Per suggellare un autunno di concerti imperdibili, il Locomotiv di via Sebastiano Serlio propone, dopo eventi imperdibili come Lamb e Zola Jesus, il ritorno sui palchi dei Lali Puna, con alle spalle un recente ritorno discografico intitolato “Two Windows”
e a distanza di sette anni dall'ultimo live bolognese proprio al
Locomotiv. Le fisiologiche incertezze dell'uscita discografica rendono
questi live un banco di prova importante per una band che dopo
un'ennesima pausa tenta di riaffacciarsi sul mercato discografico con
qualche punto interrogativo.
Ad aprire la serata ci pensano gli
italiani Manitoba, band nostrana nata nel 2015 grazie al sodalizio
artistico fra Giorgia Rossi Monti e Filippo Santini, poi aiutati dal
produttore Samuele Cangi, responsabile della svolta alt-electro-rock della band. Sulla falsariga di certe alterazioni fra indie-rock ed electro, il trio sul palco non eccelle ma nemmeno demerita, mostrando una frontman femminile molto capace a tenere il palco ed un chitarrista di grande talento. Purtroppo i pattern
elettronici a tratti paiono un po' ingessati e poco funzionali al suono
complessivo. Chiaramente l'idea di smarcarsi dallo stilema del duo
acustico è lodevole, tuttavia senza uno studio attento dell'integrazione
fra due componenti molto differenti, si rischia di ottenere un qualcosa
che è solo una via di mezzo fra vero cantautorato rock ed electro. Alla base di ciò però ci sono canzoni molto valide, fra tutte la bella “Glaciale”.
Quando
salgono sul palco i Lali Puna la domanda più grande è: il chitarrista
dov'è? Si sapeva che già da tempo fra Valerie Trebeljahr e Markus Acher
non correvano più buone acque nonostante il matrimonio e un'unione
artistica durata quasi vent'anni, tuttavia ci si aspettava che la band
fosse corsa ai ripari rimpiazzando il leader dei Notwist con un altro componente, quantomeno nelle esibizioni live.
Così non è stato fatto ed inevitabilmente la performance ne ha
risentito. Nonostante la formazione tedesca faccia dell'elettronica la
sua componente fondamentale, è sotto gli occhi di tutti come molta della
musica proposta da Valerie e soci abbia nella chitarra uno strumento
fondamentale. Ascoltare i pattern di chitarra preregistrati o addirittura simulati con il synth (come nella conclusiva “Faking The Books”), fa storcere la bocca non poco oltre all'atavico problema dei live dei Lali Puna della voce di Valerie che difficilmente esce fuori al cospetto dell'intricato reticolo di suoni.
Nonostante
questi problemi di assetto ed equalizzazione, i Lali Puna sono sempre
loro ed in grande salute. Le emozioni salgono alle stelle quando
l'attacco di “Scary World Theory” fa capolino, mentre la magnifica “Deep
Dream” si conferma uno dei migliori pezzi della band, insieme a
classici intramontabili come “Left Handed”, “Small Thing”, “Bi-Pet” e
“Micronomic”. Ignorato con grande rammarico “Tridecoder”, viene dato
ampio spazio all'ultimo album con il pezzo omonimo, “Wonderland”, “The
Bucket” e “The Frame”, confermando la non totale riuscita dell'ultima
uscita. Come già analizzato in sede di recensione, secondo il modesto
parere di chi scrive, il trio berlinese ha nelle mani una carriera
ancora non del tutto relegata all'esecuzione dei grandi classici del
passato, bensì proiettata al futuro, come ben testimonia il picco di
efficacia del live appena commentato proprio coincidente con
“Deep Dream”. Sarà solo il tempo a dirci se Valerie e soci sono pronti
per diventare grandi una seconda volta.
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