giovedì 7 agosto 2008

Tearwave: "Different Shade Of Beauty" (Projekt, 2008)



Le sensazioni provenienti dal passato spesso sono quelle che colpiscono più nel profondo. In particolare, infatuazioni di quel suono definito dream-pop sono ricercabili un po' ovunque e numerosi fan di vecchio stampo, e anche nuovi discepoli dell'era oro della 4AD, sono ancora pronti ad accogliere con grande entusiasmo nuovi saggi di quel suono ancestrale.

Il perché di un tale successo ininterrotto dopo quasi 20 anni è un dato interessante, che comprova anche la validità di certe operazioni di "recupero". Molto si deve a quella scuola americana che ha continuato a coltivare il genere nella sua accezione originaria, quella coniata nei primi anni Ottanta dai Cocteau Twins: una scuola a sua volta maturata sotto l'ala protettiva di Sam Rosenthal e della sua Projekt Records, in una linea che negli anni si è mossa attraverso le gesta di gruppi straordinari come Lycia, Mira, Love Spirals Downwards.

I Tearwave sono una band relativamente di primo pelo. Superato il traguardo della prima fatidica prova, giungono oggi al secondo esame, a poco più di un anno dal debutto, che aveva sorpreso e spaccato in due la platea. Le loro melodie, costruite su un procedere flemmatico, colmo di pathos etereo, non erano certo facili da digerire per quanti non sono mai stati avvezzi a certe sonorità. Per questi ultimi non andrà certo meglio con il qui presente "Different Shade Of Beauty". Un'ossessiva verve creativa ha spinto la band a una mastodontica prova di forza: 17 tracce, 77 minuti di ballate languide e eteree, specialità nella quale i Tearwave si dimostrano maestri, riuscendo nell'arduo compito di far tornare vivo e pulsante il sound degli albori del dream-pop, senza contaminarlo con null'altro. Non con l'elettronica di qualsiasi tipo, né con strutture più pop-rock come appena prima di loro hanno fatto i compagni di etichetta Autumn's Grey Solace.

Il sound del quartetto di Buffalo, New York, è denso, oscuro e di non facile accesso, malgrado la delicatezza della scrittura. Gran parte del merito è dell'illuminato chitarrista Doug Smith, capace di accendere fiamme di geniale creatività all'interno di canzoni che si susseguono all'apparenza senza grandi variazioni.

Troppo lungo e ripetitivo, si dirà: eppure sono proprio la durata kolossal e l'omogeneità di fondo che permettono a questo album di espandersi oltre i suoi stessi limiti, raggiungendo un effetto ipnotico d'insieme difficilmente riscontrabile in altre produzioni dello stesso genere, più o meno recenti.

Le invenzioni di Doug Smith consentono poi a ogni singolo traccia di imprimersi nella memoria: basti ascoltare ciò che il chitarrista riesce a creare nel crescendo finale di un brano straordinario come "Holding On", qualcosa per cui lo stesso Robin Guthrie dovrebbe rendere onore al suo giovane discepolo, o ancora gli imprevedibili ruggiti che disturbano la magnifica "Question". E leggiadri e fragili, i suoi compagni ne assecondano ogni idea, pur restando avvinghiati a un costante mood rilassato, arcano e psichedelico.

Sezione ritmica modesta e mai invadente, mentre la vocalist Jennifer sussurra incantata testi tutt'altro che rassicuranti. "The Message" e "Claiming Life" sono contese tra bellezza e disperazione, campi di battaglia dove l'unico punto fermo resta la straziante intensità di musica e parole. E urlano di angoscia le chitarre di "Reflection" e "First Time".

A suo agio nei panni gotici, specie nel perduto addio di "Read Me", Doug Smith è però anche capace di tramutarsi in un novello The Edge nel bel mezzo della vibrante "Nothing's Wrong", portando un brano che inizia come un sogno irrealizzato degli Slowdive di "Souvlaki" verso una epicità commovente, e assai più terrena e energica rispetto al tono generale di un album che sempre più si abbandona estatico alle sue inquiete visioni e invocazioni, con picco di astrazione nei suoni in cascata di "Forgettable Name".

Fluviale e appassionato compendio di un genere di musica trasversale di cui la giovane band sa esaltare le più affascinanti e visionarie potenzialità. Soprattutto questo è il merito di questo album ambizioso, e proprio per questo i Tearwave non hanno il benché minimo bisogno di cercare strade nuove e originali. Nel suo lungo cammino "Different Shade Of Beauty" si fa strada senza fretta, ma con forza straripante, imponendosi come un autentico monumento alla storia del dream-pop. E della storia del dream-pop.

(8)

recensione di Alessandro Biancalana e Mauro Roma