lunedì 14 marzo 2016
Barbara Morgenstern: "Doppelstern" (Monika, 2015)
Ascoltare un nuovo album di Barbara Morgenstern è un po' come darsi appuntamento con una vecchia amica, una di quelle che si vedono ogni cinque anni, ma con cui è sufficiente incrociare uno sguardo per ritrovare l'intesa di sempre e scambiarsi le confidenze e le impressioni più intime accumulate dall'ultimo incontro.
A tre anni dall'ottimo "Sweet Silence", interamente in lingua inglese e guidato da una ritrovata verve electro, ecco che "Doppelstern" rinnova l'incantesimo con undici brani-duetto (la "stella doppia" del titolo) con i quali la Morgenstern sembra voler tirare le fila di quasi ventanni di peculiarissimo songwriting che l'ha vista flirtare con il glitch, l'avanguardia, la techno e gran parte dei teutonismi venuti a galla agli albori del millennio.
Stilare un "greatest hits" sarebbe stata senza dubbio un'impresa pigra e artisticamente mortificante, per la sempre ispirata e curiosa Morgenstern. La cantautrice di Hagen ha scelto invece di rivedere il suo operato attraverso la lente delle tante collaborazioni messe assieme sin dai suoi esordi nell'eccitante scena berlinese di metà-Novanta. Ecco quindi che la nostra chiama a raduno gente del calibro di Robert Lippok, Gudrun Gut, Julia Kent, Hauschka e T. Raumschmiere.
Nonostante la compositrice tedesca non abbia mai ottenuto grandi consensi al di fuori del circolo degli appassionati del settore, il merito della sua musica è incalcolabile. Capace di traghettare l'indietronica verso una forma mutata di synth-pop ammaliante e dal forte sapore canzonettaro, la Morgenstern conferma anche in questa ultima fatica le sue straordinarie capacità. Le prime due tracce sono un esempio lampante del suo potere riassuntivo, infatti se “Was Du Nicht Siehst” è un brillante esempio di godibilissimo tech-pop, “Meins Sollte Meins Sein” rispecchia certe tendenze classical molto in voga negli ultimi anni. Le innumerevoli collaborazioni all'interno della scaletta impreziosiscono e donano varietà al disco, evitando di rendere troppo frammentario l'andamento.
Singoli pop di spessore (i singulti alla berlinese di “Übermorgen” e ”No One Nowhere Cares”) si incastonano fra sofisticati esempi di ambient-pop (“Too Much” con Gudrun Gut e “Gleich Ist Gleicher Als Gleich”), strumentali dal fascino morboso (la tesa “Facades”) e un pezzo dall'andamento midtempo dai sapori jappo (“Aglow”). La coda dell'album, con il picco nel pezzo pianistico “Schie”, ricorda le tentazioni cameristiche di “BM”, convogliando l'opera verso una sorta di compendio di portata consistente. L'arte di Barbara giunge dunque a un punto fermo, da cui dovrà ripartire convogliando le sue forze su qualcosa di nuovo e magari più elettronico.
A scapito della sua vena pop più posata, la chiave per poter esplodere seriamente sarà quella di puntare su quella verve electro di cui parlavamo ad inizio recensione. È in quel caso che Barbara raggiunge il massimo del suo appeal, coniugando la sua grazia compositiva con un'innata capacità di comporre melodie indimenticabili.
(7)
recensione di Alessandro Biancalana e Roberto Rizzo
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento