martedì 20 novembre 2007

Antelope: "Reflector" (Dischord, 2007)



La fine anticipata e disattesa dei Super System aveva lasciato presagire conseguenze a dir poco spiacevoli per gli ex-componenti di una delle formazioni più innovative degli ultimi 4-5 anni, gli El Guapo. Poi, però, l’istrionico tastierista Pete Cafarella si è impegnato, finalmente, con completa dedizione al suo progetto Shy Child, insieme a Nate Smith, per proporre un album fulminante come “Noise Won’t Stop”, un frullato di ballabilità indipendente a dir poco catastrofica.

Il lato più pazzoide del gruppo d’origine (chi ha visto i live saprà il perché) Justin Moyer l'aveva già ribadito con l’interpretazione di una parte scomoda, nello strambo progetto Edie Sedgwick. Dopo diversi mesi di anonimato, capita di vedere (per caso) la copertina con scritto Antelope in copertina e tre facce disegnate. Viene spontaneo chiedersi chi siano. Ebbene sì, Justin Moyer è tornato con altri due scagnozzi per nuove scorribande incontenibili.

“Reflector” è un pugno nello stomaco diretto e sfiancante. Non si concede mai completamente, non è dirompente, ma sgusciante, pulsante, sotterraneo. Come vedere il ritmo devastante degli A Certain Ratio più scomposti costretto nei limiti minimali di un recinto immaginario. Canzoni monche, corte, perfino inesistenti a volte, ma così vive da contorcersi alla velocità della luce.

Lo stile compositivo utilizzato per tornare sulla piazza è evidentemente cambiato rispetto alle ultime esperienze discografiche. Sia gli ultimi El Guapo ma, soprattutto, i Super System facevano un uso pesante di elettronica e ritmi analogici. Inoltre, in quei casi, veniva accentuato il lato ballabile, mentre qui i ritmi, pur essendo estremamente granitici e dritti, stimolano più un "ballo interiore", fatto di scosse elettriche e pulsioni cardiache.

Gli incastri fra basso e chitarra sono la chiave di volta del disco. Non fa eccezione la prima traccia, un antipasto a dir poco succulento, con la voce del comprimario Mike Andre in evidenza, mentre Justin rimane in disparte a suonare la chitarra. “Dead Eye” è puro furore: il solito canto irresistibile di Moyer, il trio basso-batteria-chitarra che si esalta e scompiglia, il vortice vocale posto nel finale che non lascia scampo.

La più posata “Contraction” vive di ovvie “contrazioni” a spirale, “Mirroring” sputa parole taglienti e pericolose; avvolte, distorte, ritorte contro un palpito impossibile da contenere.

Con la consueta immodestia onanistica, come in “Fake French” (in cui si chiamava “Justin Destroyer”), Justin si dedica una canzone, “Justin Jesus”, ulteriore esempio di come l’essenzialità sa ripagare lautamente in termini di risultato finale. Moyer riesce ancora una volta a giocare con la sua voce, con molta maestria e un pizzico di furbizia, visto che sono 7 anni che canta alla stessa maniera. Poco male, visto che non riesce mai a stancare.

L’ossessionante “Wandering Ghost”, se ascoltata per una decina di volte di seguito (e vi assicuro che non è molto difficile riuscirci), può provocare convulsioni e pericolosa dipendenza. “Flower” è forse l’episodio più vicino alla forma-canzone, con le pennellate di chitarra e il ritmo docile della batteria.

I minuti scorrono velocissimi vista la sintesi del disco (nel complesso siamo sotto la mezz’ora). “Concentration” inizia e poi finisce in un soffio di vento a cento chilometri orari, “Demon”, con i suoi coretti in sottofondo, è sfacciatamente di marchio El Guapo, ma niente paura, l’effetto è autentico e stende ugualmente. Saluta con accordi disgiunti di chitarra completamente fuori tempo la marziana “Collective Dream”.

Se credevate veramente che il diavolo della musica indipendente fosse finito con la conclusione della sua ultima incarnazione, dovete ricredervi e correre ad ascoltare il disco in questione. “Reflector” vive di citazioni, si alimenta di musica già esistita, già suonata. Ma, per una volta, non ci interessa e scoppiamo dalla voglia di tornare ad ascoltare questi clangori minimali.

(7,5)

recensione di Alessandro Biancalana

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