domenica 24 giugno 2007

The Bird And The Bee: s/t (Metro Blue, 2007)




La coppia di cui andremo a parlare, deve la propria nascita a Mike Andrews; produttore del disco solita della metà femminile, amico in comune che avvicina i due all’unione facendoli conoscere. La ragazza (Inara Gorge), registra il suo esordio menzionato poco fa (“All Rise”, una buona prova di pop colorato) nello studio di registrazione di Greg Kurstin, dove scoprono di condividere l’amore per le atmosfere jazz e la musica vagamente tropicale. Da qui la nascita dei The Bird And The Bee e del loro parto: fra le più positive uscite di pop frizzante ascoltate fino ad oggi, collocandosi sul confine fra vari approcci stilistici. I generi apprezzati da entrambi gli artisti, come già accennato poco sopra, si riversano con grande naturalità nelle canzoni qui presenti. Sensazioni con forte sapore crepuscolare, si mescolano con ritmi differenti e molto fantasiosi. L’elettronica, spesso utilizzata, supporta una sapiente precisione compositiva di stampo essenzialmente pop; un’attenzione alla produzione quasi maniacale non fa mai sfociare le melodie in banali motivetti scanzonati. Le influenze, appunto, abbondano. Si potrebbero citare gli Everything But The Girl più minimali o gli adorabili Ivy di “Apartment Life” giusto per rendere il quadro meno evanescente. Preme dire, comunque, che il materiale qui proposto si discosta dalla mera riproposizione di stanchi stilemi canzonettari ed anzi, spreme ogni possibilità del genere, ottenendo un risultato tutt’altro che trascurabile.

L’inizio è uno di quei momenti in cui un’opera ti dice subito chi è, e come vuole presentarsi. Nel nostro caso specifico, “Again & Again”, coincide con il migliore biglietto da visita che un gruppo può consegnarti. Una linea di tastiera, unita a un clapping forsennato, danno il via alla festa. La chitarra, il synth spumeggiante, la voce instancabile di Inara, tutti elementi che, messi insieme, danno corpo a una canzone pop perfetta; il tutto condensato in tre minuti scarsi.

Il piglio leggermente più posato di “Birds & The Bees” non snatura l’anima di questa musica, che sa adattarsi in modo molto coerente ad ogni tendenza timbrica che i due artisti vogliono imprimere. Elemento di importanza fondamentale è la voce, rivelando il grande potenziale espressivo di Inara, capace di variazioni tonali d’interpretazione molto positive, anche aiutata da alcuni filtri che modificano l’effetto sonoro delle sue parole. Da notare come la ricchezza strumentale non sfochi mai in qualcosa di “eccessivo”, i vari elementi sono stati dosati al punto giusto, ed anche se l’arrangiamento finale è molto corposo, non c’è mai aria di un passaggio a vuoto.

Ancora impronte fortemente elettroniche in “Fucking Boyfriend”, basata su una linea di tastiera, che delinea la struttura iniziale, poi rimpolpata da drum-machines, xilofoni e hand-clapping; quest’ultimo un elemento molto utilizzato anche nel proseguio, fino al termine. Storie di avventure amorose, filastrocche che paiono barzellette, forse non molto originali, ma supportate da un autoironia di sicuro valore, che farà storcere il naso ai più puristi, dove il limite del banale non viene mai sorpassato. Rimane comunque un’analisi esclusivamente testuale, non di carattere musicale.

Le dolcezze melodiche di “I’m A Broken Heart” sono di una purezza quasi ingenua, così delicate, protese verso l’ascoltatore più sensibile. La descrizione degli intrighi che si celano fra le intarsiature di questa musica è compito arduo, una cosa puramente soggettiva. Nell’attimo in cui “La La La” si presenta c’è da rimanere sorpresi; il collegamento con ciò che abbiamo detto per la traccia precedente è evidente: una vaga vena  di solennità riesce ad insinuarsi senza forzature; ed infatti ciò che otteniamo, è una coppia di composizioni che strappano la scena al silenzio con grande garbo e limpidezza. E ciò che accomuna questa parte centrale con la successiva “My Fair Lady” è proprio quest’aura angelica, che però, nel caso in esame, è leggermente più incentrata su sfumature più giocose.

Arrivati a questo punto siamo di fronte probabilmente al pezzo più bello del disco, “I Hate Camera”. Un simpaticissimo “Pa Pa Pa” è un campionamento vocale di soffusa genialità, supportato da un continuo cambio di ritmo, fra pause e improvvise partenze scandite da un suono elettronico: sono questi gli elementi di un ennesimo episodio riuscito. Da rimarcare ulteriormente la bellezza del campionamentovocale poc’anzi citato posto qua e la per i 3 minuti: una trovata veramente azzeccata.

L’incursione in un hip-hop tendente alla musica soul elettronica (altro punto a favore per la voce di Inara) regala emozioni di natura differente, a tal punto che “Because” sembra quasi un qualcosa di estraneo, senza peraltro perdere valore, visto che la realizzazione rimane precisa e mai fuori fuoco.

La penultima “Preparedness” ricorda i mitici Sneakster di “Pseudo-Nouveau/Fifty Fifty”, soprattutto per l’uso aggraziato della ritmica digitale, perfetto connubio fra dream-pop e tendenze sintetiche si riconciliano dopo quasi 10 anni di distanza. L’ultima, come la tradizione vuole, si scioglie in un lago di tenerezze melodiche: un ambient-pop che sprigiona la sua magia con un tocco fantasioso. Piccoli singulti digitali, folate che sanno di sogno, melodie che lasciano il segno; come solo i This Mortail Coil erano capaci di fare.

Un attimo per pensare dopo la fine. Cosa rimane di questo esordio? Racimoliamo una miriade indistinta di sensazioni che tramontano da un attimo all’altro, come fa il sole, si sperdono genuine e arrivano laddove piccoli cuoricini necessitano di vigore e rassicurazione, in un mondo in cui le certezze si disperdono facilmente e la bellezza scarseggia, nascosta e celata in uno scampolo sfuggente e prezioso come la mezz’ora abbondante di cui abbiamo appena parlato.

(7)

recensione di Alessandro Biancalana

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