domenica 1 dicembre 2013

Psapp: "What Makes Us Glow" (The State51 Conspiracy, 2013)

Autori di uno stile unico e riconoscibile, gli Psapp hanno marchiato a fuoco lo scenario musicale indipendente degli ultimi dieci anni. Dal 2008, anno in cui fu rilasciato l'ultimo lavoro “The Camel's Back”, si è sentita la mancanza di quella visione del pop fuori dai canoni, estroversa, fiabesca, una prospettiva di cui si sente il bisogno per evadere dai luoghi comuni della musica. Lungo una carriera composta da tre album e una celebrità inaspettata (la sigla di Grey's Anatomy con “Cosy In The Rocket”), la band europea (tedesco Carim Clasmann, inglese Galia Durant) non ha mai accellerato i tempi, moderando i ritmi di pubblicazione e la quantità di musica prodotta. Tuttavia, cinque anni per una band contemporanea sono davvero tanti. Cosa sarà successo al magico toy-pop degli Psapp?

“What Makes Us Glow” ha l'arduo compito di fare da collante con il passato dopo un lungo periodo di assenza dalle scene, risultare attuale senza snaturare una formula vincente e possibilmente non essere ripetitivo. La buona notizia è che ci riesce egregiamente, la brutta è che dura troppo poco. La voce di Galia, le deliziose cromature, i ritmi mai domi, le stranezze della toy-orchestra, tutto è rimasto come prima senza risultare calligrafico o azzardato. Straordinaria coerenza, senso della misura e capacità tecniche smisurate sono solo alcune delle qualità che permettono a questo collettivo di mantenere una peculiarità che, sì, possiamo dirlo senza dubbi, rimane saldamente intatta.

Trovare tratti distintivi a una giostrina sfavillante di tale finezza è una pratica masochistica al pari di dover distinguere i colori di un arcobaleno estivo. La forza degli Psapp non è l'assolo di chitarra o un sintetizzatore in solo, come gli acuti vocali. La vera carta vincente la troviamo in suono complessivo sfaccettato, dove molti elementi, ognuno in egual misura ed egualmente necessari, compongono pezzo per pezzo un unicum efficace e distinguibile. Dunque non una musica di singoli o di personalità emergenti, tuttavia il prodotto di una banda, di un gruppo, di una molteplicità.

Dunque quando il carillon di “Wet Salt” prende il via, fra xilofoni, chitarre, strumenti giocattolo e percussioni, inizia come un viaggio fra cantilene mistiche (“The Cruel, The Kind, The Band”, l'eleganza magniloquente di “That's The Spirit”), la gioiosità psichedelica degli episodi più sballati (le varie “Seven”, “In The Black”, “Your Hot Knife”) e le solite tendenze world-pop (sonorità e profumi arabeggianti in “Everything Belongs To The Sun” e “In And Out”). Dove la lentezza prende il sopravvento si scoprono lati più riflessivi (i deliziosi ritmi cadenzati di “Bone Marrow”, botta-risposta fra violino e tromba per “The Well And The Wall”), smorzando temporaneamente una rincorsa forsennata e irresistibile. Come manifesto del disco possiamo prendere la title-track, sunto esaustivo di dodici tracce perennemente in bilico fra fantastico e fantasioso, mai stucchevoli, pronte a rimanere con i piedi per terra senza superare i limiti del buon gusto.

Per chi gli aspettava, per chi non li conosce o anche per chi li ha sempre odiati o ignorati, non c'è altro da dire se non: “Bentornati Psapp!”.

(7,5)

recensione di Alessandro Biancalana

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