mercoledì 30 dicembre 2015

Playlist 2015

1. Susanne Sundfør – Ten Love Songs
2. Jamie XX - In Colour
3. Sleaford Mods - Key Markets
4. Ibeyi – Ibeyi
5. LHF - For The Thrown
6. Herbert – The Shakes
7. Kelela – Hallucinogen
8. Black Dog – Neither/Neither
9. Blur - The Magic Whip
10. Braids - Deep In The Iris

11. John Lemke - Nomad Frequencies
12. Mercury Rev - The Light In You
13. Low - Ones And Sixes
14. Darkstar – Foam Island
15. Benjamin Clementine - At Least For Now
16. The Analog Roland Orchestra – Dinsync
17. Romare – Projections
18. New Order - Music Complete
19. Lifted – 1
20. Logos & Mumdance – Proto
21. Emika – Drei
22. Gacha - Send Two Sunsets
23. Rone – Creatures
24. Portico – Living Fields
25. Shiohmo - Dark Red
26. Silicon – Personal Computer
27. Killawatt - Émigré
28. Lakker – Tundra
29. Leftfield – Alternative Light Source
30. Barbara Morgenstern – Doppelstern
31. Foals - What Went Down
32. Autour De Lucie – Ta Lumière Particulière
33. Beach House – Depression Cherry
34. Drew Lustman - The Crystal Cowboy
35. East India Youth - Culture Of Volume
36. Gwenno – Y Dydd Olaf
37. Handful of Snowdrops – III
38. Holly Herndon – Platform
39. Sizarr – Nurture
40. Wire – Wire
41. Eska – Eska
42. Soko - My Dreams Dictate My Reality
43. Concubine – Concubine
44. Sufjan Stevens - Carrie & Lowell
45. Synkro – changes
46. Vessels – Dilate
47. The Dining Rooms - Do Hipsters Love Sun (Ra)?
48. Chemical Brothers - Born In The Echoes
49. Blue Daisy – Darker Than Blue
50. Lilies On Mars – Ago

venerdì 4 dicembre 2015

Darkstar: "Foam Island" (Warp, 2015)
















A due anni di distanza dal magico e alieno “News From Nowhere”, i Darkstar rientrano in pista con un’assenza clamorosa: James Buttery è improvvisamente uscito dal gruppo. Il trio è diventato duo. Un’uscita di scena a suo modo pesante, visto che Buttery, oltre ad essere il vero frontman, incarnava l’anima artistica della band sotto diversi aspetti, stesura dei testi compresa. I due rimasti tengono a precisare come il progetto torni alle origini, infatti, a ben vedere i Darkstar sono sempre stati un duo, l'inserimento di Buttery è stato solo un aggiustamento di percorso.

Dunque, i nuovi Darkstar ripartono semplicemente da James Young e Aiden Whalley, entrambi rimasti a guardia di un progetto nato con l’intento di ricreare una formula elettro-pop tanto travolgente, quanto a suo modo polverosa, aspra, intrecciata fino al midollo tra bassi e drum machine alienanti, di gran fascino. “Foam Island”, terzo disco in cinque anni, nasce dunque zoppo, o perlomeno segnato da un rimpiazzo che sulla carta non c’è, e che trova le sue risorse nei dialoghi sparsi qua e là tra un pezzo e l’altro: conversazioni, brevi estratti di vita sociale dal gelido e malinconico North Yorkshire. Parole spesso intrise di quel moderno disagio economico proprio della classe operaia inglese e di una sempre più ferita media borghesia, afflitta da diversi anni da un incessante malessere post globale. Un senso di smarrimento comune che cede all’impotenza generale verso un modello di sviluppo intransigente e a tratti disumano.

Trapela in questi termini l’allarme sociale lanciato da Young e Whalley, a fungere da contraltare politico al resto della faccenda. La musica che ne consegue è, al contempo, un coagulo di morbidissime articolazioni elettriche, ritmiche misurate, mentre una tenue linfa melodica ne amplia lemme lemme la resa emotiva, come accade nella delicatissima e melanconica "Inherent In The Fibre".

Nonostante la mancanza di un'ugola pregiata come quella di Buttery, Whalley, in veste di cantante unico del duo, si comporta in maniera più che discreta fin dalle sincopi electro-pop della pregiata “Stoke The Fire”. A ben vedere “Foam Island”, se fosse giudicato solo per le canzoni vere e proprie, si dimostra un album di pop elettronico molto ispirato, partendo dai brani già citati, fin ad arrivare alle stramberie d'archi fuse a strutture pop (la bellissima “Go Natural”, i singulti storti di “Pin Secure”). La magia non si placa nemmeno quando il tenore ripiega su strutture più convenzionali (la pur positiva “Through The Motions”) o si accascia in rivoli rilassati e minimali (i glitch alla Telefon Tel Aviv delle title-track), dimostrando una versatilità non da poco.

Il problema di questo album sono purtroppo i vuoti. Senza escludere un sottotesto di impegno sociale, le ripetute pause costituite da estratti di interviste di strada, rendono l'album un qualcosa di incompleto e controverso. Nonostante le canzoni ci siano tutte (unico neo la fumosa “Days Burn Blue”) per riempire una tracklist di tutto rispetto, dal successore del mezzo capolavoro “News From Nowhere” ci si aspettava di più. Non ci resta altro che attendere i nuove percorsi, “Foam Island” è infatti una tappa di passaggio non del tutto compiuta.

(6,5)

recensione di Alessandro Biancalana e Giuliano Delli Paoli