lunedì 28 gennaio 2008

Architect: "Lower Lip Interface" (Hymen, 2007)



Negli anni 90 Daniel Myer è stato uno dei maggiori esponenti della scena technoide industriale tedesca. Ricordate gli Haujobb? O meglio: avete ancora impresso nella vostra mente il suono androide ma al tempo stesso terribilmente elegante di “Solutions For A Small Placet”?

Era il lontano 1996, e qualcuno già definiva quelle intuizioni magnetiche come la chiave di volta della neonata drum’n’bass.

Dopo aver dato vita a tutta una serie di folgorazioni elettroniche, vicine sia alle pretenziosità da esasperazione techno-cosmica dei club berlinesi, vedi il progetto Newt, concepito assieme a Andreas Meier dei Forma Trade, sia alle sensuali carcasse robotiche da esplorazione post-Kraftwerk, tanto in voga nella regione del Brandeburgo verso la fine del millennio, vedi i Cleen di “Solaris” assieme al vocalist Thorsten Meier, il nostro coltiva in segreto la passione per l’oscurità nel personalissimo progetto intitolato Architect.

Il percorso stilistico sviluppato nei quattro album pubblicati esplora territori differenti e apparentemente inconciliabili. “Galactic Supermarket” (1998) riabilitava il cadavere più che morto della drum’n’bass per darle nuova linfa con scosse industriali, “I Went Out Shopping To Get Some Noise” (2004) ammorbava partiture classiche con battiti techno da film horror spaziale, “The Analysis Of Noise Trading” si mostrava leggermente più posato, con ardore ambient e cuore marcio lasciava il 2005 con classe e uno schiaffo di rumore sul viso.

“Lower Lip Interface” è la quarta tavola digitale di quest’architetto alieno. I suoi layer sono stratificati amalgamando beat ferrosi e omogenei a ricami analogici in stile videogame. L’ennesima evoluzione a questo giro ci conduce dalle parti di certi terroristi sonori come Enduser, prOmetheus buRning o Duncan Avoid. Singulti techno, rumori sincopati, svolgimento che non va dritto per dritto, ma sceglie direzioni diagonali e trasversali. Attraversa tentazioni provenienti da certa dark-ambient movimentata e le amalgama con musiche da film horror (vedi gente come Aghiatrias), arrivando a un risultato finale peculiare e personalissimo.

Masterizzato da un’altra figura fondamentale della scena, John Sellekaers, il disco sa mettere in risalto grandi pregi compositivi, rifuggendo da banalità e commistionando violenza con frangenti più distesi; la sapienza sragionata di Daniel Myer è sempre stato un vero paradosso: riuscire a non sbagliare un colpo marginalizzando una incontenibile creatività al servizio dell’ordine sconquassante. Essendo un’opera caratterizzata più dall’insieme delle tracce che da singoli episodi, la descrizione di ogni componente risulta poco produttiva; caso a parte per “Pissed In The Morning”, il cui titolo non eccelle certo per delicatezza. L’assalto sonoro è una sorta di pugno assestato nel fianco, dove la vulnerabilità è più marcata, in quel luogo dove la mente non può reagire, rimanendo inerte senza reazioni. Esemplare il collage di pulsioni dimenticate e riverbi terrestri, fra i migliori ascoltati negli ultimi anni.

In chiusura, è di dovere evidenziare il lavoro, purtroppo mai menzionato, dell’etichetta Hymen Records. Dall’1997, creata come sub-label della Ant-Zen, è riuscita a pennellare un percorso artistico di grande prestigio nell’ambito di questo genere, ritagliandosi una fetta di appassionati molto vasta. Impegnata fin dall’inizio con lo slogan “Technoid Noises for Collapsing People”, arriva ad oggi con quest’ultima prova di Architect in grande splendore e pronta a regalarci altri incubi squarcianti.

(7,5)

recensione di Alessandro Biancalana e Giulianno Delli Paoli

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