martedì 5 giugno 2012

Barbara Morgenstern: "Sweet Silence" (Monika, 2012)

Inframezzato dalle prove in gruppo con i September Collective ("Always Breathing Monster" del 2009) e l'esperimento jazz insieme a Bill Wells, Annie Whitehead e Stefan Schneider ("Paper Of Pins" sempre del 2009), "Sweet Silence" arriva a quattro anni di distanza da "BM" accompagnato da una buona dose di sorprese.
Con le ultime uscite l'artista berlinese sembrava aver abbandonato l'electro-pop tipicamente tedesco, marchio di fabbrica molto in voga ad inizio anni Zero. Lo stesso "BM" si smarcava in modo netto da certe trame proponendo un pop orchestrale dal fascino irresistibilmente retrò e raffinato, la cui componente elettronica si riduceva ad alcuni ricami.
"Sweet Silence" sembra invece tornare indietro di una decina d'anni. Infatti la struttura è quasi completamente sintetica, tanto che nei pezzi cantati sembra di sentire un synth-pop primordiale, robotico, in cui l'evocazione dei Kraftwerk è quasi scontata (si ascolti l'intro di "Highway", in cui lo spettro dei maestri di Düsseldorf si aggira già nel titolo).

In questo disco la prima cosa che risalta in maniera lampante è la bellezza dei suoni. Un album elettronico riesce a sollevarsi dalla media se le melodie sono belle, inusuali, frizzanti e non statiche. In "Sweet Silence" troveremo un campionario sterminato di composizioni impossibili da dimenticare - infatti, fin dall'iniziale title track, passando per la magnifica e gelida "Spring Time", saremo assaliti dall'inappuntabile grazia di ogni singolo pertugio.
Il nuovo lavoro si muove però anche su un ulteriore livello, che potremmo definire quasi "cantautorale". Forte delle recenti esperienze di reading poetry (il progetto "Only My Pen Tolerates My Choices"), senza dimenticare il cameo nel canzoniere della concittadina Antye Greie-Fuchs, la Morgenstern sembra voler allargare il proprio raggio d'azione, abbandonando per una volta la lingua tedesca e abbracciando un campo lirico alquanto esteso, che spazia da frammenti di routine quotidiana a quiete riflessioni esistenziali, con la solita penna sottilmente canzonatoria, ma con una marcia in più in termini di poetica e comunicatività.

È grazie a questa combinazione, quindi, che "Sweet Silence" funziona alla perfezione come disco pop brillante e maturo, composto da tredici tasselli che si reggono peraltro benissimo anche singolarmente: il leggiadro synth-pop di "Need To Hang Around", il gioco a incastri di sampling vocali di "Kookoo", il gentile upbeat di "Jump Into The Life-Pool" (che riproduce sinteticamente quell'eterno movimento a spirale qual è il cerchio della vita) fino alla sinuosa deviazione electro di "Auditorium", in cui è più percepibile la mano di T. Raumschmiere in regia, e il bel crescendo glitch-techno di "Status Symbol", unico pezzo ad osare oltre i quattro minuti.

Diretto e incalzante, "Sweet Silence" è un esempio magistrale di leggerezza e lavoro certosino, di essenzialità e freschezza primaverile. Per un disco che si rifà a modelli creduti morti e stantii non è davvero niente male.

(7,5)

recensione di Alessandro Biancalana e Roberto Rizzo

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