lunedì 30 gennaio 2006

ZAVOLOKA



Kiev, 1981. Nasce lei:









Kateryna Zavoloka (in arte Zavoloka) è una delle artiste di musica elettronica inusuale più interessanti e geniali (sì, lo posso dire) degli ultimi anni.

Con la coppia di dischi da lei licenziati è arrivata ad effigiare un immaginario di musica disturbata ma dolce e tenera al tempo stesso.

Cincagliere glitch, rumorini, clip and clap, campionamenti vocali, strumenti acustici resi irriconoscibili da un trattamento indecoroso.

Un po' di AGF per la sperimentazione sulla voce, un po' di musica astratta dal sapore avanguardistico e un tocco di glacialità, proveniente dalla fredda terra in cui è nata, l'Ucraina.

Il primo, immaginifico, disco è questo:







Zavoloka: "Plavyna" (Nexsound, 2005)



Un disco che sembra un involucro misterioso, una patina scurissima avvolge il contenuto e non possiamo sbirciare, possiamo solamente ascoltare i rumori che emana.

Ci immergiamo tra momenti distesi e leggermente fastidiosi, frangenti di disturbante rumorisità, particolari definiti con certosina precisione, dettagli colorati come la scia che lascia una stella in cielo.

Se Maliovani Jafyny (Painted Berries) pare un qualcosa di miracoloso, tra flussi sonori sfasciati e ricomposti, girandole sonore di fiammante velocità, tintinnio e sciabordio, Ronkova è una musica ambient distrutta e processata, influenzata da suoni sprigionati con decisione, un marasma timbrico che pare una lotta fra comete lucenti.

Dzerkalo (Mirror) rappresenta una dei traguardi della musica concreta che si ibrida con qualcosa chiamato droning.

Sinusoidali fantasmi di agghiacciante apparenza si aggirano con movimenti quasi aggraziati, dei tocchi metallici sono delle scale di ferro arrugginito che penano sotto il peso di un passante, un rimbalzare frenitico sembra un flipper impazzito, fuori fase.

La title-track è altrettanta compiutezza, par di sentire un motore a scoppio preso a martellate e lasciato sfogare, fino alla morte, Kosytsia (Little Flower) è una distesa sonora, una giungla apparentemente calma ma pronta a sfregiare il silenzio con contrappunti dolorosi.

Kolyskova (Hushaby) è un sibilo sottile quanto la ragnatela di un ragno, un filamento che viviseziona il nostro senso di percepire suoni, Teche Voda Ledova (Cold Water Flowing) scherza con un flauto, deridendolo, cioè circondandolo di sporcizie quantomai gradite.

I due bozzetti a margine (Gora (Mountain)Lyshtva e (Lyshtva Embroidery)) confermano, se ce n'era di bisogno, l'assoluta preziosità dell'opera, collocata e riconosciuta come non-plus-ultra di un certo filone.

Da far presente come il materiale in questione sia in circolazione già da qualche tempo (un paio di anni, se non sbaglio) e come sia già stata segnalata (ed imitata, vedi sanso-xtro) come punto di riferimento.

Il suo album successivo, Suspenzia, è stato pubblicato sia nel 2003, sia quest'anno, con lo stesso nome.

I pezzi sono all'incirca gli stessi, ma nell'opera più recente sono presenti alcuni inediti imperdibili.







Zavoloka: "Suspenzia (MP3)" (Nexsound, 2003)







Zavoloka: "Suspenzia (CD)" (Nexsound, 2005)



Si inizia con il tritacarne sonoro della title-track. Momenti di pura stasi sono alternati a istanti di pura catastrofe, tra sciabordio metallico e un groove che pare avere una certa regolarità. Tastierine che sembrano emanare note strappate sono colori che scintillano, par di sentire una drum-machine, con il suo vagito infantile e soppresso.

Riznovoid è silenzio e rumore, rumore e silenzio che si ibridano con passione e amore, sciabolate di noise appaiono in maniera istantanea come un flash visivo, scariche elettrostatiche sono il lamentarsi di una macchina in via di distruzione.

Liz Po Antonio è la coda della precedente, tra una suono che pare una sirena, tintinnio digitale e goccie di rugiada che cadono da una foglia, Proza è frastuono e fracasso, scontro di praline puntigliose, baccano computerizzato, un diavolo robotico che starnazza senza senso.

Nathnennia è più giocattolosa, gli animi si fanno più delicati e i suoni scivolano con calma e pace, si fa sentire una vocina bambinesca, un neonato alieno che sussura parole sconnesse. Flussi sonori si scontrano, corrono fianco a fianco, cambiano direzione e si sfasciano a vicenda.

Laktoribka è un viaggio spaziale, tra comete che sfilano veloci, resti microscopici che svolazzano felici, luci in lontananza brillano. Lij non fa che descrivere questo diario di bordo, in una fantascentifica nave che veleggia una galassia sconosciuta.

Le fiabe di Lio Frodo e Siayati sono pettirossi che volano, una cascata di acqua che si infrange su massi arrotondati e lisci e i suoni della natura che paiono distorti da un vento tagliente.

Se Yagliza è offuscata da spore velenose e accecanti, quasi un proto-ambient ombroso, Jattuja è foschia composta da rumore e suoni scomposti, baccano meccanico e meccanizzato.

Hintintin è una cantilena più posata e abbordabile, un finale che calma i sensi e desta il nostro spirito dolce e romantico.

Tra poco uscirà il suo nuovo disco e sarà il solito quadretto colmo di tinte vivaci e oscure, tratti decisi e circolari, un paesaggio lontano e sconfinato.

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