domenica 10 giugno 2012

Davide Matrisciano: "Traffico Di Pulsazioni (9 Modi Di Intendere Il Frastuono)" (Prehistorik Sounds ,2012)















Nato nel 1985, il precoce artista Davide Matrisciano compone la sua prima canzone a diciassette anni. Dopo un vario peregrinare fra associazioni culturali e studi teorici e pratici, la sua decisione di dedicarsi completamente alla musica arriva inequivocabile e necessaria. Per un compositore – sopratutto se produce musica non “pop” - riuscire a completare il primo album è un po' come nascere una seconda volta. Il musicista partenopeo mette insieme un'opera prima variegata, esplosiva, figlia di un'inesperienza genuina condita con la tanta voglia di tirar fuori le proprie idee.

“Traffico di pulsazioni” è un piccolo disco di musica elettronica, dove per musica elettronica si intende una serie di composizioni non necessariamente sintentiche ma con un sviluppo comandato da strumenti quali synth, drum-machine, campionatori e quant'altro possa ricondurre alla tradizione di tale genere. Il talento profuso per questi nove pezzi è evidente e viene a galla in maniera palese e forse un po' disomogenea, dove tuttavia il piacere dell'ascolto non viene inficiato da uno sviluppo frenetico e opulento. Un esordio che ricopre tutti gli stilemi dell'iniziazione: potenzialità ancora inespresse, furore da esordiente, voglia di sorprendere.

Una dopo l'altra, le canzoni si succedono secche e rigorose. “Passeggio tra luci psichedeliche” è un gommoso centrifugato fra IDM ed electro, “Gente in piazza” ricorda certi quadretti ethereal di metà anni '90, “Aria nuotatrice” è un interessante colloquio fra field-recordings, chitarra e brandelli di melodie classiche. Se “Noia e affanno” pare un carillion fatato, il resto dell'album diventa più ambientale - vagamente screziato seppur lievemente – dove le varie “Spine inermi” e “Incredibili visioni” richiamano la kosmische musik quanto le influenze ambient-techno di fine anni '90. Questa parte d'album è quella che più avrebbe meritato un maggiore sviluppo in termini minutaggio, da cui si sarebbe potuto apprezzare un potenziale melodico-ritmico di grande pregio. Non ne risente tuttavia la riuscita finale, considerando che la musica che ne esce fuori è comunque gradevole ed efficace.

Dove il frastuono – come da titolo - diventa timido candore, l'artista da il meglio di sé. Leggendo la sua biografia si apprende che è già in lavorazione il secondo album, la cui natura prenderà una piega più pop. Ciò che ci auguriamo è che l'essenza non cambi assolutamente, ed anzi, si potenzi sempre di più verso la direzione di questo suo primo lavoro.

(7)

recensione di Alessandro Biancalana

martedì 5 giugno 2012

Barbara Morgenstern: "Sweet Silence" (Monika, 2012)

Inframezzato dalle prove in gruppo con i September Collective ("Always Breathing Monster" del 2009) e l'esperimento jazz insieme a Bill Wells, Annie Whitehead e Stefan Schneider ("Paper Of Pins" sempre del 2009), "Sweet Silence" arriva a quattro anni di distanza da "BM" accompagnato da una buona dose di sorprese.
Con le ultime uscite l'artista berlinese sembrava aver abbandonato l'electro-pop tipicamente tedesco, marchio di fabbrica molto in voga ad inizio anni Zero. Lo stesso "BM" si smarcava in modo netto da certe trame proponendo un pop orchestrale dal fascino irresistibilmente retrò e raffinato, la cui componente elettronica si riduceva ad alcuni ricami.
"Sweet Silence" sembra invece tornare indietro di una decina d'anni. Infatti la struttura è quasi completamente sintetica, tanto che nei pezzi cantati sembra di sentire un synth-pop primordiale, robotico, in cui l'evocazione dei Kraftwerk è quasi scontata (si ascolti l'intro di "Highway", in cui lo spettro dei maestri di Düsseldorf si aggira già nel titolo).

In questo disco la prima cosa che risalta in maniera lampante è la bellezza dei suoni. Un album elettronico riesce a sollevarsi dalla media se le melodie sono belle, inusuali, frizzanti e non statiche. In "Sweet Silence" troveremo un campionario sterminato di composizioni impossibili da dimenticare - infatti, fin dall'iniziale title track, passando per la magnifica e gelida "Spring Time", saremo assaliti dall'inappuntabile grazia di ogni singolo pertugio.
Il nuovo lavoro si muove però anche su un ulteriore livello, che potremmo definire quasi "cantautorale". Forte delle recenti esperienze di reading poetry (il progetto "Only My Pen Tolerates My Choices"), senza dimenticare il cameo nel canzoniere della concittadina Antye Greie-Fuchs, la Morgenstern sembra voler allargare il proprio raggio d'azione, abbandonando per una volta la lingua tedesca e abbracciando un campo lirico alquanto esteso, che spazia da frammenti di routine quotidiana a quiete riflessioni esistenziali, con la solita penna sottilmente canzonatoria, ma con una marcia in più in termini di poetica e comunicatività.

È grazie a questa combinazione, quindi, che "Sweet Silence" funziona alla perfezione come disco pop brillante e maturo, composto da tredici tasselli che si reggono peraltro benissimo anche singolarmente: il leggiadro synth-pop di "Need To Hang Around", il gioco a incastri di sampling vocali di "Kookoo", il gentile upbeat di "Jump Into The Life-Pool" (che riproduce sinteticamente quell'eterno movimento a spirale qual è il cerchio della vita) fino alla sinuosa deviazione electro di "Auditorium", in cui è più percepibile la mano di T. Raumschmiere in regia, e il bel crescendo glitch-techno di "Status Symbol", unico pezzo ad osare oltre i quattro minuti.

Diretto e incalzante, "Sweet Silence" è un esempio magistrale di leggerezza e lavoro certosino, di essenzialità e freschezza primaverile. Per un disco che si rifà a modelli creduti morti e stantii non è davvero niente male.

(7,5)

recensione di Alessandro Biancalana e Roberto Rizzo