domenica 8 febbraio 2015

Hundreds: "Aftermath" (Sinnbus, 2014)















In un mercato discografico bulimico e sempre più colmo di proposte fra le più disparate, capita sempre più spesso che artisti di un certo rilievo non abbiano il risalto che meriterebbero. Nel caso dei fratelli Milner in arte Hundreds questa teoria è vera fin dal magnifico esordio. “Hundreds” - pubblicato nel 2010 – racchiude tutta la sensibilità tedesca verso il pop elettronico, commutata in parte dalle vecchie esperienze indietroniche, unita ad un songwriting dal sapore classico e ombroso. La voce di Eva, magistralmente incastrata nei pattern electro, risalta per limpidità e rende magica ogni singola composizione. Fra le migliori canzoni vale la pena recuperare “Solace” e “Machine”.

Ora, a distanza di cinque anni, con diversi tour molto estesi alle spalle e un disco di remix (“Variations”, datato 2011), i teutonici tornano con “Aftermath”. Se la qualità media delle canzoni rimane pressoché invariata, la forma è leggermente mutata. Il minimal-electro-pop dell'esordio vira verso un electro-pop sopra le righe, con synth più taglienti e ritmi decisi, dove l'apporto dell'elettronica è diminuito e in generale cambiato in termini di spessore sonoro. Tuttavia, anche alla luce di questo cambiamento, è impossibile rimanere indifferenti davanti alle costruzioni pop sopra la media, le linee vocali pulite e cristalline, il lavoro di post-produzione sugli strumenti acustici, il gusto nell'assemblare i vari elementi. Se si vuole lavorare per sinonimia, gli Hundreds sono un incrocio fra i Notwist più seriosi – per i frangenti più propriamente elettronici – e il pop raffinato di band come Autour De Lucie.

Per ricercare il picco dell'album saltare direttamente a “Rabbits On The Roof”, un fantastico tripudio di ritmi e suoni condotti senza nessuna sbavatura verso una forma intoccabile di electro-pop. La progressione con cui il sampling delle percussioni e la voce si fondono in un'unica cosa, trasportando l'ascoltatore fino in fondo, sono un vero e proprio esempio di perfezione formale. Nel resto dell'album troviamo soffici sbuffi pop (la title-track, le umbratili “Foam Born” e “Stones”), singoli perfino aggressivi (la vivace “Our Past”, le emozioni di “Beehive” e “Please Rewind”) e canzoni leggermente più canoniche (“Circus”, “Interplanetary”). L'impressione che si ha ascoltando tutto l'album è che le canzoni più compassate diano il loro meglio con l'iniezione di suoni elettronici, mentre le piano-song con poc'altro attorno - “Ten Headed Beast” rimane un bel pezzo - manchino leggermente di spessore. Di contro, gli episodi più corposi sono una naturale evoluzione della forma canzone dei fratelli Milner (sopratutto “Our Past”).

Coinvolti in questi giorni in un tour – Germania e Svizzera i paesi toccati - in cui rileggono in chiave acustica tutte le canzoni di “Aftermath”, gli Hundreds devono al loro prossimo passo ricamare il loro perfetto disco pop non dimenticando le loro origini ed assorbendo le nuove tentazioni cantautoriali. Compito non certo semplice ma non irraggiungibile per un duo che ha già saputo dimostrare il proprio valore.

(7)

recensione di Alessandro Biancalana