lunedì 16 settembre 2013

Syclops: "A Blink Of An Eye" (Running Back, 2013)















Per chi vive ed ha vissuto l'elettronica in maniera approfondita, non potrà aver ignorato la carriera epica di Maurice Fulton. Esperienze di levatura eccellente in ambito house, una moglie dal passato fugace (Mu, da non dimenticare “Out Of Breach”) e una miriade di progetti paralleli da far perdere l'orientamento. Fra questi c'è anche Syclops, collettivo – con lui un trio di muscisti finlandesi - creato nel 2005 sotto l'elgida della DFA con un interessante “I've Got My Eye On You” e lasciato poi da parte per un po' di anni. Con un pizzico di sorpresa scopriamo questo “A Blink Of An Eye” dopo quasi un decennio, secondo atto di stralunante pienezza.

Di non facile individuazione stilistica, l'opera di Fulton e soci ricorda le opere di composizione elettronica totale che a suo tempo attuava Matthew Herbert da solista con la sua Big Band. House, disco, funk, techno, jazz; un frullato multiforme e plastico di tecnologica applicata alla musica in maniera fluida e naturale. Ascoltando questo album si ha un senso di soddisfazione sonora che prescinde dai generi o dai gusti, la varietà tonale della tavolozza del gruppo è tale da lasciare attoniti. Strafare spesso conduce a passi falsi o ad un'amalgama poco omogenea, qua invece l'estrema ecletticità è sorretta da un'esperienza di base che contiene sbavature o derive eccessive.

Si passa dalla techno martellante e alienante (il rantolare di “Unmatched”, le movenze funk di “Michele's H With C”) a bizzarre sperimentazioni contaminate con la disco (le space guitars di “Jump Bugs”), fino ad arrivare a forme mutate di deep-house (le tastiere ambient su base jazz di “Karo's B”). Non c'è limite alle soluzioni messe in atto, infatti è ancora il jazz ad entrare in gioco con la coppia “5 in” e “Got To Get Up For Monday”, una marcia tambureggiante fra bleep, note da pianobar e rintocchi sintetici in un tafferuglio sintetico di spessore universale, un vero piacere per chi ama sentire sempre qualcosa di nuovo. Fra classicismi techno (rimbalzi standard per “Back When Lynn (The Classic)”) prende corpo la finale title-track, un andirivieni di loop e giochetti di synth nel bel mezzo di una batteria che pare provenire da un bar della Chicago anni '30. Pacata e mossa da un ritmo che non esplode mai, la traccia si muove in perfetta sintonia ed equilibrio, trovando un punto di accordo fra due mondi apparentemente inconciliabili.

Oltre a consigliare l'album praticamente a chiunque, escluso chi non è curioso di ascoltare qualcosa di minimamente innovativo, questa recensione è dedicata a chi asserisce che la musica elettronica è tutta uguale e fatta con due tasti, per smentire tali voci sarebbe sufficiente mettere sù questo disco.

(7)

recensione di Alessandro Biancalana

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