giovedì 4 settembre 2014
Piana: "Muse" (Guns N' Girls Records, 2014)
Fin dagli inizi degli anni Duemila, gli artisti nipponici e l’estetica del Sol Levante sfondarono oltre la madre patria in vari contesti musicali. Gli ambiti coinvolti sono stati molteplici, dall’elettronica (fra i tanti si possono citare aus, Kashiwa Daisuke, Aoki Takamasa), alla musica d’avanguardia più estrema (il più celebre è Haino ma il sottobosco è infinito), fino a molti artisti collocabili in territori ibridi. Fra questi ultimi si fecevano largo musicisti in perfetta sintonia con il periodo.
Quando in Europa esplodeva l’indietronica, in Giappone personaggi come Gutevolk, Takagi Masakatsu, Tujiko Noriko o Moskitoo (tornata anche lei dopo tanto tempo con “Mitosis”) dipingevano timidi acquerelli che furono accomunati sotto la corrente glitch-pop. Il perfetto connubio fra estetica zen, intromissione dell’elettronica e strumenti acustici misero in risalto talenti meritevoli d’attenzione al di fuori del numero raccolto di appassionati del genere.
Quando tutto sembrava pronto per uno sbarco su larga scala di certi suoni, qualcosa si è interrotto: infatti, molti dei rappresentanti di tale corrente hanno smesso per anni di produrre musica; una realtà come l’etichetta Daisyworld Discs, fondata dall’ex Yellow Magic Orchestra Haruomi Hosono – un po’ il simbolo del glitch-pop insieme alla Noble Records e la 12k – affievolì la produzione fino a terminarla prematuramente lasciando in sospeso molte cose.
In tutto ciò Piana, al secolo Naoki Sasaki, si fece notare con le sue debolissime simmetrie elettronico-acustiche nei tre splendidi album “Snow Bird”, “Ephemeral” e “Eternal Castle”, pubblicati nel giro di quattro anni. Dopo di ciò un silenzio durato più di sette anni, equivalente a un’era geologica in termini di mercato discografico.
“Muse” è un album a tratti nostalgico, diverso dai suoi predecessori ma in qualche modo collegato. La formula si attesta su un pop fragile e crepuscolare, sorretto da filamenti elettronici sottilissimi, una voce che sa toccare importanti vette di lirismo e una base acustica sempre ispirata. L’uso dell’elettronica è sempre di stampo prettamente minimale (le splendide favole zen di “In Silence” e “Imaginary Window”), nonostante si noti la voglia di rinnovare attraverso trasfigurazioni più ardite; notare come in “Borderless”, “Ruins” e “Phosphorescence” si sfiorino spesso ritmi techno-pop. Nelle nove tracce viene dato molto risalto al piano come strumento principale (il cantato inglese di “I Think…”, i raffinati intrecci di “7 years”), come nella chiusura “Tohanabi”, dove la grazia delle note pare raffigurare un magico affresco sonoro paragonabile alle composizioni floreali ikebana.
Se “Muse” sarà per Naoko Sasaki l’occasione per riprendere in mano la propria carriera musicale o solo uno sparuto ritorno alle scene, questo ce lo dirà solo il tempo. Fatto sta che la sua musica, fra mille turbinii luccicanti e tendenze più o meno durature, mancava all’appello a molti ascoltatori. Possiamo solo augurarci che l’attesa per un nuovo album non siano altri sette, interminabili anni.
(7)
recensione di Alessandro Biancalana
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento