sabato 19 maggio 2007
Asobi Seksu: "Citrus" (Fire Friendly Recordings, 2006)
L’estetica shoegaze nell’ultimo decennio ha perlustrato diversi settori del panorama indie, quel riff tanto celestiale quanto angosciosamente noise è sbucato un po’ da tutti i pori, al punto da rigettare nel calderone tutti i suoi arditi progenitori, come da buona consuetudine ciclica dei circuiti alternative di mezzo mondo.
Il riassorbimento “sognante” dell’ondata nostalgica di natura shoegaze-iana ha coinvolto prima i lidi del rock fino a dislocarsi gradualmente verso altre sponde: dall’electro-clash all’odierna cotta techno, stabilendo man mano una nuova metamorfosi nella più celebre contemplazione podistica del rock; in sostanza, è cresciuta la volontà di (ri)alzare lo sguardo verso l’alto attraverso melodiche dream-pop di collaudata propulsione.
In Oriente tale predisposizione non poteva che mietere nuovi e accanitissimi seguaci, sia per l’attrazione storica verso ogni forma di digressione celestiale, sia per le simpatie mai nascoste dell’universo sonoro propriamente jappo verso il modello gaze-iano.
"Citrus" è un po’ il piccolo "Treasure" di questa nuova trasposizione tecnica.
“Pink Cloud Tracing Paper” delinea in toto l’accorpamento smanioso dei singoli strumenti nella strutturazione media delle dodici tracce, accattivandolo come il vecchio lupo del bosco: l’ugola d’argento di Yuki Chikudate è in progressiva alternanza alle avance granitiche del basso, l’attitudine è sempre quella di deturpare la sfumatura d’accompagnamento con accordi lievemente tediosi, sovrapponendola al cantato paradisiaco attraverso un equo numero di decibel (“New Years”); nulla di nuovo sotto il sole, tutto già sentito, eppure l’incanto è sempre dietro l’angolo.
Il punto di forza degli Asobi Seksu è la variazione melodica in costante aggiornamento, un manierismo garbato, orientaleggiante, che struttura ogni singolo pezzo.
Niente è lasciato al caso, le svariate esplosioni di chitarra che si susseguono nella parte centrale della quasi totalità dei pezzi non hanno metodiche autoreferenziali, ma perseguono un incastro ben preciso all’interno del puzzle.
"Citrus" è zeppo di canzoni/caramelle capaci di addolcire gli animi, basti riascoltare fino alla saturazione completa “Thursday” per dare una svolta all’apatia di turno, all’intoppo del momento, alla noia del caso. Fantasiose contrazioni ritmiche si schiantano con forza quasi sferzante, con un tocco gentile (“Strawberries”), un piglio più ragionato, ma mai domo, ricopre ogni frangente di “Strings”, ancora ricolma di rumore tagliente. La capacità di personalizzare suoni ormai canonizzati, come già accennato in precedenza, è un valore aggiunto di questa band, le canzoni scorrono dirette, sincere, la banalità rifugge e non c’è ombra di ripetizioni. Perché se la cavalcata elettrica di “Red Sea”, con un finale sicuramente apprezzato dai fanatici del noise-rock, si colloca al limite del genere (lo shoegaze, s’era capito, no?), il pop sognante à-la The Glee Club (i fratelli sfortunati dei Cocteau Twins) di “Goodbye” crea interessanti collegamenti con la gloriosa ondata di cesellatori provenienti dal paradiso che perversavano nella realtà indipendente più o meno 15 anni fa.
Uno xilofono, celestiale nel suo suono tintinnante, si defila, arricchendo quella perla che è la seguente “Lions and Tigers”, ancora capace di incastrare nelle sue interiora suoni appena metabolizzati. Destabilizzazioni solenni sanno di vuoto e pienezza contemporaneamente, con un fare toccante (“Nefi+Girly”); svanisce lasciando una traccia quasi deflagrante la penultima, onirica, “Exotic Animal Paradise”. Il gelido senso d’angoscia che opprimeva l’ascoltatore scompare, come un soffio di vento scandaglia un mucchio di foglie, e conduce alla fine: una piccola goccia di spensieratezza (“Mizu Asobi”) spezza la melodia, e accompagna al silenzio.
Quei giorni lunghi e tristi che si creano attorno a una primavera incerta, si adattano quasi senza volerlo a un pugno di confessioni così sincero, i pensieri fluttuano, si disperdono, aderiscono a filastrocche mascherate da canzoni, decadenti come una chiara notte di luna.
(7,5)
recensione di Alessandro Biancalana e Giuliano Delli Ppaoli
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volevo solo farti notare che il disco è uscito per l'etichetta americana friendly fire nel 2006 e in europa per one little indian nel 2007, di conseguenza le tue informazioni sono sbagliate.
RispondiEliminahai ragione, è vero.
RispondiEliminaun semplice errore, correggo con 2006 al posto di 2007. :-)
Magari dato che la rece l'hai scritta adesso se mettessi 2007 one little indian non sarebbe alvagio eh! ;)
RispondiEliminaadesso non voglio fare quella che tira acqua al suo mulino però.
:)
l'ho scritta ora (un mese fa) ma il disco lo conoscevo già da tempo. anche se la si fa un anno dopo, bisogna sempre mettere l'anno di uscita ufficiale, e non la pubblicazione in europa. altrimenti come potrei recensire dischi che non vengono mai pubblicati in italia?
RispondiEliminanon la penso come te dal momento che il gruppo non è più sotto contratto con friendly fire e il la loro versione non si trova in europa.
RispondiEliminatra l'altro quella di one little indian ha delle bonus tracks che quella di friendly fire non ha.
il tuo può essere un parere, che rispetto, ma per prassi si recensisce la versione originale di un disco, non quelle successive all'uscita ufficiale.
RispondiEliminami spiace, ma il disco degli asobi è, e sarà, targato 2006.
senza rancore,