lunedì 2 marzo 2015

Susanne Sundfør: "Ten Love Songs" (Warner Music Norway, 2015)















Fra gli album più attesi di questo inizio 2015, la nuova prova di Susanne Sundfør getta altri indizi sugli sviluppi della carriera di una delle più talentuose cantanti internazionali. Reduce da due album letteralmente perfetti come “The Brothel” e “The Silicone Veil”, la norvegese cerca delle conferme con “Ten Love Songs”. Andando a vedere le emozionanti esibizioni live eseguite in nord Europa, unitamente alla qualità della musica, risulta quasi inspiegabile dare una movitivazione alla scarsa popolarità acquisita fuori dal terra natia. Nel frangente che l'ha divisa dal precedente cd ad oggi, Susanne ha collaborato in diversi progetti di breve durata, partecipando alla bellissima colonna sonora di Oblivion con gli M83 cantando una canzone, prestando la voce per i Röyksopp nella pregevole “Running To The Sea”, scrivendo insieme a Kleerup il singolare funky-synth-popLet Me In”. Questo nuovo capitolo del suo percorso artistico – dato anche il forte appeal pop – pare possa essere il definitivo sbarco sul mercato discografico mondiale.

Se si ascoltano in ordine cronologico gli album della cantante nordica, sarà ovvio notare il progressivo allontamento dallo stilema della cantautrice folk. Se i primi due album (“Take One” e “Susanne Sundfør”) proponevano un cantaurato femminile piuttosto canonico, da “The Brothel” la musica ha svoltato dalle parti di una forma canzone trasfigurata, sopratutto grazie all'uso dell'elettronica. Ed è proprio grazie all'uso di strumenti come sintetizzatori e drum-machine che pezzi come “Lilith” o “White Foxes” esplodono in tutto il loro splendore, adornando strutture cristalline. Senza dimenticare le radici di scrittrice pop, è proprio su questo solco che Susanne ha voluto puntare, proponendo in “Ten Love Songs” una cascata di synth, sfiorando in certi frangenti perfino l'euro-pop di Lady Gaga (la sgraziata pomposità di “Kamizake”). L'obiettivo è dunque quello di ricavare forza e impatto dall'uso massiccio di strumenti non acustici, cercando di non snaturare la natura celestiale e leggiadra della sua musica, ricalcando in parte spunti già battuti da artisti come The Knife o Annie. Ovviamente in tutto ciò si stagliano le straordinarie capacità vocali di Susanne, la quale riesce a mescolare registri interprepativi come solo le grandissime sanno fare, adattandosi in modo perfetto alle vesti di chanteuse electro-pop solenne.

Prendendo i singoli episodi pare che la formula funzioni alla grande (“Fade Away” e “Delirious sono seriamente magnifiche), tuttavia a mancare è un quadro complessivo che leghi tutte le canzoni. Si passa dalle scheletriche “Darlings” e “Silencer” - sorrette da un piano o poco altro - alle aggressioni pop delle già citate “Kamizake” e “Fade Away”, giungendo ai dieci minuti orchestrali di “Memorial”. Questi saliscendi emotivi danno sì brio all'album ma non regalano la sensazione di compattezza che i due predecessori avevano, conducendo l'ascoltatore verso un ottovolante di suoni piacevole ma un po' disomogeneo. Proseguendo si trovano i pregevoli incastri electro-pop di “Insects” - una marcetta robotica trascinante -, passando per la dolcezza dell'organo di “Trust Me” e la solennità di “Slowly”. Non c'è niente di propriamente brutto o fuori posto in “Ten Love Songs”, anzi, l'album risplende di una lucentezza di un certo calibro, tuttavia l'impressione generale pecca di un certo sfilacciamento in alcuni passaggi, rendendo il tutto “solamente” molto bello e non un capolavoro.

Nonostante questi piccoli difetti, stiamo comunque parlando di una prova sopra alla media, in cui troverete grandissimi spunti di interesse sia che siate appassionati di musica elettronica sia che amiate il pop mainstream. In conclusione siamo in presenza di dieci canzoni universali, mai banali o dal cattivo gusto, dove sarà facile scorgere le potenzialità sconfinate del talento di Susanne Sundfør anche se la state ascoltando per la prima volta.

(7,5)

recensione di Alessandro Biancalana