domenica 10 luglio 2011

Jenny Hval: "Viscera" (Rune Grammophon, 2011)



A distanza di circa un anno dall'uscita dello splendido esordio di Susanne Sundfør, torna a far parlare di sé un'altra fanciulla norvegese. In “Viscera” Jenny Hval (ventenne nata e residente ad Oslo) confluisce le sue esperienze passate con un primo album a proprio nome di intensità straordinaria. Dopo due prove non certo banali con il progetto Rockettothesky (“To Sing You Apple Trees” nel 2006 e “Medea” nel 2008), esperienza a metà fra folk crepuscolare e sperimentazione umbratile, la giovane ragazza ha anche collaborato con la più quotata connazionale Susanna Wallumrød meglio conosciuta con lo pseudonimo Susanna and the Magical Orchestra.

Le nove composizioni qui presenti si distinguono con una formula di folk semplice e strutturalmente essenziale, la voce è elemento preponderante e splende in tutta la sua magnificenza con cromature variegate e purissime. Le uniche divagazioni dagli accordi di chitarra sono esili arrangiamenti elettronici in sottofondo ed alcune percussioni delicate, peraltro del tutto accessori a differenza dei ritmi pulsanti della Sundfør. Non si percepisce una coltre nube di asfissiante malinconia o perdizione nebbiosa, i sentimenti più ricorrenti in questo disco sono la sconfinata pace che può evocare un orizzonte freddo e nevoso, oltre alla sostanziale serenità celestiale che la voce cristallina della Hval evoca con le sue note limpide. La lunghezza dei brani, quasi sempre sopra i sei minuti, permette ai pezzi di svilupparsi senza tirarla troppo per le lunghe, raggiungendo la perfezione in “This Is A Thirst”.

Non c'è un elemento distintivo che riesce a far risaltare in maniera decisiva una o l'altra canzone, la sensazione che danno le nove tracce ascoltate in una sola tornata è quella di avere di fronte un unicum difficilmente scindibile in singoli. “Viscera” da il meglio di sé nei particolari, quei piccoli interstizi che giacciono fra le maglie di un suono irriconoscibile (la melodia di “Portrait Of The Young Girl As An Artist”), la seduzione sciamanica di “Blood Flight” o gli intoccabili intrecci di note nella ballata pastorale “Golden Locks”.

Capace di sfuggire dai target con prepotenza silenziosa, Jenny Hval mette insieme un album emozionante, realizzato con il cuore e da cui ne viene fuori l'immagine di un'artista baciata da un'ispirazione di rara ricercatezza.

(7,5)

recensione di Alessandro Biancalana