mercoledì 25 aprile 2007

Hauscka: "Room To Expand" (130701, 2007)


 



















L’utilizzo del piano come strumento portante di composizioni più o meno atmosferiche è una pratica che, negli ultimi anni, ha preso molto campo. A partire da Helios, in chiave più elettronica, passando per il sorprendente Eluvium, fino all’esordiente Rafael Anton Irisarri. Hauscka, all’anagrafe Volker Bertelmann, è attivo dal 2004 e ha già pubblicato due album, “Substantial” e “The Prepared Piano”. Il suono delle sue opere è sempre circondato da un’aura serena e mai intricata, atmosfere rilassanti e commistioni strumentali votate alla semplicità melodica; al tempo stesso, però, il risultato risulta intriso da un’anima misteriosa e intrigante, mai capace di rivelare completamente la sua essenza. La strumentazione spazia da componenti auto-costruiti (martelletti per il piano, percussioni fantasiose), un vibrafono, synth, basso elettrico e drum-machine. Il suo spirito musicale è derivato dal minimalismo di Philip Glass e Michael Nyman, se non da compositori come Arvo Part, John Cage e Henry Cowell.

L’inizio (“La Dilettante”) concretizza quanto appena detto, componendo un puzzle, i cui pezzi si possono indicare in un violoncello, in alcune gocce cristalline di piano e in piccoli rumori che compongono di fatto il ritmo portante. La sapiente giustapposizione di pochi elementi può portare a realizzare qualcosa di poco meno che geniale (“Paddington”), atmosfere rallentate da un pregnante senso di pessimismo si disperdono (“One Wish”), ambientazioni da funerale al calar del sole impregnano l’animo e lo conducono dove la felicità è latente (“Chicago Morning”).
Ancor più essenzialità e strutture scheletriche con l’arrivo di “Kleine Dinge”, una piece che si basa esclusivamente sull’emozionalità di alcune note di piano, intervallate da un silenzio pregno di poesia. Alcuni fiati spaziano fra un tono più acuto e cadenze distese, sempre accompagnate da alcuni bagliori di piano (“Belgrade”), la successiva “Sweet Spring Come” addolcisce leggermente la colorazione, e restituisce un barlume di felicità, per poi definitivamente ripiombare in un abisso di solitudine e solennità in “Femmeassise”.

“Watercolour Milk” si distanzia leggermente e, nei frangenti più ricchi, ipotizza un ritmo che dona un minimo di vitalità alle sembianze mortuarie degli episodi precedenti. Un bell’esempio di musica empatica e fredda nello stesso istante, un attimo timida e desolata, l’altro vivace e sgusciante. Le traiettorie, spesso convergenti e dettagliate, di due flussi melodiosi iniziano a turbinare in maniera vorticosa, per poi rovinare miseramente, terminando in maniera confusa (“Zahnluecke”), la pace, nella sua forma più pura sa donare sollievo estatico (“Fjorde”), la conclusione (“Old Man Playing Boules”), per non essere un saluto straziante, si atteggia da donna seducente, e affascina con un incanto inusuale, quasi immateriale.

Se ricercate musica per giorni lunghi e tristi, la proposta di Hauschka soddisferà le vostre aspettative, facendovi intravedere la serenità nel bel mezzo di un mesto pomeriggio, con il sole offuscato dalle nuvole grigie.

(7)
 

recensione di Alessandro Biancalana

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