domenica 28 novembre 2010

Shed: "The Traveller" (Ostgut Ton, 2010)



Ci eravamo lasciati con Shed in un 2008 dominato dall'evento dubstep, stanchi e spossati da un trend che andava già autodistruggendosi, a causa del progressivo smarrimento di un obiettivo (forse) mai più ritrovato.

Renè Pawlowitz, in arte Shed, non si limita a cavalcare la scia ma la stravolge, mescolando gli elementi, spazzando via qualunquismi e luoghi comuni del genere, capace com'è di gestire una miriade di influenze senza risultare presuntuoso. Mentre in altri ambiti si provano continui numeri a effetto per ravvivare un interesse scemato, qui la soluzione di continuità con il passato è spontanea e necessaria. “The Traveller” è la naturale evoluzione dell'esordio, poiché le due opere vivono di un'osmosi reciproca che giova a entrambe grazie a un perfetto completamento delle rispettive peculiarità.

Il suono magmatico e opulento della musica di Shed è toccato dalla grazia di una passione che esula dai confini della normale amministrazione. Un suono techno così variegato, atavico, perfino viscerale, è generato per forza di cose da una mente profondamente calata nelle atmosfere che riesce a creare. Tanti sono gli elementi che contribuiscono ad avvicinare Shed a maestri come Carl Craig o Drexciya: il colore di suoni sempre più frizzanti e mai statici, la varietà dei ritmi, il campionario di melodie. Che a prevalere sia il lato più disteso e avviluppato o quello sfrenato e primordiale, la sensazione è quella di ascoltare qualcosa di realmente speciale.

Fra danze urbane nelle quali il battito perde la via del controllo (la morbosa “Keep Time”, i fraseggi da club di “My R-Class”, la struttura ritmica geniale di “Atmo - Action”), si inseriscono gemme a metà fra techno e ambient (la nebbia che avvolge “The Bot”, la leggiadria dei synth di “44a (Hard Wax Forever)”, la brumosa title track). L'intuizione cruciale per comprendere appieno un'opera come questa non consiste nel decifrare quale tendenza sia più accentuata, bensì nella capacità di cogliere particolari spesso decisivi. L'accoppiata “Mayday”-”No Way!” ne è un esempio: i due pezzi sono saturi di interstizi minuscoli, ricolmi di suoni impercettibili, battiti e timbri minuziosamente tagliuzzati e giustapposti con una precisione da vero perfezionista. Questa caratteristica, tratto distintivo di tutto “The Traveller”, richiede un ascolto attento e meticoloso. Trovato lo spazio per un'inconsueta saturazione dei synth (le accecanti fluorescenze di “Hdrtm”, le scale melodiche fascinose nella conclusiva “Leave Things”), l'album pone l'ultimo tassello con “Hello Bleep!”, un miracoloso alternarsi fra tastieroni ingombranti e un bagaglio ritmico impossibile da districare.

Confermando il parere ampiamente formulato per “Shedding The Past”, il microcosmo sonoro che Shed sta creando negli anni assomiglia a un progetto a lungo termine, che potrà condurre verso nuove, inimmaginabili sorprese. Vista la sostanziale perfezione di "The Traveller", i margini per un ulteriore miglioramento sembrano addirittura angusti, tuttavia continuando a scavare più a fondo nell'anima geniale di questo ragazzo si è certi di poter scoprire sempre qualcosa di davvero emozionante.

(8)

recensione di Alessandro Biancalana

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