lunedì 11 febbraio 2008
AGF: "Words Are Missing" (AGF Produktion, 2008)
La voce, quel suono così naturale eppure magico, prende il sopravvento e diventa padrone della scena. Una flebile vibrazione d’aria, un piccolo bisbiglio nel silenzio, sussurri sottili quanto una striscia colorata nel cielo.
L'ultimo album completamente solista di Agf risale a quattro anni fa: il capolavoro “Westernization Completed”. Nonostante il ruolo sotterraneo, quest’opera ha assunto l’invidiabile posizione di spartiacque nella sperimentazione vocale, di cui Agf è stata una vera e propria maestra, sempre capace di estrapolare tutte le risorse espressive attraverso riferimenti simbolici, reticoli semantici mai troppo forbiti ma velati da un’ombra di inquietudine.
Numerose le peregrinazioni che si sono susseguite negli anni, fra lo splendido sodalizio con Vladislav Delay, allo scintillante disco con Zavoloka, passando per l'opera multimediale assieme a Sue.C. Nel frattempo, non ha trascurato la sua band culto, i Laub (splendido “File Sharing”), e infatti l'anno scorso è stato rilasciato l'album nuovo, un seducente esperimento di glitch-blues.
“Word Are Missing”, ai primi ascolti, pare bissare con grande forza la bellezza del suo predecessore. Un folto campionario di soluzioni compositive e un’acuta esperienza le permettono di bilanciare atrocità rumorose e frangenti più minimali, realizzando un’opera elettronica a tutto tondo.
I simboli "‘I", "II" e "III", posposti ad alcune tracce presenti, indicano la presenza di un trittico basato sulla costruzione della struttura timbrica attraverso l’uso di sole "parole". Il primo appuntamento di questa serie è “Letters Make No Meaning (Weapons No War Germs No Disease) I”: una corrente di vocaboli che paiono cadere a velocità incontrollabile, attorniati da un contorno di sibili e marciume digitale pescato da un generatore casuale di suoni.
Ascoltando “Cognitive Moducles Party II”, pare proprio d'essere davanti a qualcosa di sensazionale. A ben vedere, se fosse solo per il ritmo, parrebbe semplice techno, se non fosse che il beat è composto dalla voce. In particolare, tanti piccoli campionamenti che recitano alcune lettere dell’alfabeto (A, B, M), in un vortice di ritmi doppi da far saltare le cervella. Un incessante scrosciare di parole analfabete, pulsioni spastiche e rumori.
“Ooops For Understanding III” è un altro gioiellino, attorcigliato nei meandri di un flusso che gode di propria vita, girando su sé stesso con vigore insaziabile. La voce non è mai stata così viva/vivisezionata, e non c’è modo di trovare i capi di questa matassa inestricabile.
Il tema della voce in questo disco assume un valore metaforico e simbolico per Agf; in "a Present, b Absent", si sente il mormorio del suo bimbo appena nato (in un’esibizione del marzo 2006 con Delay, mostrava un’adorabile pancione), e alcuni fruscii elettronici. Un nesso affascinante per ricollegarsi al significato puro della nascita, infatti il titolo nasconde il contrasto fra l’assenza-presenza, con la contrapposizione di due frangenti opposti, fra bisbigli fragorosi e un silenzio appena percettibile. Complicando l’etimologia di fondo, in “Presswehen”, si riesce a sentire in sottofondo un ansimare concitato, intervallato da alcuni urli di vero terrore; da accurate ricerche, si è scoperto che questa composizione traspone la sua reazione quando, a 16 anni, è venuta a conoscenza di ciò che era stato fatto nel campo di concentramento di Buchenwald. Un puro brivido scende per la schiena all’ascolto di tanto malessere infantile.
Puro stillicidio degli amanti dei ritmi regolari nella maggior parte dei restanti episodi, con il caos (ragionato, s’intende) che in alcuni casi la fa da padrone, evidenziando una sapienza nel campo dell’improvvisazione di grande pregio (“Words Are Useless”, “Die Ufer Sind In Feindes Hand”, “Where The White Animals Meet”). Da annotare sul taccuino l’interessante uso del piano nel coacervo di soluzioni melodiche di “Head Inside Cloud”.
Da far veramente paura le silenziose serpentine striscianti che risiedono in “KZ”, come in “I-War” e “Underwater (Run!)”, esempi di musica ambientale pestilenziale, ammorbata da una malattia irriconoscibile e ovviamente inguaribile.
Le splendide poliritmie applicate in maniera aleatoria, unite alla rabbia di una compositrice che non si sente mai sorpassata, fanno di quest'album qualcosa di assolutamente inedito, non di facilissimo ascolto, ma contraddistinto da una bellezza graffiante e dolorosa.
(8)
recensione di Alessandro Biancalana
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