domenica 20 marzo 2011

Harmonious Bec: "Her Strange Dreams" (Monotreme Records, 2010)



Progetto nato e plasmato sotto le mani di due giapponesi che si fanno chiamare Za Ma Roo e From Vapor To Water, la prima uscita a nome Harmonious Bec è un prodotto che si distingue, risvegliando sensazioni sopite anni fa. Oltre alla non facile reperibilità della carriera artistica del duo, non è dato sapere i loro nomi di battesimo; l'unico indizio che abbiamo riguarda l'etichetta. La Monotreme Records, benemerita casa di produzione già foriera di talenti (Thee More Shallows i migliori), ha messo sotto contratto i due nipponici pubblicando il disco nel novembre 2010. Lanciato con grande entusiasmo e descritto con parole lusinghiere, “Her Strange Dreams” rappresenta un bell'esempio di elettronica eclettica.

Composto e intagliato con ruvida dolcezza melodica, le canzoni spaziano con apparente semplicità attraverso stili e inflessioni decisamente differenti: si passa da landscape a battuta bassa tipici della downtempo più posata, innalzando poi il ritmo con schemi drum'n'bass, fino a raggiungere i colori sfavillanti dell'indie-tronica tipicamente giapponese (aus fra tutti). Il tutto è condito da un'atmosfera giocosa e fiabesca decisamente funzionale e contagiosa, supportando una scorrevolezza che nell'economia generale dell'album trasforma i quarantadue di musica in un autentico viaggio sognante. Grazie al supporto di sapienti inserti di piano, strumenti ad arco e percussioni fra le più svariate, il quadro si completa con un esaustivo panorama di tutto ciò che il gruppo è capace, dimostrando fantasia, incanto poetico e ispirazione.

Dove fascinose pennellate downtempo (le cromature buie di “Giantland”, la sferzante malinconia di “Falling Ash Plume” e “Arms Girl”) sono serafiche esposizioni sonnolente, altrove i toni sbocciano in un arcobaleno di colori e sfumature, fra esplosioni di archi impazziti (l'incontenibile frenesia di “Funny Hierophant”), manipolazioni indie-troniche (i microritmi in “In The Bright Oval”, gli incastri asfissianti di “Planets”) e orge di ritmo senza freni (il drum'n'bass “Progess” fra flussi vocali ectoplasimici). Lo strumento principe è spesso il piano, cardine di alcuni fra gli episodi più positivi. Le dolci nenie “Shunral” e “Cryptomeria Rain”, senza eccedere in retorica figurativa, hanno una forza empatica tale da raffigurare pomeriggi piovosi al tramonto di un paesaggio tipico del Sol Levante. Con uno strambo tentativo di hip-hop disgregato (forse eccessivo l'assalto di “Solitary Bonze Prayer”), l'album si conclude con una suite dal sapore jazzato (sei minuti mai domi per “Asahigaoka”).

Con un esercizio di poliedricità ammirabile, gli Harmonious Bec hanno sfidato la sorte con un album coraggioso e ambizioso. Premiati per larghi tratti con una solida promozione, il loro lavoro trasuda passione e un'encomiabile voglia di sperimentare.

(7)

recensione di Alessandro Biancalana

giovedì 17 marzo 2011

Sandwell District: "Feed-Forward" (Sandwell District, 2010)



Function e Regis, rispettivamente David Summer e Karl O'Connor, sono attivi nel sottobosco techno da circa quindici anni. Produttori, compositori, remixer, fondatori di un'etichetta. Fin dagli albori della carnalità techno i due hanno tracciato linee parallele creando un fenomeno sotterraneo, mescolando passione viscerale e un rispetto quasi religioso per la perfezione dei propri suoni. Fin da prodotti come “Gymnastics” (a nome Regis, 1996), o il 12” "Ulterior Motives" pubblicato con il moniker DMO (1998), i due si sono distinti per una peculiare fusione di techno granitica, influenze di ambient stellare e un gusto per il ritmo sopraffino. Ad alimentare ulteriormente il culto, dal 2002 inizia l'avventura dell'etichetta omonima con prodotti di rara qualità, che ben presto la rendono un autentico punto di riferimento per tutti gli appassionati. La casa di produzione può annoverare fra i suoi artisti gente come Silent Servant e Female (magnifico il suo “Angel Plague” del 1999).

Dopo anni di silenzio discografico in termini di uscite in senso classico, giunge sul mercato “Feed-Forward”. Pubblicato in Inghilterra nel dicembre 2010: il disco richiama una tale attenzione da risultare immediatamente esaurito in pre-order praticamente ovunque. Album eclettico e dal fascino innegabile, l'opera del duo Regis & Function (aiutati a quanto pare dagli stessi Silent Servant e Female) mette in mostra un pudore quasi clericale nel giustapporre le melodie e la potenza del suono - mai esplosione sonica fine a se stessa - che bilancia l'insistenza martellante della drum machine con il pullulare di reminiscenze ambientali, a loro volta mai cristallizzate in una stasi solamente estatica. La sensazione che si prova ascoltando “Feed-Forward” è quella di avere davanti un'essenza unica e indivisibile, difficilmente analizzabile per porzioni, impossibile da spacchettare come una costruzione stratificata.

L'impatto imponente delle strategiche tre parti di “Immolare” - candida e serafica nelle estremità candite di delicatezza ambient - inietta fervore inusitato nelle sezione centrale come raramente capita di sentire. Rarefatta, dolorosa, sanguigna, “Immolare” è un inno macabro all'arte techno. Proseguita la strada con meccanismi timbrici la cui provenienza terrestre è tutt'altro che ovvia (l'assalto cosmico di “Grey Cut Out”, frequenze cibernetiche fuori controllo per “Hunting Lodge”), l'album, nonostante uno sviluppo graduale e tacito, cade in un mutismo rarefatto e scintillante. Fra suite ambient-techno pregiatissime (l'ariosa spazialità in “Falling The Same Way”, i puntuali rintocchi di “Svar”), tastierismi colorati e vivaci (i virtuosismi mai sciatti di “Speed + Sound (Endless)”), abissi nerissimi leggermente rinvigoriti da scosse telluriche (la malinconica assenza di melodia in “Double Day”). Concretizzata la definitiva deriva silente (sbuffi cosmici in “Untitled A”, particelle noise per “Untitled B”), il disco sfila via con un tono tagliente.

Ispessito da una cura complessiva al limite dell'umana perfezione, “Feed-Forward” travalica il semplice compito ben fatto andando al di là di ogni aspettativa. Definitivamente proiettati in un limbo che sa di epopea mitica, Sandwell District hanno nel destino la capacità di sorprendere, magnificata con opere talmente fuori controllo da risultare vive e pulsanti.

(8)

recensione di Alessandro Biancalana

Oval, 04/03/2011 @ Fosfeni, Cascina (PI)



Tornato a deliziare i palati più raffinati in materia di elettronica sperimentale, Markus Popp ha ben pensato di organizzare un tour in tutto il mondo per presentare il suo nuovo materiale. Dopo il ritorno commovente con “O”, la curiosità di testare la resa dal vivo di quei piccoli bozzetti era elevata. Il contesto del suo ritorno è in questo caso La città del Teatro, centro culturale immerso nelle campagne pisane di Cascina. All'interno del pregevole festival di musica elettronica Fosfeni, nel cui programma si annoverano nomi come Ben Frost e Filastine, Oval arriva in una fredda serata di marzo con un palco minimale: sopra una scrivania trovano posto il suo laptop, un mixer, alcuni distorsori, oltre alla presenza di visuals decisamente essenziali.

Dopo una timida presentazione della perfomance, Popp inizia a mandare in circolo le sue creazioni pescando a casaccio da “O” con sapienza e passione, mettendo a disposizione del pubblico tutta l'atmosfera intima e personale apprezzata in sede di ascolto discografico. Nonostante le sue variazioni siano pressochè inesistenti, il piacere di ascoltare pezzi come “Ah!” con un impianto stereofonico professionale è davvero sorprendente. La sua prova è un atto di amore verso la sua musica, una deliziosa condivisione reciproca, una concessione di un'ora e mezzo capace di far splendere gli altoparlanti fino all'inverosimile. I timbri e le melodie risuonano gentili creando un flusso intervallato da pause che sono un semplice silenzio fra una traccia e l'altra, un po' come succedeva su disco con la differenza che l'ordine delle tracce era differente. Il fatto che la modifica della sequenza con cui sono eseguite le tracce non abbia inficiato il risultato finale, dimostra come queste composizioni abbiano una magica versatilità completamente slegata da fattori esterni.

Dopo la prima parte di concerto fatta di musica incantata, con passo religioso e impacciato, Markus Popp si allontana con un saluto minimale. Acclamato da un pubblico non numeroso ma molto riconoscente, il ritorno sul palco è l'occasione per colmare alcune lacune nella scaletta. Per ovvi motivi di tempo non tutte le settanta tracce di “O” troveranno spazio all'interno dello spettacolo, tuttavia la mistica suggestione evocata sarà identica e profondamente autentica.

Leggenda e pioniere di tutta la corrente glitch, mentore di una schiera infinita di musicisti a lui debitori, Oval con semplicità ed umilità encomiabili impacchetta uno show essenziale, raccolto, discretamente sviluppato e non frettoloso, dimostrando un'onestà intellettuale e un acume tipico di chi ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica.