giovedì 1 novembre 2018

Isan - Intervista




A corollario della monografia in cui ripecorriamo tutta la carriera del duo elettronico inglese, abbiamo raggiunto Antony Ryan e Robin Saville per una chiacchierata in cui parliamo di collaborazioni a distanza, musica elettronica e alcune curiosità.Salve ragazzi, era da molto tempo che pensavo di scrivere della vostra carriera e sono davvero contento di averlo fatto finalmente. Come state? Siete soddisfatti di come sta andando "Glass Bird Movement"?R: Bene grazie, la vita mi sta trattando bene. Devo dire di sì, siamo piuttosto contenti di "Glass Bird Movement". Quando cominciammo come Isan, per essere contenti ci bastava solo riuscire a pubblicare qualcosa. Non dico che avessimo aspettative troppo basse, ma ogni volta che usciva un nuovo disco ci sentivamo privilegiati al pensiero che là fuori ci fossero persone interessate in ciò che facciamo. Siamo gente modesta.
A: Saluti dalla Danimarca! Tutto bene, grazie, mi godo un’estate incredibile… per una volta non bisogna andare a sud per trovare un po’ di sole, specialmente se come me abiti vicino al mare. Come Robin, sono anche io molto contento per come è venuto GBM e per l’ottima accoglienza che ha ricevuto… scoprire che alla gente ancora piace quello facciamo dopo poco più di 20 anni è davvero speciale.

Quest’anno è infatti il ventennale dall’inizio della vostra carriera ("Beautronics" uscì nel 1998). Raccontateci dei vostri inizi e come è nato il vostro progetto.A: A dire il vero per primo pubblicammo il pezzo "Eusa’s Head" sull’Ep "Splintered Roots" uscito su Fragments (un’etichetta parallela di Howie B.), a cui seguirono poi una manciata di altri singoli, ma sì, "Beautronics" fu il nostro primo album completo. Oggi dopo vent’anni stiamo lavorando con degli studenti dell’università di Hong Kong (insieme al nostro amico Max Hattler) per realizzare dei video dai pezzi di quell'album, è stato davvero bello vedere queste canzoni ricevere nuova vita, come per esempio l'animazione per "Iam Twisq".
Ad ogni modo, tornando ai nostri inizi… Avviamo ISAN perché sia io che Robin lavoravamo insieme su un progetto techno chiamato Rephlex, che venne accolto piuttosto male. Poi però Robin si trasferì in un’altra zona del paese. ISAN nacque davvero come mezzo per collaborare a distanza, per continuare comunque a lavorare insieme, scambiandoci cassette via posta! Mandammo in giro un paio di raccolte di demo, e fummo davvero fortunati a venire contattati e scelti da Fragments. Da allora siamo semplicemente cresciuti. Abbiamo lavorato più o meno allo stesso modo sin da allora (naturalmente aggiornandoci allo scambio di file su internet e condividendo i progetti DAW), ma ancora oggi in pratica ci troviamo a suonare insieme nella stessa stanza soltanto quando ci esibiamo live.

Credo non sia facile riuscire a trovare la giusta intesa per comporre vivendo in città diverse. Mi sono sempre domandato come sia possibile riuscirci. Fate parte di qualche scena musicale nelle città in cui vivete attualmente? Oltre alla vostra carriera nella band, svolgete altri lavori sempre in ambito musicale?R: Non ci siamo mai davvero soffermati a pensare se il nostro metodo di lavoro fosse giusto o sbagliato, si trattava in sostanza dell’unico modo possibile per noi all’epoca. A dire il vero, pensandoci adesso, credo che siamo stati in grado di mettere insieme il meglio di entrambi i mondi. Posso mettermi a lavorare come e quanto voglio su qualche traccia senza dovermi preoccupare che Antony ascolti quello che faccio, quindi è un po’ come avere i vantaggi di lavorare da solo e poi di condividere e ricevere nuovi input e suggerimenti dal tuo partner creativo. Non ho altri lavori nella musica e, in effetti, non sono in contatto con nessun altro musicista locale. Trovo che il tempo passato lontano dallo studio sia ugualmente utile a nutrire il processo creativo.
A: Credo che la distanza in realtà sia di grande aiuto alla collaborazione. Ognuno di noi ha il tempo di ascoltare, assorbire, capire davvero cosa sta facendo l’altro. Non c’è bisogno di mettersi a discutere sul momento, o di dare giudizi immediati che potrebbero andare a ostruire il flusso creativo se lavorassimo nello stesso momento in studio insieme. La distanza rende anche più semplice prendere “bene” le critiche se qualcosa non funziona, e per quanto possa ricordarmi, non c’è mai stato tra di noi nessun vero disaccordo. Durante gli anni abbiamo sviluppato una sorta di istinto per ciò che l’altro stava creando (anche se non sempre capisco “come” Robin lavora, il che è gran parte del divertimento di lavorare con lui), al punto che possiamo ritrovarci insieme dopo molti mesi per suonare dal vivo su un palco qualche nuovo pezzo che non avevamo nemmeno mai provato insieme prima. Il mio altro lavoro nell’industria musicale è come ingegnere audio freelance, mi occupo di masterizzazione (RedRedPaw Mastering). Mi piace considerarlo a sua volta un lavoro creativo perché spesso devo trovare soluzioni “musicali” al progetto su cui sto lavorando, adoro cercare di immettere un po’ di nuove idee nelle tracce che ho sotto mano. Naturalmente il lavoro consiste in un sacco di roba più tecnica e meno creativa, ma trovo molto interessante la tecnologia che c’è dietro. È un lavoro che mi piace molto e mi dà molta soddisfazione quando l’artista riceve indietro i master e apprezza il risultato. L’unico piccolo svantaggio è che a volte devo ascoltare ogni settimana davvero troppa musica… Ho lavorato su più di 500 progetti, vale a dire migliaia e migliaia di tracce, e per quanto lavoro di solito su musica che mi piace, credo che alla lunga la cosa possa avere un impatto sul processo creativo.

Ho letto spesso risposte simili alla vostra in altre interviste, era una mia curiosità e devo dire che ne è venuta fuori da parte vostra un'analisi molto interessante. Tornando alla vostra musica, trovo si tratti di una fusione perfetta di vari stili, soprattutto ambient, Idm e electro, tra gli altri. Come avete fatto a raggiungere da subito dei risultati così efficaci? Ascoltando "Clockwork Menagerie", una collezione che include molti dei vostri lavori degli inizi, la cosa fa davvero impressione.R: Molto gentile da parte tua. Suppongo ci siano state diverse influenze che si sono mescolate tutte allo stesso tempo, più la nostra propensione a fare musica con strumenti elettronici ma con uno spirito “indie”. Tutto è diventato più chiaro nel corso degli anni comunque, nel senso che abbiamo definito un suono tutto nostro ed è per noi praticamente inevitabile partire da certe influenze.
A: A dire il vero a me un po’ sorprende realizzare che ancora riusciamo ad “avere il nostro suono”! Robin e io condividiamo una sensibilità particolare che sicuramente era lì sin dall’inizio, ma in qualche modo non ne abbiamo mai parlato apertamente. A volte sappiamo come descriverla a parole, ad esempio quando andiamo a rileggere i nostri appunti per preparare nuovi pezzi live, altre no; in ogni caso, so quasi sempre a cosa darà vita Robin e non devo più stare a preoccuparmi del suo lavoro. Si tratta dunque di fidarci dei nostri istinti e delle nostre sensibilità senza parlarne troppo.

Ci sono degli artisti o dei dischi in particolare che vi hanno ispirato? Avete altre fonti di ispirazione, a parte la musica? Di solito cosa ascoltate?R: Le influenze sono sempre un argomento interessante, è possibile che ascoltando certa musica mi capiti di notare delle idee interessanti e di pensare che sarebbe bello cercare di ricrearle, sicuro del fatto che ogni mio tentativo risulterà in qualcosa di diverso dall’originale, a causa di differenze in gusti, strumentazione, abilità tecnica e così via… Altre volte invece può essere unicamente il mood generale di un brano a farmi venir voglia di creare qualcosa. Ascolto molta musica di stampo ambientale e diciamo anche astratto, ma continuo anche ad ascoltare la radio, mi piace la musica indiana (quella classica, molto libera e estesa) e ancora più spesso mi impongo di non ascoltare nulla. Sono un gran fan della musica di Emily Sprague e di Kaitlyn Aurelia Smith al momento, stanno creando cose davvero magiche.
A: Per me una pietra miliare intoccabile è “The Pearl” di Harold Budd e Brian Eno, è uno dei pochissimi album che non mi stanco mai di riascoltare. Le mie costanti ispirazioni, quelle che mi girano più per la testa quando creo nuova musica si trovano a metà tra quel tipo di ambient e le band shoegaze anni 90, specialmente My Bloody Valentine e Slowdive. Mi interessa da tempo anche il concetto della musica generativa (si torna sempre a Brian Eno), l’idea di usare software generativi può portare in direzioni e ispirazioni sempre nuove, una cosa che adoro. Il mio lavoro come ingegnere del suono mi porta ad ascoltare musica praticamente tutto il giorno, dandomi la possibilità di trarre nuove ispirazioni da ciò che sento soprattutto perché ho a che fare con generi davvero molto diversi. A parte questo, comunque, di solito non scelgo personalmente cosa ascoltare, preferisco farmi consigliare da altri, inclusi i miei dj preferiti in radio.

Ora che ci penso, mi spiegate che storia c’è dietro l’acronimo ISAN?A: Hahahaha... beh, la ragione per cui abbiamo scelto di allontarci da tutte le lettere maiuscole di “I.S.A.N.” era che così facendo non avremmo più dovuto spiegarlo! Ad ogni modo, quando iniziammo a fare musica insieme scambiandoci nastri per posta, pensammo fosse un giochino divertente modificare la sigla “I.S.D.N.” (Integrated Services Digital Network), che all’epoca era la tecnologia più avanzata per la connessione dati. Siamo all’inizio degli anni 90… pensammo che sostituire la “D” di “Digital” con la “A” di “Analogue” rappresentasse bene la musica che stavamo creando, e perciò decidemmo che era un buon nome per il nostro progetto. Oggi comunque ci va bene anche essere solo “Isan”.

Mi aspettavo che avresti risposto così! Ma di sicuro molti dei nostri lettori non conosceranno il significato del vostro monicker, malgrado siate sulle scene già da tanto tempo. Poi la spiegazione è anche un perfetto corollario per cercare di capire meglio la vostra musica. Mi sbaglio?A: Sì, devo dire che è sempre carino fornire qualche background, tornando anche a quanto è fondamentale per noi lavorare separatamente, cosa in effetti rappresentata anche nel nostro nome in modo significativo. L’idea di allontanarci dall’acronimo deriva anche parzialmente dal fatto che c’era gente che iniziava a pronunciarlo “eye-san” o “issan” e non “I S A N”, e abbiamo pensato fosse meglio rendere le cose più semplici.

Uno degli aspetti che mi ha sempre attratto maggiormente della vostra opera è la parte grafica. Secondo me, le copertine di "Lucky Cat" o di "Clockwork Menagerie" sono parte integrante della vostra arte. Ho fatto qualche ricerca e ho scoperto che i vostri artwork li ha creati sempre Jan Kruse. Avete avuto anche voi parte nella loro realizzazione o avete sempre delegato l’artista o l’etichetta?R: Nei primi tempi le nostre copertine le realizzava di solito il nostro amico Carl Harris. Lui e Antony sono amici di infanzia e con lui condividiamo un senso estetico molto simile, così volemmo che l’artwork avesse quel senso di “fatto a mano” e non troppo definito che aveva anche la nostra musica. Credo che la parte visiva completasse a meraviglia quella musicale. Quando poi iniziammo a pubblicare per Morr Music fummo messi in contatto con Jan Kruse, che si occupa del design generale della label. Per Thomas Morr era molto importante dare continuità di stile in ogni pubblicazione della sua etichetta. Discutiamo sempre l’artwork insieme a Jan, e più di recente con Julia Guther, e in genere siamo coinvolti nel processo dall’inizio alla fine. Siamo davvero fortunati a poter lavorare con artisti così talentuosi e professionali.

Sì, penso si sia mantenuto sempre il giusto collegamento con il vostro lavoro, anche con i diversi artisti.  Parlando della collaborazione con Thomas Morr, insieme a vari altri artisti (Lali Puna, Styrofoam, Bernard Fleischmann), vi ho sempre visti come il vero simbolo del suono Morr Music. Vi siete mai sentiti parte di una scena? Come è iniziata la vostra collaborazione con la storica label berlinese?R: Devo dire di non essermi mai sentito parte di una scena. Fu davvero bello ricevere la prima email di Thomas Morr e iniziare a lavorare con lui. A colpirci fu anche il fatto che viveva con Markus Acher. Da lì in poi il resto è storia, direi. Abbiamo incontrato diversi altri musicisti che operano in un’area simile alla nostra, ma non ho mai collaborato con nessun altro e cerco sempre di distinguere il nostro suono da quello dei nostri (eccellenti) compagni di etichetta.
A: In un certo senso più che una scena, si tratta di una famiglia allargata. Suoniamo spesso negli stessi show, e ci divertiamo molto. Andare ai festival e incontrare gli altri gruppi Morr è un po’ come incontrare ogni tanto i tuoi cugini a un matrimonio.

Sapevate che il regista italiano Paolo Sorrentino (e il suo collaboratore musicale Pasquale Catalano) ha usato spesso vostre canzoni nei suoi film? Li avete visti? Vi sono piaciuti? Credo che il suo stile così sopra le righe crei un equilibrio perfetto con molte vostre composizioni.R: Sì, e anche in questo caso è un gran privilegio poter conoscere un artista così talentuoso. Il suo primo lavoro di cui venimmo a conoscenza fu “Le conseguenze dell'amore” in cui compariva la nostra “Remegio”, e da allora è uno dei miei film preferiti, quindi sono davvero molto onorato! Ho seguito con interesse la sua carriera da allora, fino a trovarci nuovamente inclusi nella colonna sonora di “The Young Pope”. Sarebbe bello incontrarlo di persona e ringraziarlo per aver incluso il nostro lavoro nei suoi capolavori.

Non dimentichiamo anche “Cathart” nel suo esordio “L’amico di famiglia”! Per finire, diteci, quali sono i vostri piani per il futuro? State lavorando a del nuovo materiale? Oppure tornerete a lavorare ciascuno per conto proprio per un po’? Avete nei piani un vero tour o comunque dei nuovi concerti?A: Sì, stiamo lavorando a un nuovo album, ma non abbiamo ancora ben definito il cammino. Abbiamo completato un po’ di tracce e stiamo lavorando ad altre ancora, e continueremo a farlo finché sentiremo di avere una sorta di massa critica di tracce che co-abitano nello stesso spazio sonoro, quello che ancora chiamiamo “album”. Mi sembra che il futuro della distribuzione musicale, e dell’ascolto, si basi sempre più su artisti che pubblicano col contagocce e fan che si creano le loro playlist. Il che è un bene, intendiamoci, anche io di sicuro ascolto musica allo stesso modo. Sicuramente se avessimo voluto farlo, avremmo già fornito con quel contagocce almeno una dozzina di nuove tracce! Ma almeno per il momento preferiamo attenerci al vecchio stile e tirar su un album completo dai frammenti che stiamo creando, lasciando da parte le tracce che avanzeranno magari per qualche occasione speciale.
R: Sono d’accordo, a volte è facile concentrarsi di più sul pubblicare qualsiasi cosa hai sotto mano in un dato momento, piuttosto che cesellarla fino a sentire che hai prodotto la migliore musica possibile. Mi sembra più importante fare questo, e non stare a preoccuparmi di quando pubblicare la musica. A volte una traccia richiede mesi di lavoro perché vada d’accordo con gli altri brani, e ci sembra anche di star lavorando sempre più lentamente man mano che passano gli anni. Ma alla fine, credo sia importante produrre la musica che hai in mente e che vuoi ascoltare, e per me questo ancora significa creare un album completo, ed è quello che faremo.

Traduzione curata da Mauro Roma

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