lunedì 3 febbraio 2014

Notwist: "Close To The Glass" (Sub Pop Records, 2013)















Quando si parla dei Notwist è sempre doveroso usare le parole giuste. Chi frequenta gli ambiti indipendenti del pop internazionale sa quanto sia stata importante l'epopea della band tedesca. Oltre al marchio stilistico, che ha influenzato generazioni di appassionati e musicisti, il mito dei Notwist viene da un passato lontano. Dopo gli esordi indie-rock tendenti all'hardcore-punk, il collettivo teutonico si è interrogato sulle potenzialità dell'uso integrale delle chitarre. Da lì sono nati “Shrink” e “Neon Golden”, oltre al buon ritorno dopo sei anni con “The Devil, You + Me”. A seguito di un tour promozionale in giro per il mondo (anche in Italia, nel 2010), il gruppo si è preso un altro periodo di pausa durato qualche anno. Che cosa possono dare ancora i Notwist, in un momento in cui certe sonorità sono demodé e l'ondata del pop elettronico tedesco di qualche anno fa (fra i tanti: To Rococo Rot e Barbara Morgenstern) attraversa una fase calante?

“Close To The Glass” conferma quanto i musicisti tedeschi siano dei compositori di musica pop, ma lo fa con un pizzico di intrigo in più. Abbandonate almeno in parte le fragili intarsiature electro-folk di “Neon Golden”, il nuovo album ha un impatto molto forte sull'ascoltatore. Sia “Signals” che la title track sono enigmi da decifrare, racchiusi in complicati pattern elettronici nei quali è difficile districarsi. Sempre di semplici canzoni stiamo parlando, tuttavia questa volta sembra che la band abbia voluto fare un passo avanti. La voce di Markus Acher è sempre discreta e appena sussurrata, come in passato, capace di sfruttare appieno le proprie potenzialità negli episodi in cui risalta di più (la belle melodie acustiche di “Casino” e “Steppin' In”, la lineare struttura pop di “Kong”). A livello compositivo le canzoni eccellono spesso (i bei grovigli electro di “Into Another Tune” e “From One Wrong Place To The Next”), raggiungendo un ipotetico picco con “Run Run Run”, una sgangherata pop song martoriata da fantasmi di fiati e synth sfigurati, un'orgia di suoni perfettamente orchestrata in cinque minuti veramente spiazzanti.

La vena sperimentale del collettivo la troviamo rafforzata nella lunga divagazione kraut di “Lineri”, uno splendido tributo alla musica di casa e un ideale ricongiungimento con band come Kreidler e gli stessi To Rococo Rot. Pacata e fluente la musica scorre via fino a “They Follow Me”, l'ideale conclusione per un disco dei Notwist. La traccia finale, infatti, è una dolce fiaba attraversata da rivoli di malinconia, con una coda strumentale in cui polveri elettroniche si fanno largo fra note di violino e qualche beat. Un modo perfetto per mettere la parola fine a un album tutt'altro che accomodante.

Si intravedono dunque segnali dell'inizio di un nuovo percorso per i Notwist, impegnati a reinventare uno stile che ha fatto scuola, ma che aveva bisogno di nuovi stimoli. Ci sono riusciti molto bene, con la loro usuale originalità e levità, coniugando passato con futuro, non rinnegando un'epoca che li ha visti vincitori e costruendosi un avvenire più che proficuo. A questo punto non resta che correre a comprare i biglietti per le due date italiane di Segrate e Bologna, programmate per il prossimo aprile.

(7)

recensione di Alessandro Biancalana

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