lunedì 30 gennaio 2006

ZAVOLOKA



Kiev, 1981. Nasce lei:









Kateryna Zavoloka (in arte Zavoloka) è una delle artiste di musica elettronica inusuale più interessanti e geniali (sì, lo posso dire) degli ultimi anni.

Con la coppia di dischi da lei licenziati è arrivata ad effigiare un immaginario di musica disturbata ma dolce e tenera al tempo stesso.

Cincagliere glitch, rumorini, clip and clap, campionamenti vocali, strumenti acustici resi irriconoscibili da un trattamento indecoroso.

Un po' di AGF per la sperimentazione sulla voce, un po' di musica astratta dal sapore avanguardistico e un tocco di glacialità, proveniente dalla fredda terra in cui è nata, l'Ucraina.

Il primo, immaginifico, disco è questo:







Zavoloka: "Plavyna" (Nexsound, 2005)



Un disco che sembra un involucro misterioso, una patina scurissima avvolge il contenuto e non possiamo sbirciare, possiamo solamente ascoltare i rumori che emana.

Ci immergiamo tra momenti distesi e leggermente fastidiosi, frangenti di disturbante rumorisità, particolari definiti con certosina precisione, dettagli colorati come la scia che lascia una stella in cielo.

Se Maliovani Jafyny (Painted Berries) pare un qualcosa di miracoloso, tra flussi sonori sfasciati e ricomposti, girandole sonore di fiammante velocità, tintinnio e sciabordio, Ronkova è una musica ambient distrutta e processata, influenzata da suoni sprigionati con decisione, un marasma timbrico che pare una lotta fra comete lucenti.

Dzerkalo (Mirror) rappresenta una dei traguardi della musica concreta che si ibrida con qualcosa chiamato droning.

Sinusoidali fantasmi di agghiacciante apparenza si aggirano con movimenti quasi aggraziati, dei tocchi metallici sono delle scale di ferro arrugginito che penano sotto il peso di un passante, un rimbalzare frenitico sembra un flipper impazzito, fuori fase.

La title-track è altrettanta compiutezza, par di sentire un motore a scoppio preso a martellate e lasciato sfogare, fino alla morte, Kosytsia (Little Flower) è una distesa sonora, una giungla apparentemente calma ma pronta a sfregiare il silenzio con contrappunti dolorosi.

Kolyskova (Hushaby) è un sibilo sottile quanto la ragnatela di un ragno, un filamento che viviseziona il nostro senso di percepire suoni, Teche Voda Ledova (Cold Water Flowing) scherza con un flauto, deridendolo, cioè circondandolo di sporcizie quantomai gradite.

I due bozzetti a margine (Gora (Mountain)Lyshtva e (Lyshtva Embroidery)) confermano, se ce n'era di bisogno, l'assoluta preziosità dell'opera, collocata e riconosciuta come non-plus-ultra di un certo filone.

Da far presente come il materiale in questione sia in circolazione già da qualche tempo (un paio di anni, se non sbaglio) e come sia già stata segnalata (ed imitata, vedi sanso-xtro) come punto di riferimento.

Il suo album successivo, Suspenzia, è stato pubblicato sia nel 2003, sia quest'anno, con lo stesso nome.

I pezzi sono all'incirca gli stessi, ma nell'opera più recente sono presenti alcuni inediti imperdibili.







Zavoloka: "Suspenzia (MP3)" (Nexsound, 2003)







Zavoloka: "Suspenzia (CD)" (Nexsound, 2005)



Si inizia con il tritacarne sonoro della title-track. Momenti di pura stasi sono alternati a istanti di pura catastrofe, tra sciabordio metallico e un groove che pare avere una certa regolarità. Tastierine che sembrano emanare note strappate sono colori che scintillano, par di sentire una drum-machine, con il suo vagito infantile e soppresso.

Riznovoid è silenzio e rumore, rumore e silenzio che si ibridano con passione e amore, sciabolate di noise appaiono in maniera istantanea come un flash visivo, scariche elettrostatiche sono il lamentarsi di una macchina in via di distruzione.

Liz Po Antonio è la coda della precedente, tra una suono che pare una sirena, tintinnio digitale e goccie di rugiada che cadono da una foglia, Proza è frastuono e fracasso, scontro di praline puntigliose, baccano computerizzato, un diavolo robotico che starnazza senza senso.

Nathnennia è più giocattolosa, gli animi si fanno più delicati e i suoni scivolano con calma e pace, si fa sentire una vocina bambinesca, un neonato alieno che sussura parole sconnesse. Flussi sonori si scontrano, corrono fianco a fianco, cambiano direzione e si sfasciano a vicenda.

Laktoribka è un viaggio spaziale, tra comete che sfilano veloci, resti microscopici che svolazzano felici, luci in lontananza brillano. Lij non fa che descrivere questo diario di bordo, in una fantascentifica nave che veleggia una galassia sconosciuta.

Le fiabe di Lio Frodo e Siayati sono pettirossi che volano, una cascata di acqua che si infrange su massi arrotondati e lisci e i suoni della natura che paiono distorti da un vento tagliente.

Se Yagliza è offuscata da spore velenose e accecanti, quasi un proto-ambient ombroso, Jattuja è foschia composta da rumore e suoni scomposti, baccano meccanico e meccanizzato.

Hintintin è una cantilena più posata e abbordabile, un finale che calma i sensi e desta il nostro spirito dolce e romantico.

Tra poco uscirà il suo nuovo disco e sarà il solito quadretto colmo di tinte vivaci e oscure, tratti decisi e circolari, un paesaggio lontano e sconfinato.

venerdì 27 gennaio 2006

Ossessioni della settimana



Antenne: "#1" (7,5)
Antenne: "#2" (8)

Sono impressionato dalla commistione stilistica di questo duo tedesco.
Dream-pop etereo, sognante accostato a trattamenti digitali che sfociano sovente in vera musica astratta. Fuggenti schizofrenie elettroniche si accostano a una voce carismatica, sulla scia di una Beth Gibbons o una Elizabeth Fraser. La ragazza in questione si chiama Marie-Louise Munck.
Il responsabile della musica è Kim Gunther Hansen.
Di #2 ne parlai qua, #1 è leggermente più elettronico e distesto, due mondi coniugabili chiudendo gli occhi e socchuidendo la bocca.
Questo è il loro sito ufficiale.




Momus: "Hippopotamomus" (8)
Momus & Anne Laplantine: "Summerisle" (7)
Momus: "Otto Spooky" (7)
Momus: "The Philosophy Of Momus" (9)

Quanto è geniale questo tiziaccio qua.
Destrutturazione pop, pazzia elettronica, gusto dada e un sacco di fantasia commutata in genialità compositiva.
Strumenti acustici ricoperti, contornati da spezzettamenti digitali.
Dal suo ultimo gioiellino "Otto Spooky", fino alla summa della sua musica, nella raccolta "The Philosophy Of Momus", un capolavoro immortale.
Ah, ama il Giappone e ci vive pure. Non puo' che avere tutta la mia stima.



Niobe: "Radioersatz" (7)
Niobe: "Tse Tse" (7)
Niobe: "Voodooluba (8)

Ed ecco una scultrice del suono perfezionista e minuziosa.
I suoi bozzetti sono fatti di calore, amore e sensualità.
Registrazioni concrete e disturbi elettronici, mantra ambient e amore per la musica concreta.
Il suo ultimo disco è una stella che viaggia da un pianeta all'altro, splendendo in ogni cm del suo viaggio.

Artista Jappo della settimana



Nami Tamaki: "Make Progress" (7)
Nami Tamaki: "Get Wild" (7,5)
Nami Tamaki: "Fortune" (7)
Nami Tamaki: "Greeting" (7)

I suoi occhi vispi, la sua voce, le sue parole emozionanti.
Le bombette house-pop, il marasma strumentale, le convulsioni vocali, tastiere vintage e tanti suoni digital-zen.
Reason è una delle canzoni della mia vita, e non poteva essere altrimenti.

Disco Techno della settimana



Mathias Schaffhäuser: "Lido Hotel"

Micro-house, stomp repressi e grooves sommessi.
Mathias è degli scolturi di musica elettronica più geniali degli ultimi anni, i suoi dischi hanno un tocco particolare, non lascia mai interdetti nè con il gusto amaro in bocca.
Nei pezzi cantati sono presenti, in sequenza: Antye Greie (AGF), Donna Regina e Unknown Trooper.

(7,5)

Sorpresa della settimana



Zan Lyons: "Warring Factions" (8)
Zan Lyons: "Desolate" (8)

Attenzione, prego. WARNING!
Questo tizio qua ha fatto due dischi proprio fantastici.
Campionamenti di musica classica, broken beat, saltellamenti IDM, fraseggi di pura genialità compositiva. Non c'è limite di catalogazione per questa musica, non c'è un attimo di tregua ed ogni nota rifugge da un'inquadrazione precisa.
Mi rendo soltanto conto che le sue opere sono dei mezzi capolavori.

giovedì 26 gennaio 2006



Etienne De Crecy: "Super Discount" (Different, 1997)

Questo disco è perfezione house, destrutturazione dance e sperimentalismi come se piovesse. Insieme a Tempovision sono due lavori fondamentali quanto l'aria che respiro.
Le Patron Est Devenu Fou ! (The Boss Has Gone Mad) è il funk che si ibrida con l'house, il dub che intorpidisce il ritmo, battiti interstellari e vocine leggiadre.
Liquidation Totale è un marasma chitarristico molleggiato con il sostrato di synth spumosi, Destockage Massif (Massive Stock Clearance) spumeggia e detta un tempo sconclusionato, Tout Doit Disparaître (Everything Must Go) campiona voci e spezza il ritmo, distrugge la tempovisione che sta arrivando da lì a poco.
Il remix di Soldissimo è lounge e dilunganto, molto ambientale.
Etienne, sei dio. proprio un dio in terra. che qualcuno ti benedica.


Corsican Paintbrush: "Lichens & Moss" (Foxglove, 2005)

Un album che sa di tradizione e notti gitane, un'alba pare avvicinarsi, il fuoco crepita.
Un folk arioso e splendente, note di chitarra, banjo, ukelele, glokenspiel, un'orgia acustica (ri)crea l'atmosfera giusta per una passeggiata in un deserto oscuro.
Bones Of Ash inizia con una fisarmonica deformanta, accordi distanti e rimbalzanti, piccoli rumori silenziosi, un suono particolare imita lo strisciare di un serpente a sonagli.
Ancient Artifacts è un country forsennato, i suoi accordi paiono rock ma si sciolgono e si acquietano, lasciando al silenzio note distese e distensive.
Ritualistic Dances Of The Sunbathing Shivas è molto intima e appartata, pochi suoni e pochi strumenti, cioè l'essenziale per effigiare un paesaggio desolato e offuscato, un vento leggermente movimentato ci scosta. Campanellini tintinnanti annunciano l'arrivo di un avvenimento inaspettato.
Great White North è un'altra stellina avant-folk, tra accordi chitarristici sconclusionati e fuori posto volutamente, vetro percosso con delicatezza, suoni metallici, un'aria mista a sabbia, una cittadina tra le montagne.
Affascinanti i coraggiosi sperimentalismi strumentali di Lanterns e Beholds The Elderberry.
Mistico e ancestrale.

mercoledì 25 gennaio 2006



Sennen: "Widows" (2005)

Un misterioso ibrido tra post-rock etereo e tentazioni pop.
Gli intrecci chitarristici sono colorati e flebili, la voce è appena sussurrata, le percussioni effigiano un tremendo ritmo ossessionante.
Rumori di sottofondo sono screziati e puntigliosi, gli accordi si susseguono con regolarità sistematica, lancinanti accellerazioni sono pura adrenalina e puro piacere.
I Couldn't Tell You è bella da far male, con il suo piglio malinconico, saturare i sensi con parole tra una sofferenza malcelata e un accenno di sorriso. Il tutto s'intreccia creando un'atmosfera sognante, magica.
Laid Out coglie il lato più sbarazzino, con un indie-pop frizzante (sembra di sentire i Field Mice), All The Time sono gli Explosions In The Sky in una camera troppo piccola e troppo asfissiante per contenere quei timbri, One and The Same Thing è roboante e elettrica.
Title-track d'eccezione. Tra drumming incalzante e note pungenti quanto le spine di una rosa malefica. Il ritmo cadenza note sconclusionate, gli strumenti si inglobano a vicenda ed esplodono, senza linea di continuità.


Fantastico. la prima parola che m'è venuta in mente dopo la visione.
tubature vuote, bottiglie d'acqua ovunque, si consiglia di bere soltanto il succhio d'anguria, la nostra coppia innamorata continua a cercare acqua.
la celebrazione della falsa pornografia è un tema centrale del film: dall'anguria spaccata all'inizio, con quel piacere talmente finto da sembrare vero, dal sesso meccanico del finale, in cui l'attore si libera dal non-rapporto sessuale, sfogando il suo piacere nel corpo della sua amata. Questi due frangenti (posti volutamente all'inizio e alla fine) sono il quadramento di un cerchio riempito di genialità e sfacciataggine.
le ossessioni tipiche del cinema orientale (e sopratto taiwanese), cioè solitudine, comunicazione impossibilitata, il sesso come soluzione definitiva di liberazione, ultima misura per creare contatto tra due corpi sono pienamente rappresentate.
i siparietti musicali sono pura compiutezza. da segnalare quella nei bagni pubblici, quando il personaggio interpreta il pene, con le donne che lo rincorrono con pericolose ventose e fanno coreografia perfino con la carta igenica. pazzesco e impressionante.
nel complesso viene confermata la straordinaria coerenza stilistica del regista (la morbosa capacità di tratteggiare le ossessioni di esseri relegati a spazi angusti e limitanti, facendo uso di dialoghi sparuti e mescolando generi), il saper rappresentare la verità (la vita, in definitiva) senza fronzoli, senza provocazioni banali ne scontate. un vero cinema per rappresentare la verità.
Quando si parla di pornografia in genere si fa confusione semantica tra l'oscenità rappresentata e l'oscenità della rappresentazione: qui siamo nel primo caso, sia perché un personaggio è un attore hard, sia perché la voracità sessuale sembra essere l'ultimo istinto di vita in un mondo senza senso. Ma stiamo attenti a non confondere il cosa con il come.
Non per tutti i gusti ma fondamentale.


The Lappetites: "Before The Libretto" (Quecksilber, 2005)

Quattro “donne” dai background differenti s’ingegnano per creare suoni adatti a un mondo oscuro e meccanico.
Elaine Radigue è stata allieva di un certo Pierre e nella sua vita ha sempre cercato di creare un connubio estetizzante tra suoni ed immagini. Le sue performance sanno di avanguardia quanto di innovazione elettronica e sono piacevolissime. Tra le sue opere da segnalare “Kyema” e “Jetsun Mila”. Due lavori caratterizzati da un approccio isolazionista, un continuo distruggersi d’una melodia creata per essere uccisa.
Kaffe Matthews è una delle artiste più attive nell’ambito dell’elettronica applicata alle immagini, dimostrando appieno le sue capacità nelle performance dal vivo. Negli anni è riuscita a trovare un perfetto equilibrio tra sperimentazione digitale e rappresentazione visiva. Realizza suoni per ambientazioni reali (club, gallerie d’arte, sale da concerto, caffè, barche, ecc)collabora con i maggiori rappresentanti dell’elettronica avant (Sachiko M, Ikue Mori, Marina Rosenfeld, Oren Ambarchi, Christian Fennesz) e non si lesina nessun tipo di commistione artistica. Particolarmente interessante “cd cècile”, tra bordate noise e destrutturazioni d’un ritmo mai così martoriato.
Ryoko Kuwajima, insieme alla glich-pop-girl AGF (alla anagrafe Antye Greie-Fuchs), rappresenta la nuova frontiera della scomposizione digitale della voce. Sperimentalismi per un corpo ucciso, battuto, picchiato. Il disco in questione è un lavoro calcolato nei minimi particolari, senza lasciare niente al caso. Varie influenze vengano centrifugate con un gusto che contraddistingue le quattre artiste in gioco. In “Tzungentwist” sembra di sentire una b-sides di “Westernization Completed” (album di AGF), “My Within” è un tritacarne sonoro in cui si susseguono staffilate noise, pulviscoli glitch e un cantato che più spappolato di così non si può. Le frequenze disturbate di “Avoiding Shopping” scivolano dentro un tunnel fatto di ghiaccio e di acciaio. E’ un elettronica algidamente emozionale, frastagliata di espressionismo e strutturata secondo l’emblema di un caotico convergere verso la pienezza del senso. Battono il tempo sinistre scansioni tribaloidi (si veda anche il pastiche di “Kuchen Keiki Cake”), diffuse e deformate dentro l’avvolgersi tenebroso delle voci (“Birken”). “Disaster” è pura laptop-music, tra sciabordio metallico, sfrigolio minimale e drones rumorosi. Come un microrganismo digitale sezionato al microscopio, dentro l’alveo di una profondità kosmische e avvolgente, come accade nel vortice di “Stop No. 394 Falkirk Street” o in quello, più magmatico, di “Prologue”. Se “Aikokuka” è un simpatico intrecciarsi tra animi orientali e pugnalate digitali, con fiotti di sangue che scorrono ovunque, e “Funeral” rappresenta uno dei pezzi di ambient isolazionista più completi e concisi mai ascoltati nel 2005, dal canto suo, “Heimat” sviluppa ulteriormente l’incrocio febbrilmente austero tra corpo digitale ed anima post-romantica. Il suono, il suo oblio manifesto e, al contempo nascosto, con bleeps che schizzano ovunque, si ritrova ridotto a dover fare i conti con la nitida ed assoluta consapevolezza di un’assenza, percepibile come un vuoto marginale eppure meticolosamente condottosi lungo i bordi della percezione. E non è un caso, dunque, che il disco scivoli via con una “Overture”, al passo confuso ma sommativo di un’elettronica che sembra voglia aprire, o quantomeno additare con estrema decisione il suo futuro più lontano.

(7)

Recensione di Alessandro Biancalana e Francesco Nunziata

lunedì 23 gennaio 2006



ISAN: "Lucky Cat"

Ok, il solito disco di ambient perfettina e giocattolosa, in pieno stile Morr.
Il solito approccio indie e le atmosfere caruccie, carine, bambinesche.
Prendono ispirazione dai maestri Pan Sonic, scarabocchiano fraseggi IDM, punteggiano imprecisioni glitch.
Cutlery Favours diverte e distende, Fueled è un synth pensieroso, distesa sonora acquosa e languida, What This Button Did è un rimbombo silenzioso, sovrastato da note stellari.
Trascendo da commenti puntigliosi e dico soltanto: Cool


L'ho visto ier sera.
Condivido la maggior parte dei commenti precedenti.
Il film è molto struggente ed emozionale, la storia è toccante e si riesce a seguire lo svolgersi senza noia, nonostante la discreta durata.
Una storia d'amore delle più belle mai viste negli ultimi anni, il coraggio di affrontare questo sentimento umano da un punto di vista differente, la capacità di non risultare nè scontati nè volgari.
La musica è essenziale e scarna, molto adatta alle immagini a cui fa da sottofondo, la fotografia ci regala attimi di pura bellezza visiva, in cui confluiscono colori tenui, vivacità e immensità.
Grandissime le due interpretazioni dei protagonisti. Praticamente perfetti per espressività visiva, adattamento alla parte e sentimento.
In una delle ultime scene, quando loro si salutano per l'ultima volta, devo dirlo, mi sono scese due lacrime.

domenica 22 gennaio 2006



Raccoo-oo-oon: "The Cave of Spirits Forever CD-r" (2005)

Ecco un altro bel manipolo di svitati.
Improvvisazioni rock, schizofrenie di fiati che rimbrottano sconsclusionati, chitarre taglienti e laceranti.
Si passa dal jazz sfigurato ad accordi eterei e dilungati, a sfuriate di potenza inaudita. Fantasia e pazzia all'ennesima potenza.
Quando le corde la fanno da padrone il sassofono si accoppia con disturbante rumorisità, rimanendo peraltro un contorno e non lo strumento portante.
Un misto tra un sax alieno, una chitarra malata e una miriade di testoline in crisi epilettica dietro il mixer e agli strumenti.
Cave Of Spirits è noise-rock pazzoide e claudicante, sembra di sentire una jam fra gli Animal Collective, Bügsküll e i Jennifer Gentle. Straniante e sorprendente.
Under The Deck è un improvvisazione per sax, chitarre lancinanti e grida orrorofiche, come a voler sonorizzare una festa di cadaveri fuori di testa.
On The Roof è placida e pacata. Stravaganze percussionistiche, un oblio di note distese, qualche trattamento digitale, voci svogliate emanano suoni, non parole.
Stick Eaters inizia con un riff trascinante e un drumming forsennato, una bestia dietro i tamburi. Un mantra tribale e animale. Bordate di delay, percussioni distrutte e delle urla paiano decantare la rabbia, la sofferenza, il supplizio.
Hundred Eyes vede l'intervento deciso dell'elettronica, tra spezzettamenti, fili di noise ghiacciato e drones sinuosi. Accordi sono scomposti e smembrati, un'opera di snaturazione incivile. Un immaginario rock veramente inusuale ed affascinante.
Forever ha un suono molto psych. L'impatto è tremendo e non c'è tregua. Il marasma sul tamburo è incalzante, la chitarra è registrata volutamente a bassa fedeltà, i pulviscoli di rumore ci colpiscono, uno per uno, nello stomaco e lasciano dei segni indelebili.
In The Woods è un crescendo impressionante, tra sciabordio metallico, rimbalzare di note, schifezze fiatistiche e un andamento che non vuole saperne di rimanere stabile. Il silenzio si approssima e si scompone, il suono si affievolisce e si compatta, fino ad una sola striscia di rumore che si sbriciola in pochi secondi, che sembrano ore.
Crazy, very crazy.

venerdì 20 gennaio 2006

Ossessioni della settimana



Josephine Foster & The Supposed: "All The Leaves Are Gone" (7)
Josephine Foster: "Little Life" (7,5)
Josephine Foster: "Hazel Eyes, I Will Lead You" (7)
Born Heller: s/t (7)

Solo Josephine e la sua chitarra. Voci, spettri ed immagini.
Immergersi nel suo mondo immaginario è piacevole quanto sfiorare un panno seta finissima.
Mi rammarico di non averla vista dal vivo..



Woodcraft Folk: "Trough Of Bowland" (2005)

Colpo di fulmine.


(8)



Volcano the Bear: "The Inhazer Decline"

Guazzabuglio electro che vuol ibridarsi con gli strumenti acustici ma s'impatana in un oblio di rumori. Produce un certo Steven Stapleton, componente dei Nurse With Wound. Gioiellino colorato, con un cuore nero, nerissimo.

(7,5)

Artista Jappo della settimana



Mika Nakashima: "Yuki No Hana" (7)
Mika Nakashima: "Seppun" (7)
Mika Nakashima: "Ongaku" (6)
Mika Nakashima: "Hi No Tori" (7,5)

La sua voce è come un volo di rondine, tra instabilità di quota e spostamenti d'aria. Pare sentir vibrare un pezzo di ghiaccio, un suono puro e perfetto.
Grazie Mika.

Disco Techno della settimana



Matias Aguayo: "Are You Really Lost"

Bombettina esplosiva.
Tra glitchy-house, silurate techno e un suono minimale, scabroso e notturno.
Ah, sotto Kompakt. Ne dubitavate?

(7,5)

Sorpresa della settimana



Quinoline Yellow: "Dol-Goy Assist"

Voglio sapere cos'è questo disco!
Una centrifuga in cui confluiscono ambient, glitch, IDM e pure qualche strumento vero, tanto per gradire.
Chi produce questa roba non ci sta tanto di testa ma ha tirato fuori un qualcosa di (quasi) inedito. Very delicious.

(8)

giovedì 19 gennaio 2006

Ieri (La schivata / Abdellatif Kechiche)







Un'opera estrema.

Giocato sulla violenza insita nei luoghi in cui è giocato, all'interno dei corpi e delle voci degli attori.

Una storia adolescenziale, un amore segreto e velato, un amore atipico.

Non l'infatuazione di un essere corporeo ma la pazzia per una figura, per il vestito "finto" di Lydia, creatura enigmatica e affascinante con le vesti, non quando torna una ragazza con i jeans. Una biondina qualsiasi.



Oggi (Match Point / Woody Allen)







Un film perfetto.

La storia si dipana con fluidità e non c'è mai un attimo di noia.

Le situazioni si susseguono con apparente normalità e il mistero rimane fino alla fine.

La capacità di tenere con il fiato sospeso lo spettatore, raccontare emozioni apparentemente reali, effigiare un piccolo contesto famigliare con precisione maniacale.

La Johansonn è una delle attrici più belle uscite alla ribalta negli ultimi anni. Il suo viso emette sensualità da ogni poro, e la parte che interpreta ha bisogno proprio di lei.

Entrambi i film sono consigliati, il primo per il suo approccio diretto e sfacciato, il secondo per il tocco d'un maestro immortale.

mercoledì 18 gennaio 2006

Qualcuno prema STOP.

Da circa un'ora ho soltanto "Perfect Kiss" nei New Order, la versione estesa sul box Substance.
Cristo, non c'è via di scampo. Marasma post-dance nella mia camera. Niente altro.




Woodcraft Folk: "Trough Of Bowland" (Earworm, 2005)



Quante soddisfazioni riesce a darmi la casualità..

Comprato d'istinto, innamorato della copertina immaginifica, non sapendo assolutamente cosa contenesse.

In questi giorni mi sono introdotto nei vicoli di questa opera.

Che cos'è? Pare folk ma s'influenza a sua volta con sperimentalismi acustici, piccole intromissioni d'elettronica, un immaginario mondo fatto di strumenti piccoli e preziosi, suonati con dolcezza e pacatezza.

Un oblio fatto di note e schiocchi, calore e corde strimpellate, xilofoni che tintinnano felici, campanellini che trillano spumeggiando.

Love The Monk è un mantra folk, una messa nera e oscura, una chitarra suona malinconica, una percussione è appena udibile, anime schiavizzate dai rimorsi urlano la loro sofferenza. Suoni metallici paiono catene che sbattono, timbri lucenti ripropongono il suono di una goccia d'acqua che cade puntuale su una roccia, accordi si sovrappongono, contrappunti sono silenzio che si tramuta in musica.

Old House At Home è un'elettronica piccola piccola, suoni piccini piccini, organo molto minimale. Reiterazioni colorate e frizzanti, synth melmoso, percussioni vere e sfigurate, pure e smembrate.

Bozzettino autunnale che ibrida uno spirito prettamente indie-tronico con anime electro. Il piglio giocattoloso si ingloba con l'andamento oscuro e, delle percussioni "suonate", riportano il suono sulla Terra. Sfrigolio sintetico, sciabordio lontano e misterioso. Colonna sonora per una spiaggia intristita da nuvole incombenti.

Blokfute mi ha rapito. L'intreccio di xilofoni, triangoli metallici, vari strumenti acustici ferrosi non mi lascia la testa da ore. Un synth lacerante compone il sottofondo adatto, un banjo inizia ad emanare note casuali, un ululato digitale pare un'essere straziato, costretto alla prigionia. Il tutto si mescola e le varie parti si lasciano il posto a vicenda, in maniera scambievole. 4 minuti di pura bellezza.

Tracy Finger è un esperimento che mette insieme IDM e folk, Willow Beauty è chitarra e synth, synth e chitarra, classicità e tecnologia, connubio estetizzante.

Wee Maker è una sorta di acid-folk, ma sembra sentire dei vagiti di una musica disturbata e spezzettata. Il glitch (?!). Note sconosciute (chitarra? piano?) vengono accoltellate da sporcizie d'ogni sorta, il tutto prosegue con naturalità, i suoni si alimentano a vicenda e si riproducono a loro volta, senza linea di continuità.

Village of Mells vede l'innesto di una voce "vera". Un lamento più che vere e proprie parole. Questo sibilo umano è completamente circondato da un'atmosfera amatoriale e home-made. Strumenti concreti vengono accoppiati con bleeps saltellanti, sciabordate rumorose quanto un silenzio inudibile. Il rullante ci avvolge con il suo ritmo vagamente regolare, svanisce e ritorna, lascia al silenzio note disturbate.

Milf Floats è tenera e curata nei minimi particolari, Conroy Plays Vibes è un ballo sconclusionato di animaletti festanti, Reindeer On The Roof è la ninna-nanna per bimbi alieni.

Reigned-In è geniale. Una miriade di suoni si rincorrono con velocità insostenibile, stelle lampeggiano emanando suono e rumore, un fiume scorre scrosciando, lucciole urlano in silenzio, meteoriti di carta cadono con dolcezza.

Il finale è affidato a Old House At Home II. 11 minuti di pace e ritmo. Un ritmo che, prima di sfascia, eppoi si ricompone. Una melodia che in principio pare pacata e misteriosa, in un secondo momento rivela la sua felicità, con candori e suoni zuccherosi. Un motivetto che rapisce i cuori più sensibili e le menti più vaganti. Una composizione che rimane sospesa in aria e non si riesce a concretizzarla, non si riesce a darle una collocazione. Bellissima.

Posso dire che, varcato il 2005, ho trovato un disco che fa vacillare la mia adorata coppia Tujiko-Takamasa di 28?

Sì, lo posso dire.

martedì 17 gennaio 2006



Questo libro m'ha scavato nel profondo del cuore e dell'animo.
Sono rimasto spesse volte con il libro in mano a pensare alla realtà del tempo, ai frangenti di sofferenza raccontati, ai passaggi di cristallina bellezza.
Mi lasciavo trasportare dalla descrizioni dei paesaggi incantati, dalle tazze di sakè profumanti che mi pareva di vedere, dall'immagine di un kimono colorato, effigiato con parole delicate, soffici, sprizzanti gioia.
La poesia si fonde con il romanzo e il romanzo si ibrida con la poesia.
Un'opera dal carattere forte, dai particolari decisivi, una storia a tratti immaginifica, amori nascosti, frustazioni malcelate.
Il più bel libro di Yasushi, la sublimazione della sua arte letteraria.
Leggete la mia firma e ne avrete un assaggio.
Conciso, sferzante, crudele.


Piano Magic: "Writers Without Homes"

Domenica, appena ho visto il cd con la sua copertina così emblematica, ho perso qualche minuto di vita.
Credo che trovarlo non sia uno scherzo, comunque sia ora è tra le mie mani.
Rimango impressionato dal marasma sonoro di (Music Won't Save You From Anything But) Silence. Il coacervo di chitarre tintinnanti è come entrare in una stanza piena di cristalli lucenti ed ammirarne lo splendore, cogliendo il suono della loro bellezza. La voce di Glen sale in cielo e non scende più, tra il marasma di note che lo circonda. La ascolto ancora, e ancora. Non c'è scampo.
Postal è una cantilena misteriosa e mistica. La parole scorrono come una messa prosegue lenta e pacata. Solo uno xilofono a fare da supporto a un angelo cantante, solo un piccolo sciabordare metallico.
Modern Jupiter mi riempie di calore, con il suo andamento profondo e scabroso, 1.30 è un giochino acustico per un folletto delle nevi, che saltella sopra i suoi strumenti, The Seasons Is Long è dream-pop, un cantilena antica e notturna, un canto sdoppiato, emozioni sono a fior di pelle, note volano indecise e incerte, un piccolo scoiattolo scappa.
Certainty è minimale e preziosa. Una voce in sottofondo ci racconta una storia, dei suoni sinuosi compongono un contorno atmosferico, piccoli fantasmini timbrici fuggono dispettosi, il tutto si intreccia e fluisce con naturalità e distensione.
Crown Of The Lost innesta note di piano profonde e decise, una percussione detta un tempo lento e strascicato, ancora una donna misteriosa emana parole sornione, ancora una fiaba epica per le nostre orecchie.
Dutch Housing è giocattolosa e sbarazzina ma al comtempo profonda e scabrosa, Already Ghosts è un morboso racconto dai tratti percussivi di rara bellezza, i rumori sono delicati, un organo dilungato ci accompagna per mano, verso la fine, piena di silenzio saturante.
Conclude con solennità Shot Through The Fog. Spara in mezzo alla foscia, alla nebbia, non immaginarti il risultato ma stai fermo. Goditi l'oscurità e continua a perforare il niente. Solo il suono ti circonda. Niente più.

sabato 14 gennaio 2006



Clap Your Hands And Say Yeah: s/t

Sarà che queste operazioni nostalgiche non m'hanno mai rapito, ma questo disco è veramente scadente..
Primo: la voce. Squillente, strascicata. Il cantante si atteggia e fa male perchè non ne ha le doti.
Lasciando perdere questo, passiamo alle melodie. Sembra di sentire un surrogato mal impastato di indie-rock 90ino e reminescenze di vario genere.
La chitarra vuol suonare eterea e cristallina ma non da il tocco giusto ai pezzi, il drumming è sommesso, non trascina per niente.
Tra una canzone più banale dell'altra si salva solo la melodiosa Details of the War.
La ritengo un'opera fortemente sopravvalutata.

venerdì 13 gennaio 2006



Questo film è veramente doloroso.
Torno a vedere queste immagini dopo la visione estiva e non fa che ferirmi ancora di piu'.
Le lacrime sono l'espressione della delusione, della sofferenza, della frustrazione.
Le immagini colpiscono per crudezza e sincerità, i suoni sono taglienti e lacerenti, i visi arrossati sanno di crudeltà.
Splendenti alcune sequenze, in testa il finale. La macchina si ferma, non puo' proseguire. Due vite si spezzano. Due esistenze si dividono.
Un'opera sincera, diretta e schietta.
Ossessioni della settimana




AGF + Kyborg: "Constant Variable" (7,5)
AGF & Vladislav Delay: "Delay-Explode" (7,5)
AGF: "Head Slash Bauch" (7)
AGF: "Language Is The Most - Ars Electronica 2003" (7)
AGF: "Westernization Completed" (8,5)
The Lappetites: "Before The Libretto" (7,5)
Laub: "Filesharing" (7)
Quio: "Like Oooh!" (7)"
Vladislav Delay / Antye Greie / Craig Armstrong: "The Dolls" (8)

Ripercorro (quasi) tutta la carriera della mia amata AGF perchè, tra poco più di un mese, suonerà vicino casa mia.
Un'artista tra le più innovative e geniali degli anni 2000.
Inchino.



Tujiko Noriko: "Blurred In My Mirror" (7,5)
Tujiko Noriko: "From Tokyo To Naiagara" (8)
Tujiko Noriko: "Hard Ni Sasete" (7)
Tujiko Noriko: "I Forgot The Title" (6,5)
Tujiko Noriko: "Kesyou To Heitai" (7)
Tujiko Noriko: "Make Up And Soldier" (7)
Tujiko Noriko: "shojo toshi" (7)
Live At The Spitz, London [26-11-03] (7)
Live At Depo Riga [14-11-03] (7,5)
DACM (with Pita): "Stereotypie" (7)
RATN: "J EP" (6)
Portradium / Tujiko Noriko: " Melancholic Beat" (6,5)


Ho deciso. Farò la pazzia e vado a Napoli.
Ho ascoltato tutti i dischi di Tujiko come se fosse un viaggio infinito, con soste immaginifiche e voli cristallini. Amore allo stato puro.
Quando vedrò il suo visino davanti al microfono :"Ciao, ciao cuore".

Disco Jappo della settimana



Akane Sugazaki: "Beginning"

J-pop stellare e cristallino.
Hoshi ni Negai fa un baffo a Tripney Spears e compagnia bella.


(7,5)

Disco Techno della settimana



Kevin Saunderson: "Faces & Phases"

I teppisti che hanno inventato la techno si contano sulle dita di una mano.
Kevin ci sta.

(9)

Sorpresa della settimana



Lackluster: "What You Want Isn't What You Need"

Esce sulla (quasi) esordiente New Speak questo disco di Lackluster aka Esa Ruoho.
Lande sonore sinuose e morbose, spore velenose offuscano l'atmosfera, veleni invisibili ammorbano l'aria.
Notturno e ombroso.

(7,5)

giovedì 12 gennaio 2006



Piana: "Ephemeral" (Happy Records, 2005)

La fatina dagli occhietti a mandorla è tornata ad allietare i nostri pomeriggi di sconfinata delusione, ricoperti da una patina di freddo e malinconia.

Bissare un gioiellino splendente come “Snow Bird” non era impresa facile.

Quell’album è una magia composta da una maghetta vestita di indumenti colorati di blu, oro e argento. Rintocchi pacati e soffici, come un piccolo mucchio di neve cade e si infrange su una roccia liscia e arrotondata. Le striature elettroniche effigiano un arcobaleno sfavillante, i ricami acustici intagliano scolture mistiche e deliziose.

L’album in questione evidenzia un’evoluzione del suono, la volontà di migliorarsi e sviluppare nuove soluzioni, anche in previsione del futuro. Si punta agli arrangiamenti classici (violino, cello, chitarra, ecc) non abbandonando del tutto le escrudescenze digitali, perfetto contorno per un tripudio di canzoni semplicemente pop, semplicemente belle.

“Something’s Lost” è una delle canzoni più dolci, leggiadre e angeliche ascoltate nel 2005. Sdruciture che sanno di sporcizia danno principio al sogno, un organo synth-etico inietta rumore e tenerezza allo stesso tempo, Naoko inizia con la sua vocina, ad emanare un :”La La LaLaaa” da cardiopalma emozionale. S’introduce una chitarra (suonata da Yuichiro Iwasita)lontana e dimenticata, echi di voci misteriose, un’atmosfera è dipinta di colori luccicanti, spessa e sottile, concreta e astratta. Una fabia per grandi e piccoli, per esseri duri di cuore, per persone che sentono la necessità di piccoli scampoli felici e concilianti.

“Early In The Summer” è la continuazione del sogno. Ancora un oblio di glitch avvolge la nostra mente, un tintinnante xilofono stellare lascia al silenzio note preziose. Il violino di Gen Saito è lacerante quanto un coltello affilato, animaletti robotici saltellano felici in ogni direzione, una percussione irriconoscibile cesella ritmi sornioni, la voce di Naoko è un volo tra cieli sconfinati, nuvole bianche e sorrisi infiniti.

“Besides Me” è maggiormente frammentata, la melodia viene spezzata e sfigurata, il ritmo è claudicante e non c’è linea di continuità fra i vari rintocchi.

La chitarra è suonata in maniera sconclusionata, una reiterazione pare una cicala che canta spensierata, bleep sono il trillo di uccellini svolazzanti, le parole sono dettate dall’emozione e da un ambiente appartato, intimo. Anime sonore viaggiano planando su alberi altissimi, sfiorando fiori dipinti di bellezza ed attraversando una cascata di acqua purissima.

“Color Of Breeze” è un minuto e poco più di pennellate su una tela, rappresentando montagne di ghiaccio, brividi umani e fitte di gelo.

E’ soltanto il preludio per “Little Girl Poems”.

Timbri provenienti da un mondo sconosciuto, un organo dilungato e strascicato, Naoko non si limita a fare il compitino del giorno e con grande personalità canta la sua poesia. Intensità celestiale e animo toccante. Attimi di pausa sono pregni di senso, sale il tono con l’arrivo di una fisarmonica invadente, il finale è un progressivo sciogliersi di ogni componente, come affetti da una malattia fulminante. Il silenzio ci aiuta ad assimilare, secondo per secondo, ciò che abbiamo appena ascoltato.

“Muse” è una suite a bassa fedeltà, in cui note di piano distanti migliaia di chilometri fanno da sottofondo a registrazioni di rumori quotidiani, un ibrido ammaliante e seducente.

“Mother’s Love” è un folk senza contaminazioni. Solo un drone silenzioso compone un sostrato onirico, capace di donare frangenti di dolore, il resto è solo classicità. Solo la chitarra e la voce di Naoko. Il resto sparisce, scompare, rimane in disparte.

“Moon And Cello” è pop per una cameretta curata e lucente. Piccole tende a sferzare un sole malato, un divano comodo e morbido, una sedia antica, la fatina alata davanti al suo microfono, i suoi compagni creano l’ambito giusto, il calore si espande, la pace regna. Chiudere gli occhi e lasciarsi guidare da queste note.

Conclude “Beginning”, ultimo bozzetto scintillante di una manciata di canzoni inattaccabile.

Album per curare dolori all’apparenza insanabili, adatto a rimarginare ferite profonde, perfetto per continuare a sperare in una gioia perduta.

(7,5)

mercoledì 11 gennaio 2006




Ier sera ho visto questo capolavoro firmato Micheal Haneke.
La trama è geniale e spessa, piccoli aspetti di una vita tormentata.
I ricordi affiorano progressivamente e non si lascia niente al caso.
Piccoli ricatti, attimi di sconforto, ossessione e disperazione.
Cassette rivelatrici, immagini di paura nascosta, scoperte dolorose.
Juliette Binoche si dimostra ancora una volta un'attrice di calibro assoluto, con un interpretazione
pungente ed espressiva, il suo viso emana emozioni e calore.
Daneil Auteil è magistrale e non lascia niente al caso, la sua prova è delle più convicenti, alcune scene
sono pura compiutezza interpretativa.
Il finale è criptico e misterioso, lasciando lo spettatore con un punto interrogativo nella mente, quasi a voler lasciare
diverse ipotesi di conclusione.