martedì 31 gennaio 2012

Moral: "And Life Is..." (Arp Grammofon, 1984)



Riconsegnare la debita lucentezza a oggetti sperduti nella memoria è il sogno di ogni cercatore. Che il cercatore abbia le sembianze di un coraggioso archeologo o quelle di un ardito studioso di lingue estinte, l'obiettivo è sempre quello di riesumare qualcosa di dimenticato o parzialmente nascosto. Nel nostro caso, siamo di fronte a un misconosciuta essenza rimasta nelle tenebre per quasi trent'anni. Una band, delle canzoni, tre persone, il cui unico difetto è stato quello di non venire mai definitivamente al mondo.

La storia dei Moral viene dal lontano 1981. Hanne Winterberg, Marco Andreis e Ingolf Brown provengono da Århus, Danimarca. Le due cassette con cui la band esordirà saranno l'incipit perfetto per mettere insieme un disco che rimarrà, già prima di essere pubblicato, nel limbo delle opere di culto. "Dance Of The Dolls" e "Whispering Sons" sono prove tecniche che dimostrano quanto i tre nordici fossero in fermento espressivo e artistico. Nella prima, alternando dubbie estrosità lontane dal loro stile (la confusione di "Involuntary Position") ed esperimenti graziosi (scintille di synth in "A Break In The Frost", l'umile siparietto anglo-spagnolo "Encyst Yourself"), il fulcro è la title track, oltre all'elegia sognante di "I My Enemy". In una versione bucolica rispetto alla rimasterizzazione su cd, la traccia è un incanto la cui sorte sarà quantomeno ingenerosa. Sulla struttura di un carillon fatto di stelle e policromie abbaglianti, il canto di Hanne Winterberg danza con una grazia che sa di miracolo. Semplici vocalizzi, qualche frase sussurrata e sei minuti scarsi che potrebbero essere dieci, cento o mille.

"Whispering Sons", appena un anno dopo, porta a nove le tracce e alza l'asticella, avvicinando sempre di più la band all'album. Tralasciando un paio di piccoli episodi di dubbia provenienza (il caos inspiegabile di "Soundscape", il borbottio in "Consumerism"), le tracce dondolano fra ballate crepuscolari e glaciali (gli arpeggi cosmici di "Frosty Nights", il ritmo serrato in "The Average Life") e capolavori che non avrebbero sfigurato nel catalogo dell'allora gloriosa 4AD.
I contrappunti di chitarra incalzati dalla drum-machine della title track, oppure l'ariosità del synth di "A Frame Of Mind", oltre al misticismo ipnotico di "Arabian Nights", sono un qualcosa di intenso e misterioso, gemme di uno scrigno mai completamente dissotterrato.

Passano due anni ('84) e arriva il momento dell'esordio su Arp Grammofon. Ammantato da un'aura di magica malinconia nordica, "And Life Is..." fonde con miracolosa efficacia synth-pop, elegie dream e oscuro pathos debitore in primis ai coetanei - ma ben più fortunati - Siouxsie & The Banshees.
L'incanto fiabesco della band dona a tutte le tracce una potenza espressiva notevole, raggiungendo vette a cui pochissimi appassionati avrebbero fatto a meno se l'album avesse raggiunto una pleatea internazionale. Tuttavia vari fattori, fra cui la ristrettezza dei canali di distribuzione di quegli anni, hanno limitato la diffusione di una musica la cui assoluta validità è stata riscoperta da alcuni sparuti critici, a cui va riconosciuto il merito di aver riacceso un fuoco morente.
Di lì a poco la band, nonostante i concerti di spalla con nomi come Nico e Monochrome Set, dopo un'attività di soli quattro anni, si dissolve nel 1985.

Una perdita notevole, se rapportata al papabile "successo" a cui il trio avrebbe potuto tranquillamente aspirare negli anni seguenti. In tal senso, la sola "Airscape" anticipa gli Stereolab più cupi, elettrici e spigolosi. Così come l'incedere giullare e fantasmagorico di "Still Remaining" abbraccia psichedelia manzarekiana e obliquità sintetica della prima ora. Mentre il Brian Eno di "Another Green World" è opportunamente modellato nell'inquietudine atonale di "On Serial Rendau", omaggio incondizionato al groove malato di "In Dark Trees".
In controluce, i delicati arpeggi palesati nella dolcissima "Trees In November" conferiscono ritrovata grazia, elevando a pieno titolo la canzone come potenziale singolo del lotto. Da non dimenticare i sospiri sferzanti intrisi di malessere in "Lady Happiness", adornata da accordi di chitarra alla Wire prima maniera, con un synth che ricama melodie avvolgenti e sinuose.
Ad arricchire un bagaglio sonoro già di per sé estremamente denso di sfuggenti ripartizioni "pop", sono il tambureggiare in penombra di "Juice" e l'ascesa elettrica di "The Wedding", con la Winterberg morbidamente racchiusa nell'angolo, tra imprecazioni interiori e implosioni emotive da inafferrabile chanteuse.
Nel 2007 la Karma Music rilascia una ristampa dal titolo "And Life Is... More", aggiungendo alle nove tracce originarie altre sette estratte dalle due cassette già citate.

Abile nell'alternare luci e ombre, melodie e disarmonie, stabilità e imprevedibilità, il trio Moral sfugge da qualsiasi possibile demarcazione, brillando di luce propria nella sterminata galassia delle comete più splendenti che la musica "pop" possa aver mai gelosamente custodito negli ultimi trent'anni.

(8)

recensione di Alessandro Biancalana e Giuliano Delli Paoli

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