martedì 11 gennaio 2011

Oval: "O" (Thrill Jokey, 2010)



A poca distanza dalla fine di un decennio musicale influenzato da correnti più o meno passeggere, Markus Popp riprende in mano la sua creazione più ambiziosa. Dieci anni in cui il termine glitch è stato utilizzato un po’ ovunque; abbiamo sentito parlare di glitch-pop, glitch-hop, ambient-glitch. Ma cos’è il glitch, da dove è nato? Popp, con il progetto Oval, pubblicò nel 1995 ”94 Diskont”, uno spartiacque di importanza inestimabile, dal quale si sono poi diramate imitazioni più o meno riuscite, filoni paralleli o collaterali che hanno attinto a piene mani dalle intuizioni presenti in quel disco. Ascoltando la forma di quei suoni si può capire cosa sia materialmente l’estetica glitch.

Dopo anni passati fra collaborazioni, progetti differenti e concerti in tutto il mondo, il ritorno di Oval è un’opera tutt’altro che banale. Due cd, quasi due ore di musica, settanta tracce, moltissima carne al fuoco e un intero mondo da esplorare. Da un ascolto attento delle prime tracce si percepisce subito limpidezza, intimo raccoglimento e distensione. Nessuna sovrastruttura noise a complicare il tutto, ma un semplice campionario di perline “acustiche”. Ciò che evoca ogni traccia è un misto di sensazioni materne, solitarie, infantili. Si capisce quanto questo disco sia affar di Popp e solo di lui, il raccoglimento quasi mistico qui presente dona un’aura angelica. Una nuvola cibernetica, soffice, da cui scaturiscono piogge di bit eterei, privi di asperità, perfettamente levigati e addolciti.

La batteria, unico intruso in un turbinio di soli soffi digitali, torna spesso con esiti senza precedenti (l’inquieta “Ah!”, “Glossy”, “Brahms Mania”, “I Heart Musik”), ad arricchire il racconto di una favola che prosegue deciso, disteso, immacolato. Suoni metallici, precisi, architettati con attenzione maniacale, quasi morbosa, operato di un artista che raggiunge la cura di un ingegnere con la sua invenzione. Non c’è improvvisazione né casualità nella perfezione dell’intreccio di timbri e disfunzioni circuitali di “O”, ma tutto è calcolato e generato da un animo la cui necessità espressiva conduce verso una forma disgregata, composta da singoli, piccoli, minuscoli haiku (meno di un minuto per le varie “Oslo”, “Pomp” e “Parallax”).

“O” non necessita una voglia famelica, ma una scoperta graduale e attenta dei suoni in esso contenuti; la capacità dell’ascoltatore di smembrare l’opera e analizzarla con pazienza aiuterà moltissimo la fruizione finale, che peraltro non è per niente impegnativa, sopratutto se paragonata ad altri album dello stesso ambito. La stessa calma serafica infusa in ogni singolo tono di “O” deve essere applicata per sfogliarlo e penetrarlo.

Senza mezze misure, Markus Popp ha messo nero su bianco tutto il suo talento con un'impetuosità logorroica, presuntuosa, quasi scellerata. Eppure, “O” non smarrisce spessore nel corso della sua considerevole durata, avvincendo l’ascoltatore e rendendolo curioso di scoprire l'esito di un tale dispendio di idee. Capolavoro di artigianato elettronico, mosaico variegato e ipnotizzante, compendio di un filone di cui si erano dispersi i veri valori fondanti.

(8,5)

recensione di Alessandro Biancalana

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