giovedì 4 aprile 2013

Locust: "You'll Be Safe Forever" (Editions Mego, 2013)
















Il ritorno alla composizione per Mark Van Hoen è una succosa iniezione di vitalità per i nostalgici dell’era d’oro dell’elettronica di fine anni ’90. Mark Van Hoen, come già ampiamente descritto all’interno della monografia dei Seefeel e nelle recensioni precedenti a suo nome, ha contributo a incollarsi addosso un immaginario di grande culto. Rimasto ai margini del collettivo capitanato da Mark Clifford, l’inglese si è sempre distinto per un approccio profondamente indipendente e poco appariscente nelle sue produzioni. Poco clamore, molta sostanza e attitudine a rimanere dietro le quinte. Tanti i suoi progetti, tanti i centri, pochi i buchi nell’acqua. Locust, progetto nato nel 1994 con lo scintillio quasi amatoriale di “Weathered Well”, è proseguito in una manciata di anni con quattro album e un mito che ancora scorre nel vociare degli appassionati.

Ora, a distanza di quasi vent’anni dall’esordio e dodici dall’ultimo album “Wrong”, Van Hoen, sulla scia del suo ritorno in solo negli ultimi tempi (meritevole d’attenzione il già trattato “Where Is The Truth”), produce, compone e mette in scena il suo ennesimo atto. Con l’aiuto di Louis Sherman (di cui poco si sa) “You’ll Be Safe Forever” è un disco nostalgico, palpitante, febbrile, legato a immaginari antichi ma non stantii. Il marchio Locust è fatto salvo e perfettamente riconoscibile: electro ambientale, voci di contorno, battuta bassa, attenzione alle melodie piuttosto che al ritmo, un suono pulito, centrato, delizioso e sognante.
C’è della nostalgica nelle trame di questo disco, nostalgia per quel sapore lo-fi dell’elettronica sbocciata con numi tutelari come Boards Of Canada e Aphex Twin e sviluppata negli anni anche grazie a carriere underground come quella di Van Hoen. Nostalgia che si trasforma spesso in un dramma malinconico, quel dramma caratteristico in quella musica di metà decennio, mai scontato o funereo, tuttavia disciolto, narcotico, decisamente fuori dai canoni. Come altro descrivere “Fall For Me” se non drammaticamente bella? Voci ambientali sfuggono a un quadro ben definito in un andirivieni di brandelli di melodia e ritmi caracollati, in una complessiva sensazione di grazia bucolica e fascino sfuggente.

Composto e assembrato in ben sei anni, “You’ll Be Safe Forever” rimette in circolo però anche quel caratteristico clima tutto metropolitano che, se non lambisce gli spigoli e le asperità dell’indimenticato “Truth Is Born Of Arguments”, ne rinnova comunque in pieno le suggestioni più intime, alternando numeri più asciutti e ritmicamente sostenuti (“Strobes”, “Just Want You”) ad appannamenti dreamy che rimandano in qualche modo al trip-hop della prima generazione.
“Non abbiate timore, avrete la salvezza eterna”, evangelizza ammiccante “Do Not Fear”, dubbie promesse di pace e serenità che si disperdono nel disorientamento urbano ultimo in una manciata di preghiere downtempo, fino alla catarsi seefeelianamente oscura della conclusiva “Corporal Genesis”.

Ritorno in grande spolvero per il signor Van Hoen, dunque. Non abbiate paura e lasciatevi pure confondere dalle adulazioni del maestro: sarete tutt’altro che salvi, ma ne avrete guadagnato prospettive nuove e un ascolto di pregiatissima classe.

recensione di Alessandro Biancalana e Roberto Rizzo

Combustible Edison: "The Impossible World" (Sub Pop, 1998)


Immagine inserita

Non ho mai visto citare questo album e onestamente non ricordo nemmeno io dove scovai la band. I Combustible Edison sono (stati?) un un vero e proprio "complesso": sei componenti. Una cantante dall'ispirazione vintage e una band che imbastice un teatrino strumentale molto variegato. In piena era downtempo, trip-hop e future-jazz, "The Impossibile World" è un qualcosa di assolutamente inedito. Incrocio originale e stranissimo fra lounge-jazz, cabaret-pop e atmosfere da film noir, la scaletta è un continuo crescendo di umori, stili e ritmi. Provate ad ascoltare alcune canzoni: