venerdì 19 dicembre 2008

Carl Craig & Moritz Von Oswald: "Recomposed"



L’interazione fra concezioni musicali agli antipodi s’è sempre rilevata una tentazione irresistibile per i musicisti più ambiziosi. Nel caso specifico, cercare possibili collegamenti fra il genere classico (o jazz) e pulsazioni techno è stato un obbiettivo spesso ambito da diversi anni a questa parte. Partendo dalla fanfare jazz trasfigurate della Matthew Herbert Big Band, passando per il primo splendido disco di Murcof, ed arrivando al progetto dello stesso Carl Craig più attinente all’argomento: il disco “Programmed” dell’orchestra Innerzone. I ritmi, quando scomposti e sostenuti, quando caldi e ammalianti, hanno sempre provato a sollecitare (o assecondare) un’atmosfera tutt’altro che abituata a certi stravolgimenti melodici e strutturali. Il risultato, se non supportato da ispirazione e smisurato controllo dei mezzi, s'è dimostrato spesso fuori centro e anacronistico.

Carl Craig e Moritz Von Oswald sono due mostri sacri della techno e non sarà certo questa prova a provarlo ulteriormente. Le collaborazioni assidue (si scambiano spesso remix), unite alla stima reciproca, hanno condotto in porto un rifacimento a cui soltanto artisti di tale caratura potevano rispondere con tale precisione e solerzia. La storia di questa operazione è molto sbrigativa: l’etichetta Deutsche Grammophon ha proposto la cosa a Oswald il quale ha contattato l’amico afro-americano per coinvolgerlo, quest’ultimo ha accettato ed è partito il processo di rivisitazione. Il materiale scelto riguarda il “Bolero” e la “Rapsodie Espagnola” di Ravel, e la "Bilder einer Ausstellung" di Mussorgsky, due imponenti estrapolazioni classiche dal grande fascino antico.

L’esperienza maturata con anni di sperimentazioni aiuta la coppia a condurre le composizioni dalle parti di un minimalismo classico, scosso da flebili tumulti timbrici (la progressiva “Movement 1”, i magnifici intrecci di fiati digitali in “Movement 2”), elevando con tatto il numero di battiti al secondo nella parte centrale (il punto focale “Movement 3” sfocia nell’implosione di “Movement 4”). In trenta minuti di musica astrale e completamente slegata da un contesto prettamente elettronico, i suoni scorrono liberi senza limitazioni, la lucentezza degli ultimi minuti è un’immersione silenziosa, la gradualità con cui si srotola ogni singola variazione è così fine da risultare impalpabile, rilasciando una sensazione di immobilità catartica, immobilizzante, quasi magica.

“Interlude” fa da spartiacque fra la prima parte, più frammentaria e disunita, e la seconda, composta da sole due tracce entrambe sui quindici minuti. L’adattamento fra due andamenti in sostanza decisamente diversi, viene eseguito con un tocco delicato, con l’usuale perizia, trasportando l’ascoltare in un flusso armonico senza destare cambi troppo bruschi.

I due movimenti finali colgono il bersaglio più difficile: coniugare ricerca elettronica e fedeltà con l’originale. La durata diluita permette di sviluppare i concetti in maniera più adagiata, i brandelli di melodia che serpeggiano nei meandri della mezz’ora finale, paiono sinfonie arcaiche che risorgono stizzite, le percussioni esplodono e si adagiano su un registro d’esecuzione più posato. Più corposa e meno silente, quest’ultima frazione di “Recomposed” esplode di vitalità compositiva, dimostrando la validità del progetto e dell’idea originaria.

Il tentativo dell’etichetta tedesca di avvicinare due mondi inconciliabili è reso possibile dal lavoro di due cesellatori fini e intelligenti, capaci di agire con circospezione in un campo minato senza ferirsi, raggiungendo la meta con il plauso della folla.

(7,5)

recensione di Alessandro Biancalana

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