcosa che trasmette paura ma ci rilassa i sensi, con gentilezza (Everything Is Ending Here).
La favola fra un prato con la neve sciolta e il sole accecante si approssima alla fine con l'ultimo lascito, dal nome Kemikal Girl.
Ed ancora un qualcosa di nostalgico ci ammorba l'animo, una sensazione di ottenebrante perdizione si prolifera dentro di noi, fra una voce che lascia nell'aria lacrime dolorose e una chitarra che non ne vuole sapere di suonare gioiosa.
Negli ultimi secondi di musica il silenzio arriva improvvisamente e ci sentiamo perduti.
Non ci resta che tornare che tornare all'inizio e dare ancora il la a una fiaba che ogni volta pare diversa, ogni volta pare più lucente, ogni volta suona sempre più rassicurante.

mercoledì 5 aprile 2006

Carter Tutti, 31 Marzo @ Cascina, Città del Teatro



Due settimane dopo il concerto di AGF & Delay, alla Città del Teatro, approdano Chris Carter e Cosey Fanni Tutti, in arte Carter Tutti. Due membri degli storici Throbbing Gristle, quando nel 1981 la band si scioglie, si uniscono sotto il nome Chris & Cosey. Pubblicano svariati dischi sotto la Rough Trade, incentrati in una sinuosa commistione fra elettronica, singolari tecniche di campionamento, ritmi alieni. Le doti sia strumentali che vocali di Cosey, marchiano definitivamente la formula, rendendola inusuale e seducente.
Precisamente nel 1983 formano un’etichetta tutta loro, dal nome Conspiracy International (aka: CTI), per le loro uscite più sperimentali e le collaborazioni parallele.
Vengono citati regolarmente come tra i più innovativi ed estrosi produttori di elettronica atipica e, non di seconda importanza, stimati DJ, richiesti in tutta Europa.
All’epoca (parliamo dei primi anni 80) album come “Trance” diedero una grande scossa al mondo della produzione discografica di settore, ibridando l’anima industrial con suoni synth-pop.
Sempre prodigi a una commistione con varie discipline, si sono spesso e volentieri interessati ad ambiti artistici collaterali, instaurando rapporti lavorativi con scrittori, video-maker e scultori del suono. Da segnalare l’assidua frequentazione del duo nell’ambito dell’elettronica che conta, con partecipazioni ad album di gente come Monte Cazazza, Coil, Current 93, John Duncan, Erasure, The Eurythmics, Boyd Rice, Robert Wyatt, ed altri ancora.
Negli ultimi anni si sono dedicati alla composizione di opere per installazioni sonore, da cui è scaturita una serie dal nome “The Library Of Sound and Electronic Ambient Remixes”, un lavoro molto corposo ed ambizioso.
Avvicinandosi all’attualità, nel 2005, insieme a Peter Christopherson e Genesis P-Orridge hanno riformato i Throbbing Gristle, con memorabili performance live e un album nuovo di zecca.
Dopo questa piccola introduzione, veniamo al concerto in questione. I due si presentano con un fare quasi distaccato e molto appartato, mostrando un atteggiamento molto sommesso. L’esibizione è un’unione fra sinuose proiezioni video e la musica prodotta dai due. Le basi ritmiche sono preregistrate, e di volta in volta sia Chris che Cosey aggiungono improvvisazioni di vario genere. Il primo agisce al laptop e vari ammenicoli elettronici, la seconda canta, suona la tromba e maltratta la chitarra.
Le atmosfere sono molto scure e rumorose, la commistione fra immagini e suoni è perfetta, uno sguardo ai colori che scintillano e un ascolto ai timbri scorbutici risulta piacevolmente disorientante. I pezzi uno dopo l’altro scorrono con un ritmo che sbatte e si sfascia con violenza, le note di chitarra sono rumorose e puntigliose, una miriade di loop schizzano nell’aria circostante, piccole voci si fanno largo fra un buio impenetrabile. Non c’è praticamente pausa fra un pezzo e l’altro, il tutto si sviluppa organicamente come se fosse un’unica traccia che piano piano si alimenta e prolifera autonomamente.
Fra un ambient-techno notturna, rumori industriali e uno sperimentalismo mai fine a se stesso ne eccessivamente invadente.
Le immagini sono colori stilizzati che si muovono a rilento o con incidere impaziente, i ricami cromatici si mescolano a vicenda, confluiscono in un tripudio di bellezza visiva ed estasi percettiva.
Nonostante la serata positiva, la performance finisce molto presto, a conti fatti nemmeno 50 minuti di musica. Peccato, un maggiore approfondimento avrebbe giovato alla formula perfettamente creata.
Nel complesso un’esibizione con punte di pura ossessione percussiva, frangenti di malinconia digitale e attimi di pura cattiveria sonora.


un film tedesco scovato quasi per caso.
incuriosito dalla nomination agli oscar (come miglior film straniero) nel 2004, mi sono inoltrato nella visione senza saperne niente.
scopro successivamente che il regista è Ben Sombogaart e la pellicola è tratta dal racconto della scrittrice Tessa de Loo.
la storia è ambientata nel periodo precedente alla seconda guerra mondiale, la attraversa, fino a sorpassarla pienamente, arrivando ai giorni nostri.
un racconto toccante e sentito della vita di due sorelle gemelle, unite fin dalla nascista da un grande affetto e amore reciproco.
le sequenze della loro esistenza bambinesca sono molto musicali, estatiche e sognanti. i loro balli infantili in un prato colorato sono frangenti bellissimi.
la loro unione si spezza in nel momento di maggiore felicità, divise da una famiglia che non accettava una figlia malata (tisica) al loro interno, affidandola per sempre ad un altro ambiente, ceto sociale, collocazione geografica.
lo sviluppo delle loro vite viene pennellato con un grande tocco poetico, senza eccedere in lungaggini (nonostante questo il film dura parecchio) e non tralasciando particolari significativi, emozionando in ogni suo piccolo angolo.
viene trattato il tema dell'antisemitismo, senza presunzione, ma con un grande tatto, non cadendo in sterili luoghi comuni.
le musiche sono molto coinvolgenti e nei frangenti più colmi di senso ed emozione il pathos si fa ancor più intenso.
le coincidenze delle loro vite le portano ad essere antogoniste visto che, una si innammora di un ebreo (ucciso poi in un lagher), e l'altra si sposa con una SS austriaca. Quando si rincontreranno anni dopo, questa contraddizione emergerà, creando una grande frattura nel loro rapporto.
A questo propoposito è molto interessante il parallelo che c'è fra la storia al passato e il presente, in cui le due protagoniste ormai anziane, si ritrovano, fra litigi, frustrazioni e rimorsi.
le interpretazioni delle attrici che impersonano le sorelle nelle varie fasi della vita sono, di volta in volta, molto personali ed espressive, con punte di delicata eleganza.
il finale è molto toccante, quando le due sorelle si svegliano, dopo una notte passata nel bosco, di cui una distesa sulle foglie morta, e l'altra in lacrime per non aver capito che la sua metà voleva soltanto farle comprendere il suo amore.
confesso, in questi ultimi cinque minuti, di aver pianto.

sabato 1 aprile 2006

Ossessioni della settimana



Epic45: "Epic45 & 100 Pets Split" (7)
Epic45: "Epic45 / Avaray 7" " (7)
Epic45: "Reckless Engineers" (7,5)
Epic45: "Against The Pull Of Autumn" (8,5)
Epic45: "Slides" (7)
Epic45: "England Fallen Over EP" (7,5)

riprendo quasi per caso quel capolavoro indie che è Against The Pull Of Autumn, non ricordandolo così bello.
mi faccio prendere dall'entusiasmo e riascolto tutta la discografia, partendo dalle primissime uscite, fino al nuovissimo EP, uscito nel 2006.
siamo dalle parti degli HOOD, le atmosfere si fanno spesso oscure e gli accordi di chitarra sono come una stella lucente che vola lontana, un'elettronica soffice spumeggia suoni colorati, un silenzio rumoroso riempie dei vuoti ossessivi.
una band madornale, di cui scriverò una monografia.
ne hanno bisogno, perchè devono avere la visibilità che si meritano.



+



Pillow: "Flowing Seasons" (7,5)
Comfort: "Eclipse" (7)

Due opere italiane d'inizio anno, una più bella dell'altra..
Flowing è il disco solista di Luca di Mira, musicista attivo nei Giardino di Mirò. suoni soffici e candidi, atmosfere che sanno di spazio e terra, gocce di rugiada dopo una pioggia incessante, attimi di pura bellezza cristallina.
Comfort è invece un progetto in bilico fra post-rock, ambient, jazz spaziale ed estatico. magico.



Temporary Residence Limited. 2st Episode

Mono: "You Are There" (7)
Mono: "Walking Cloud And Deep Red Sky, Flag Fluttered And The Sun Shined" (7-)
Mono: "New York Soundtracks" (7)
Mono: "One Step More And You Die" (7)
The Drift :"Noumena" (7)
The Drift: "Travels In Constants Vol. 19" (7)
The Drift :"Streets / Nozomi" 12" EP" (6,5)
The Ladies :"They Mean Us" (7)

ancora temporary, concentrandomi su 3 band in particolare.
i mono sono la magia post-rock proveniente dla Giappone.
i loro album sono fatati al punto giusto, in cui il rumore è il soffio di un vento tagliente, il silenzio si tramuta in incantesimo mistico e un battito pare il ritmo di una guerra straziante. amore.
ottimi gli album the drift, fra un ambient che sa di rock e un suono disteso che pare la sonorizzazione di una landa maledetta.
altrettanto interessanti le schizofrenie pop dei Ladies, un'operazione particolare ed inusuale. da scoprire.

Artiste Jappo della settimana



+



Yuna Ito: "Precious" (7)
Yuna Ito: "Faith" (6,5)
Yuna Ito: "Endless Story" (7,5)
Aco: "Absolute Ego" (7)
Aco: "Irony" (7,5)

Yuna Ito ci ha lasciato alle stampe, l'anno scorso, un singolo semplicemente stupendo dal nome Endless Story.
la title-track è una piano-song p-e-r-f-e-t-t-a. ogni volta che l'ascolto mi sembra volare, fra un arco che sale veloce e la sua voce che veleggia cieli infiniti. Cool
Precious e Faith sono altrettanto ben curati e canzoni come Pure Eyes e la stessa Precious sono stille di acqua purissima e luccicante.
Aco fa una musichina sottile e leggera, leggermente classica e soffice quanto basta.
stille di elettronica sono un piccolo ruscello che scorre, dei loop viaggiano striscianti, la sua vocina è semplice deliziosa.
glitch-pop, sembianze trip-hop nemmeno tante accentuate, campionamenti provenienti dalla natura, groove giocattoloso.
non c'è niente da fare, questi sono i miei dischi..

Sorpresa della settimana



Glider: "Constante Degradations / The Time For Order" (6,5)
Glider: "With Ocean Between" (8)
Glider: "Sand From Water" (7)

le prime indicazioni positive s'erano intraviste con il 7" iniziale, peraltro molto interessante ma non incisivo fino in fondo, dove Constante Degradations scintillava veloce, The Time For Order un pò annaspava un pò ristagnava addormentata.
poi arriva With Ocean Between..
assomiglia a un disco post-rock ma poi si ibrida con suoni shoegaze molto pungenti, per poi sprofondare in paesaggi ambient di stampo dilatato, approdando a un qualcosa che pare uno slow-core smembrato.
il successivo sand from water è il remix-album del precedente, ovviamente più elettronico e compulsivo ma non meno espressivo.
altra band che deve essere ri-scoperta.