giovedì 14 febbraio 2008
Radical Face: "Ghost" (Morr Music, 2007)
Alzi la mano chi, all’inizio del 2006, non è rimasto felicemente incantato all’ascolto del disco omonimo degli Electric President; uno scrigno finemente decorato di canzoni che sprizzava felicità pop come nella migliore tradizione Morr Music. Il personaggio che sta dietro a Radical Face è proprio Ben Cooper, una metà del duo sopracitato. Il collegamento fra i due dischi è doveroso, giusto per congiungere un flusso di artigianato canzonettaro mai concluso e mai esaurito. Se i più dubbiosi avevano intravisto un po’ di ruggine nel meccanismo scatenato dall’etichetta berlinese quasi un quinquennio fa (la Morr Music, appunto), la via della redenzione è vicina e raggiungibile proprio con questa opera.
A detta dello stesso Ben, “Ghost” è una parola concettuale. Scritto con l’idea di trasporre con piccoli caroselli musicali l’atmosfera di abitazioni pregne di memoria, colme di persone che inducono i fantasmi a lasciare una casa quando se ne vanno. Le azioni svolte all'interno di una dimora, vengono “collezionate” dalle mura che la sorreggono, e parzialmente volano via, insieme all’aria di malinconia, quando siamo costretti ad andarcene. Perciò, le canzoni sono tutte delle piccole storie, al cui interno sono nascoste sensazioni sabbiose e scricchiolanti certezze.
Intriso da un’aura di completa grazia, quasi fosse un bozzolo anestetizzante, il disco scorre piacevolmente fra isterie tipicamente pop, di marca indipendente, e slanci corali di grande pregio; ne è un esempio la martellante “Winter Is Coming”, o il finale esplosivo dell’introduttiva “Alseep On A Train”.
Questi testamenti segreti di passioni, rimpianti e sogni da racchiudere in un cassetto caratterizzano l’alternanza melodica del disco, quasi come se l’artista avesse deciso di esternare in musica le pagine del proprio confessionale cartaceo; ogni giorno è una nuova melodia da comporre, e da quanto appurato in “Ghost”, la quotidianità di Ben Cooper deve essere veramente un tran tran di sensazioni controverse, intense e tremendamente vissute.
Così, da un felice rientro a casa, “Welcome Home”, zeppo di coretti goliardici, si passa alla descrizione malinconica delle “cose” davvero più strane, “ The Strangest Things”. In questo diario acustico c’è spazio per qualsiasi buona novella: si possono contemplare i ricordi della fanciullezza che fu, mediante la celebrazione folkloristica dello stato d’animo, a dir poco smanioso, di ragazzini che giocano sulle rive di un fiume (“Let The River In”), o ci si può perdere in una nostalgica marcetta/carillon con tanto di coda favolistica (la conclusiva “Homesick”).
Attraverso il suo fantasma, il ventiquattrenne Ben Cooper ha cercato di dimenticare lo spauracchio elettrico del Presidente, mostrandoci le stanze umide della sua dimora, con la timidezza e soprattutto la delicatezza di chi è capace di armonizzare al meglio ogni inconfessabile riserbo.
(7)
recensione di Alessandro Biancalana e Giuliano Delli Paoli
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