domenica 4 ottobre 2015

Emika: "Drei" (Emika Records, 2015)















Rimasti al palo dopo la parziale delusione di ”DVA”, i fan di Emika hanno dovuto aspettare due anni e qualche trepidazione di troppo per rivederla all'opera. Lasciata l'ala potrettrice del colosso Ninja Tune, la tedesca d'adozione fonda la propria etichetta Emika Records e spiazza tutti prima con il progetto “Klavírní“, poi con il nuovo album “Drei”.

Ad inizio dell'anno in corso Emma Jolly pubblica un album di solo piano con dodici tracce provenienti da partiture suonate, composte e registrate dalla stessa artista ceca all'interno dei suoi album. La forte introspezione del disco, messo nero su bianco nella casa dei suoi genitori e con un registratore in presa diretta, dimostra quanto viscerale, potente ed essenziale sia la sua passione per la musica. Tracce di musica pianistica eteree, fatte di note impalpabili e perfettamente legate al tono brumoso della sua musica, gocciolanti lacrime, sudore e intensità. Non un compendio per completisti, né una divagazione fine a sé stessa, “Klavírní” è un tassello di importanza fondamentale per capire l'arte di Emika.

Venendo al vero suo terzo album, va detto a scanso di equivoci che la Jolly riacquista la potenza espressiva dell'esordio omonimo, rimanendo essenzialmente algida ma non ingessata come in “DVA”, album sostanzialmente sufficiente ma troppo studiato e superficiale. La spinta verso l'electroclash, la cupezza e l'innata tendenza al dramma, fanno delle nove tracce di “Drei” un efficacissimo album di canzoni techno-pop come ai tempi d'oro di artisti come Peaches e Chicks On Speed. Nonostante gli alti e bassi dell'ancora giovane carriera della Nostra, il tratto distintivo che le  ha sempre permesso di smarcarsi dall'etichetta di epigone dell'era electro-clash, è una fortissima personalità in termini di suoni e melodie, oltre alla capacità di cesellare ritmi fuori dal comune. Ascoltare un pezzo come “What's The Cure” vi farà capire come quello che state ascoltando non è qualcosa di assolutamente nuovo ma estremamente “forte” e palpitante.

Scossoni di bassi tellurici impreziosiscono pezzi ai margini del dubstep (la malsana “Without Expression”, i dolorosi synth di “Battles”), mentre il singolo “My Heart Bleeds Melody”, accompagnato da un video molto fisico, instilla angoscia fin dalle prime note con il suo incedere ossessivo. I fumi di un'atmosfera sul filo dell'erotismo sporco e proibito sfiorano pezzi come “Rache” e “Miracles”, lasciando per strada episodi leggermente più posati come “Serious Trouble” e "Destiny Killer", due pezzi catatonici, scossi e tormentati da con fantasmi di piano e qualche inedita nota di chitarra. L'amarognolo che si sente frullare in testa alla fine di questo disco non sono postumi di una sbornia passata, bensì il risultato del perfetto equilibrio raggiunto dell'arte un po' maledetta di Emma Jolly.

Nuovo tassello di un percorso ancora lungi dall'essere arrivato ai suoi picchi, “Drei” è qualcosa di speciale a cui dare la dovuta attenzione. Tutti gli amanti dell'elettronica cupa ameranno questo album, gli stessi a cui consigliamo di recuperare l'esordio del 2011 e attendere sviluppi nel prossimo futuro.

(7)

recensione di Alessandro Biancalana 

Autour De Lucie: "Ta Lumière Particulière" (P Box, 2015)















Quando sul finire del 2007 Valérie Leulliot rilasciò “Caldeira”, il primo e fin a qui unico disco solista, una sorta di malinconia afflisse i fan degli Autour De Lucie. Quell'uscita condensava in una realtà tutta personale le peculiarità che la band francese aveva dispensato per dieci anni di carriera e cinque album. Per chi non li conoscesse, i cinque galletti sono riusciti fin da subito a fondere in modo magistrale le tradizioni della chanson francese con il folk, l'indie-pop e certe influenze elettroniche (soprattutto nel bellissimo “Faux Movement”), ponendosi come leader del pop indipendente prevalentemente in Francia, senza disdegnare incursioni in tutta Europa.

Il passare del tempo ha portato grandi cambiamenti, infatti da cinque elementi la band diventa un duo, con l'arrivo di Sébastien Lafargue, già collaboratore di vecchia data della band e di Valerie stessa. Le coordinate del suono e l'ispirazione invece non cambiano di una virgola, dimostrando come gli anni non hanno scalfito la capacità della Leulliot di scrivere canzoni.
Quel pop sornione, atmosferico, carezzevole ma efficace, incanta adesso come vent'anni fa ai tempi di “L'Échappée Belle”, la voce femminile sussurrata e leggermente ruvida, unita al tono mid-tempo, riporta a un modo di fare musica pop praticamente scomparso. Pezzi come “Détache” o “Où Ça Va” avrebbero fatto faville nelle rubriche alternative della MTV degli anni 90, con il loro tono fortemente melodico ma mai fuori dalla righe, perfettamente catchy con chitarre precise e taglienti e il drumming secco e preciso.

Traiettorie melodiche plananti e leggiadre, a sovvertire caos e inquietudine (“Ok Chaos”), e vibranti nenie (l’estatica “Brighton Beach”, i morbidi tappeti di “Îlienne”), si alternano in una gradevolissima spirale sonora. Nell’album prendono vita anche momenti vagamente più sbarazzini (“Le Goût des Chardons”,” Cheval étincelle”), a rimarcare, pur senza brillare del tutto, la composta disinvoltura elettronica che delineava intensamente i tratti del primo passato. “C'est Là Que Je Descends” chiude il sipario con il suo piano appena sfiorato e la compostezza vocale della Leulliot, la quale tesse trame puntualmente concilianti e mai invadenti.

La band transalpina non nasconde la propria età, specchiandosi nel raggiungimento completo di una maturità contemplata con inconfondibile charme. “Ta Lumière Particulière” mantiene, in definitiva, ben intatta la serafica maestria degli Autour De Lucie nel modellare con eleganza e parsimonia le proprie strutture armoniche. Una dolcezza che riempie e aggrada, sempre e comunque.

(6,5)

recensione di Alessandro Biancalana e Giuliano Delli Paoli