domenica 21 novembre 2010

Mock & Toof: "Tuning Echoes" (Tiny Sticks Records, 2010)



Duncan Stump (Mock) e Nick Woolfson (Toof) sono due producer inglesi nel pieno della propria creatività elettronica. Già transitati per la Dfa di James Murphy mediante una serie di remix più o meno occasionali, questi due abili manipolatori del groove hanno ben pensato di esordire per un’etichetta propria, sguazzando liberi da qualsiasi potenziale classificazione o influenza esterna. Il loro parto, “Tuning Echoes”, è eversivo, solare, generoso, capace di meritare un posto in prima fila tra le uscite electro-pop più significative dell’anno.

I riferimenti, talmente chiari, quanto insignificanti ai nostri timpani, mostrano fin da subito una smodata passione per sua maestà Byrne e tutto il synth-pop inglese dei primi Ottanta dal ricamo tropicale facile, a partire dal Matt Johnson più etnico. “Tunig Echoes” è un disco in cui ogni singola traccia ha una sua seducente mutazione, ora giocattolo (“Mr Frown”) - alla stregua di un Super Mario che punta dritto al record di turno - ora purissima fluorescenza balearica punk-funk propria dei Talking Heads più assennati. Ma non solo. Nelle testoline mature di questi signori predomina un’aura magica irta di ricami e battiti organizzati con estro, a cui seguono improbabili pulsazioni plasticose inscenanti improvvisi thriller cibernetici (“Lovehearts”). Tuttavia, si evince un utilizzo analogico dei vari arnesi da intrattenimento sublimati in un iceberg di tastieroni circolari ad alta temperatura (“P2160”), quasi un omaggio all’eleganza e alla classe intrinseca del modello di riferimento.

La perfezione delle melodie pop a volte è sinceramente abbagliante (la malia di “Farewell To Wendo”, gli intricati controtempi di “Move Along” ), fra richiami disco e tropicalisti (le sciabolate scheletriche in “Shoeshine Boogie”, il beat di chitarra anni 70 di “The Key”) ed episodi più classici ma non per questo meno efficaci (la dolcissima “From Kashima”, synth-pop arioso per “Underwater”, rifrazioni robot-pop in “Norman's Eyes”). In questo ricco calderone scoppiettante trovano posto anche due strumentali dal fascino irresistibile (la lenta e serafica “Take Me Home” si contrappone ai frizzanti ritmi di “Day Ken Died”), a testimonianza di quanta energia e sforzo compositivo siano stati profusi per rendere il meno possibile ovvio e risaputo lo scorrere del disco.

Fresco, senza momenti morti, vivido, “Tuning Echoes” non perde mai un'occasione per piazzare la scelta giusta. Siamo di fronte a un'opera eterogenea, capace di esprimere l'animo dei propri autori, il quale si rivela in tutto il suo splendore fin dall'iniziale “Farewell To Wendo”, singolo il cui posto sarebbe in cima a tutte le classifiche. Non stiamo parlando di un capolavoro per una questione di millesimi.

(7,5)

recensione di Alessandro Biancalana e Giuliano Delli Paoli

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