sabato 25 ottobre 2014

To Rococo Rot @ Bologna, Locomotiv 24/10/2014

Tornati in ballo dopo quattro anni dal buon “Speculation”, i tre tedeschi To Rococo Rot sbarcano in Italia per presentare il nuovo album “Instrument”. Già stati a Bologna anni fa, la band teutonica conferma l'assoluta validità di una musica che pare in questi anni un po' sfiorita a livello di interesse discografico. Alfieri di quel post-rock (per non parlare dei fondamentali Tarwater) debitore tanto al kraut-rock quanto all'elettronica, i fratelli Lippock e Stephan Schneider mettono in ballo uno spettacolo live di assoluto valore.

La simpatia un po' impacciata di Robert Lippock funge da intermezzo fra le varie esecuzioni in cui ritmo, melodie cibernetiche e atmosfera, si fondono in maniera magistrale. Dove il batterista Ronald batte com un metronomo fra batteria classica, hand clapping e percussioni varie, il bassista Stephan fa da collante con un lavoro encomiabile a livello di precisione ed efficacia. Il protagonista di tutto il suono che ne risulta è ovviamente Robert Lippock, il quale sfigura le basi dei pezzi preregistrati con varie manipolazioni live ed effetti di altissima resa. Fra pezzi dell'ultimo disco – il quale si avvale della collaborazione di Arto Lindsay in cabina di regia - e riesumazioni varie nel vasto repertorio più che decennale, i tedeschi danno una lezione a molti artisti più giovani su come comporre ed eseguire suite strumentali praticamente perfette. I reticoli electro a metà fra techno, IDM e glitch-music sono il perfetto corollario ad una struttura ritmica che è a conti fatti un rigurgito del kraut-rock classico dei vari Can e Neu!, il tutto si presenta in assoluta armonia, senza forzature di nessun tipo e con un livello di coinvolgimento molto alto.

Con una durata che si aggira in torno all'ora e mezzo – compreso un encore di due pezzi – i tre reduci da un'era che pare lontanissima, hanno ricordato che pure uno stile fuori moda può donare emozioni fuori dal comune.

recensione di Alessandro Biancalana

venerdì 10 ottobre 2014

FaltyDL: "In The Wild" (Ninja Tune, 2014)
















Giunto alla prova del fuoco dopo tre album poco meno che straordinari, Drew Cyrus Lustman in arte FaltyDL pubblica “In The Wild” sempre su Ninja Tune dopo due uscite con la Planet Mu. Se “Hardcourage” era uno scintillante successore del suo album migliore (“You Stand Uncertain”), questa nuova tappa del percorso dell'americano ha fin da subito la stimmate del disco di transizione.

Spiace constatare la sostanziale confusione ed indecisione che attanaglia la musica del fin qui poliedrico compositore a stelle e strisce, giunto a un punto di svolta ed apparentemente incapace di trovare uno sfogo alla sua immensa creatività. Le diciassette tracce di “In The Wild” sono un miscuglio di UK garage, rivoli di future jazz e tentazioni IDM che girano su sé stesse, trovando occasionalmente lo spunto interessante (i loop vocali di “Do Me”) senza tuttavia raggiungere un'efficacia d'insieme. Lo stesso meticciato elettronico che aveva contraddistinto gemme come “Stay I'm Changed”, “Uncea” o “Korben Dallas”, anche solo facendo riferimento al disco precedente, qua non ha la medesima presa, sfociando in primis in una prosopopea infarcita da inspiegabili intermezzi da poco meno di un minuto.

Quando un minimo di vibrazioni tornano a scuotere il torpore, viene fuori qualche buono spunto (la cantata “Frontin”, il buon pathos di “Dos Gardenias”), sopratutto con “Heart & Soul”, l'unico vero episodio degno del passato, canzone magistralmente avviluppata fra scosse UK garage, movimenti dubstep e campioni vocali. Il resto è calma piatta o quasi, fra uscite proto-ambient (“Grief”), IDM dal sapore Warp (non male “In The Shit”), ed alcuni manierismi evitabili (“Dånger”, “Some Jazz Shit”).

L'unico modo per superare la tangibile delusione dopo l'ascolto del quarto disco di FaltyDL è tornare ad ascoltare i precedenti tre, con la speranza che questo sia solo un errore di percorso. L'americano ha in mano la sua carriera ancora giovane, il suo talento non ci tradirà una seconda volta, ne siamo sicuri.

(5)

recensione di Alessandro Biancalana