lunedì 27 luglio 2015

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lunedì 20 luglio 2015

The Dø: "Shake Shook Shaken" (Cinq 7, 2015)














Il duo franco finnico formato da Dan Levy e Olivia Merilahti giunge al terzo album dopo il discreto riscontro ricavato da “Both Ways Open Jaws”, opera pop di pregio che nel 2011 bissò l'altrettanta lucentezza dell'esordio “A Mouthful”. L'incredibile facilità con cui i due musicisti sono riusciti in soli due album a concentrare tanto potenziale ha creato una giustificata curiosità nei confronti della nuova uscita discografica.

“Shake Shook Shaken” apporta profonde modifiche al suono del gruppo fin dall'iniziale “Keep Your Lips Sealed”. Via chitarre o qualsiasi altro strumento acustico, dentro synth, drum-machine e tastieroni profondi e carnosi. Siamo dunque passati dall'art-pop-prima-St. Vincent ad un synth-pop di forte ispirazione eighties, in cui linee robotiche prevalgono sull'impianto classico pop. Siamo dunque di fronte all'ennesima riesumazione di sonorità sentite mille volte? I Dø riescono a scansare l'ovvietà grazie a una grandissima fantasia compositiva, in cui l'uso più deciso di strumenti elettronici è solo un modo come un altro per esprimere la propria musica. Autori di ritornelli assassini mai banali, la band ha il dono di saper fondere accessibilità con ricerca sonora, dando sfaccettature inaspettate ai brani. Parte consistente dell'attrattiva del progetto è indubbiamente la figura di Olivia, la cui voce sorprende per versatilità, capace di passare senza intoppi fra brani  ombrosi o movimentati, mentre il suo aspetto introverso e sensuale al tempo stesso aggiunge un appeal innegabile. La resa live di questo album, dato quanto testimoniato dalle esibizioni in giro per il mondo, pare essere esaltante.

Ricordi dell'indie-pop innegabilmente cool (il bel intreccio vocale di “Trustful Hands”) a cui ci avevano abituato rimangono, tuttavia la nuova tendenza esplode sotto forma di deflagrazioni techno degne di nota (la fantastica “Miracles (Back In Time)”, lo strumentale “Omen”), singoli electro-pop solari (le radiofoniche “Despair, Hangover & Ecstasy”, “Anita No!”, “Going Through Walls”), inni da scolaresca alternative (il bel tiro delle tastiere di “Lick My Wounds”). Un mood malinconico attanaglia altri episodi, dando all'insieme una vaga patina tutt'altro che pop (“Sparks”, “A Mess Like This”, “Opposite Ways”). Questo mix di suoni, sensazioni e temperature rende l'album un bel concentrato di alchimie pop, in cui la fantasia compositiva è soltanto un coadiuvante verso la forma apparentemente perfetta di guazzabuglio canzonettaro.

Nonostante la mancanza di qualche accordo di chitarra si faccia sentire, oltre ad alcune lungaggini di troppo (“Nature Will Remain”), “Shake Shook Shaken” è veramente un bel sentire. Se avete gradito i precedenti due album del sodalizio o anche solo se apprezzate il pop a tutto tondo, non potrete rimanere delusi da un disco il cui maggiore merito rimane quello di non banalizzare riferimenti ormai consunti. Le strada intrapresa per fare grandi cose è quella giusta, dalla prossima prova ci attendiamo davvero grandi cose da Dan & Olivia.

(7,5)
recensione di Alessandro Biancalana 

 

domenica 5 luglio 2015

Drew Lustman: "The Crystal Cowboy" (Planet Mu, 2015)















Reduce da un album tutt'altro che soddisfacente, Drew Lustman mette momentaneamente da parte il suo moniker più famoso pubblicando un disco con il nome di battesimo. “In The Wild” aveva interrotto l'ascesa del compositore americano, il quale, con due album più che ottimi come “You Stand Uncertain” e “Hardcourage”, si era imposto fra gli autori di musica elettronica di punta della scena mondiale. Quell'incidente di percorso – prova confusionaria e fuori fuoco – ha forse imposto all'artista un rimescolamento delle carte, in parte attuato nel qui presente “The Crystal Cowboy”.

La spinta al rinnovo porta Lustman all'inserimento di una componente drum'n'bass facilmente riconoscibile nei pezzi di entrata “Watch A Man Die” e “Time Machine”. Il rullante jungle fa da elemento portante e pennella strutture ritmiche solide in quasi tutto l'album, coadiuvato da rivoli ambient e sberleffi IDM. Una vena da narratore dei sobborghi (la fumosità urban-sci-fi di “Angel Flash” e della title-track) ed un'ispirazione finalmente ritrovata (davvero notevole “Green Technique”) regala all'album una briosità compositiva solo teorizzata nel già citato “In The Wild”. Il marchio FaltyDL ritorna occasionalmente in vari episodi (la techno gentile di “Wolves” e “The Hatchet”), mentre strambi giochetti esotici (la cantata “Onyx”) e due bombe come “Sykle” e “Bluberry Fields” assestano il colpo finale. In questi due ultimi episodi il giocoliere elettronico americano adotta un approccio totalizzante alla sua arte, rimestando electro, tastiere ambient, umori horror e un gusto per il ritmo davvero notevoli.

Aiutato dall'intensa attività di Djing, il Nostro ritorna in carreggiata e piazza un album dai grandi numeri, colorato ed ispirato. Nell'ascoltare queste tracce è facile constatare le sconfinate potenzialità di questo produttore, il suo unico compito sarà quello di arginare l'estrosità senza sfociare nella normalizzazione, trovando un equilibrio che potrebbe portarlo davvero in alto nelle graduatorie dei più grandi.