domenica 6 gennaio 2013

Crystal Castles: "(III)" (Fiction Records, 2012)















Autori negli anni di un versione peculiare della stagione electro-clash, Alice Glass e Ethan Kath tornano con il loro disco numero tre, tre (questa volta fra parentesi) come il titolo dell’album: "(III)". Nonostante la formula dei Crystal Castles non sia mai stata rivoluzionaria, il carisma della cantante, unita al sapiente lavoro di regia del sodale maschio, ha contribuito a creare un alone di mitizzazione intorno alla coppia. Concerti colmi di fan nero vestiti, miriadi di gadget come le pop-star, attesa spasmodica per le nuove prove, tutto questo ed altro rende la pubblicazione di "(III)" un qualcosa di relativamente significativo.

Non ci discostiamo un granché dal passato, infatti siamo sempre di fronte a una forma stracciata, svestita e stuprata di electro-pop. Ritmi e melodie opprimenti, cantato squarciato in gola, ariosità ridotta allo zero, giochini elettronici e tanto disagio generazionale. La solita minestra per le solite orecchie verrebbe da dire. I due di Toronto però non sono degli stupidi, riescono a creare l’evento unendo misticismo di facciata e una musica che colpisce tale è forte il sentimento di disturbo umano del quale è intrisa. Non molte le canzoni forti a cui fare appiglio per un lancio su scala internazionale (forse la sola "Pale Flesh"), tuttavia la sensazione è che "(III)" vada preso nel suo complesso, considerando i quaranta minuti di musica come un unico canto di un cigno bianco malato, ferito e morente.

E' un insieme conturbante, in cui si evince un netto nichilismo melodico, con la Glass a sguazzare perennemente nell'ombra, tra alzate di tono e improvvise cadute nell’oblio. La sezione ritmica imposta da Ethan Kath abbraccia il synth pop deviato dei primi Ottanta con le tastiere a ricamare giretti ombrosi e mai domi. Pare di assistere a un'improbabile fusione tra il Wes Eisold di "Cremations" ("Insulin", "Telepath")  e un disco rotto fatto girare perlopiù al contrario. Allo stesso tempo, subentrano qua e là altri paralleli (im)possibili, come suggerito dal campionamento di "Wrath Of Gold", rubato magari agli Underworld, o l’intro sbilenca e fatata di "Transgender", con la fascinosa Alice ben ferma sullo sfondo prima che Ethan (ri)giri a modo le proprie manopole.

A differenza dei due predecessori, "(III)" è un disco genericamente pulsante. Lo conferma il groove emo e vibrante di "Violent Youth", così come i vari stop&go mutanti di "Mercenary" con tanto di tastierone lunare in coda a ipotizzare fantasmi e qualche demone disperso.
Trascorsi i sette anni di attività, i Crystal Castles mantengono ancora intatto il cristallo che costituisce il loro bel castello sonoro, ergendosi di fatto a paladini del nuovo electro-clash, tra agghiaccianti spruzzate sintetiche e una sempre più nutrita schiera di giovanissimi adulatori.

(7)

recensione di Alessandro Biancalana e Giuliano Delli Paoli

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