mercoledì 4 ottobre 2006

Clara Hill: "All I Can Provide" (Sonar Kollektiv, 2006)


















Riuscire a far confluire in un’unica tessitura diverse scuole di pensiero, diverse produzioni, e nasconderle nei giusti ricami, è stata l’abilità maggiore di Clara Hill. La bellissima ragazza, cresciuta tra house ed acid-jazz, è riuscita negli anni a livellare una capacità interpretativa fuori dal comune. Comincia giovanissima a cantare, appena adolescente, con il mito di Madonna nella testa e tanti sogni da realizzare. Con il passare del tempo, arrivata all’età di 17 anni, mette insieme un gruppo chiamato Superjuice, con un amico di vecchia data. Da il via a una serie di concerti all’intero dei club di Berlino che contano e la fama della sua ugola si spande fra i giri importanti. Conosciuto, durante una sua esecuzione, tale DJ Alex, componente dei Jazzanova, prende corpo fra loro una forta stima reciproca dal punto di vista artistico e da qui in poi la strada di Clara sarà solo in discesa. Arriva la collaborazione con i signori dell’house, i Masters At Work, arrivano i concerti con la sua nuova band, gli Stereoton, giunge infine il suo album di esordio, il sogno di una vita, chiamato “Restless time”. Un’opera ambiziosa e sinuosa, splendidamente ingenua, da consumare nei suoi piccoli particolari.

Questo “All I Can Provide”, rispetto al precedente, si mostra molto più curato dal punto di vista dei dei dettagli, si notifica un’apertura netta verso simbiosi electro-pop di svariata natura, sempre percorsi da una forte vena jazz, intrisi da una voce che sa di soul bianco fin dalle più piccole parole. Una disarmante delicatezza al canto funge da cornice barocca alle tecniche elettroniche, mai muscolose, che ne tratteggiano i bordi; al centro un involucro di fusioni eleganti e attraenti, sempre distinguibili per la ricercatezza sonora. Le esperienze del passato vengono gestite con classe, prendiamo ad esempio “Hard To Say”: in ogni suo passaggio la Hill adopera espansioni melodiche, gemelle dei sodalizi passati con  Masters At Work; l’incontro con Slope (“Just Let Me Know”), quindi, diventa ancor più avvincente e sensuale. Stessa direzione per “Did I Do Wrong”. Qui c’è ancora più spazio per aprirsi ad un luminismo vocale ed elettrico, maggiormente articolato; il ritmo digitale, imposto da King Britt, non abbandona (quasi) mai gli accenni soul della Hill. Spesso queste formule erano la ricchezza estetico-musicale dei ricevimenti post sfilata, delle celebrazioni altolocate parigine. Le limitazioni di quei suoni oggi vengono messe da parte, si vira verso una maggiore naturalità dell’elemento (sonoro) “fashion”. In “All i can provide” la cura del beat è svincolata dalle cristallizzazioni , maturando una flessibilità pop che sposa pienamente le strutture melodiche della “Canzone” odierna. I cinque minuti di contaminazioni Sylviane di “Endlessly” sono sufficienti per elevare l’intera caratura del disco, grazie anche al nichilismo esotico inferto da Sandboy. Convulsioni acide e irrisorie si fanno largo nel pezzo d’apertuna, “What For”, una cantilena malsana e ossessionante.  D’altronde, quando a metterci le mani c’è un certo Meitz, asso del future-jazz ed eminente figura del remix trasfigurante, il risultato non può che essere eccellente. Rimarcare ulteriormente le capacità di adattamento vocale della Hill risulta a questo punto noioso e ripetitivo. Sempre e comunque di ottima qualità le sue esecuzioni.

Arrivati fin qui, tutto ciò a cui “noi” possiamo provvedere, non è nient’altro che integrare le nostre fragili movenze alle grazie sonore della seducente Clara, ringraziandola, magari, con un semplice “merci tresor”.

(7)

recensione di Alessandro Biancalana e Giuliano Delli Paoli

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