Con alle spalle un clamore adolescenziale di un certo rilievo e forte di
un talento assai consolidato, il britannico nativo di Norfolk Nathan Fake giunse al terzo album “Steam Days” nel 2012 - dopo due successi di pubblico e critica come “Drowning In A Sea Of Love” e “Hard Islands”
- con tutte le carte in regola per diventare uno degli artisti di
settore più quotati. Come già accaduto diverse volte nella storia della
musica, è proprio quando si è pronti a spiccare il volo che le cose si
rompono, svaniscono, sfumano.
Come dichiarato in alcune
interviste rilasciate durante la presentazione del nuovo “Providence”,
la ragione di questo silenzio durato ben cinque anni è stata un drastico
calo di ispirazione. I suoni non volevano uscire fuori, le cose non
giravano e dunque il ragazzo decise di trasferirsi da Londra a Norwich
per trovare nuovi stimoli. Complice l'acquisto istintivo del synth
Korg Prophecy, un oggetto vintage di metà anni 90, il ragazzo inizia
nuovamente a comporre e si accasa alla Ninja Tune dopo anni di militanza
nella Border Community del fido compagno James Holden.
Il
risultato di questo sforzo in un periodo di buio totale è un'opera in
perfetta linea con la carriera fin qui tratteggiata dall'autore di
“Outhouse”. Un perfetto connubio fra musica ambient, techno, electro ed IDM con frequenti ondeggiamenti verso il noise, la dance e la musica sperimentale. Come dimostrato in un live
di qualche mese fa in quel di Bologna, il ragazzo ha dentro di sé la
voglia di proporre una musica mai troppo estrema né da un lato né
dall'altro, equilibrando perfettamente ogni elemento della sua arte.
“Provicence”
infatti vive fasi alterne, con un inizio sparato a mille con velocità
urbane e molto poco meditative dove la magnifica title-track e gli otto minuti di follie sonore – composta in collaborazione con Prurient
- di “DEGREELESSNESS” trovano la massima espressione, sfumando poi
verso un ambient trasfigurata e malata con pezzi come “CONNECTIVITY” -
colma di synth impazziti – e l'autentica gemma “RVK”, una sorta
di tritacarne sonoro in cui sentiamo la voce di Raphaelle
Standell-Preston, frontman di Braids e Blue Hawaii.
Nella foga di voler sperimentare ed usare il nuovo strumento, Fake
pecca di qualche ingenuità autoreferenziale, mostrando il fianco ad
episodi interlocutori (“REMAIN” e “feelings 2”), non pregiudicando
l'efficacia dell'album che naviga su livelli di assoluta eccellenza (le
flessioni plastiche di “The Equator & I”, la rilucente
“HoursDaysMonthsSeasons”).
Per chi aspettava qualche nuovo
segnale dall'enfant prodige di Norfolk o anche solo chi ha bisogno di
nuova linfa nell'ambito della musica elettronica, avrà (ri)trovato in
Fake un bacino a cui attingere con grande soddisfazione. Lo smisurato
talento di questo trentaquattrenne non può e non deve naufragare in un
nulla di fatto, la musica ha bisogno di lui.
(7)
recensione di Alessandro Biancalana
Nessun commento:
Posta un commento