mercoledì 24 settembre 2008

Antenne: "#3" (Helmet Room Recordings, 2008)


La musica nata da freddi fiordi settentrionali, sovente evoca atmosfere vagamente misteriose, sul crinale e divisa fra sensazioni glaciali ed emozioni appaganti. Gli Antenne, provenienti dalla meravigliosa Danimarca, ricalcano in maniera più o meno fedele il lemma sopra enunciato.

Con alle spalle una carriera non molto proficua, composta da soli due album, la band cerca di tornare alla riscossa con un’opera completa dopo ben sei anni da “#2”. Fedeli alla loro passione per un suono grumoso e spesso cadenzato da docili tocchi ritmici, la musica degli Antenne sfugge da ogni definizione mirata e circostanziata. Nel corso delle loro tre tappe coincidenti con le loro tre opere, la formula utilizzata è spesso variata grazie alla rara poliedricità compositiva di Kim G. Hansen, autore di musiche, arrangiamenti e mixing. Imperniati nei dintorni di un trip-hop dalle tinte fosche e straziate, il fattor comune da individuare è l’attitudine all’atmosfera oscura, mai troppo sostenuta, sempre intinta in un’oasi colma di ottenebrante terrore sopito, capace di evocare distese medioevali in cui nebbia, umidità e un timido vento la fanno da padrone. Dal punto di vista tecnico, oltre al già citato trip-hop, si ritrovano gracili rimandi all’era d’oro del dream-pop, retaggi d’una electro ormai sopita (i primi glitch applicati al pop apparirono intorno alla fine dei ’90) ed una leggera brezza new-wave proveniente dalle precedenti esperienze di Kim. L’altro elemento che marchia a fuoco la musica del duo danese è la voce di Marie-Louise Munch, paragonabile ad un miracolo divino. Le melodie fin qui accompagnate dal canto, anche dal solo vocalizzo sussurrato a mo’ di anelito, trasformano banale silenzio in frangenti strazianti, sobbarcandosi l’impeto di una decorazione che si eleva ad elemento essenziale. 

Superati i gravi problemi dovuti alla ricerca di una etichetta disposta a pubblicare “#3”, la band sul finire del 2007 riesce a trovare ricovero nella piccola ma interessante Helmet Room Recordings. Pochi adepti erano in trepidazione per l’uscita di quest’ultima fatica del duo, d’altronde, la scarsa visibilità data alle loro gesta non ha certo giovato nemmeno alla distribuzione delle opere, spesso deficitaria ed insufficiente. Ciò che stupisce maggiormente delle composizioni degli Antenne, nel corso dei tre album, è indubbiamente la capacità di reinventarsi sempre da capo. Discostandosi dalle ombre slow-core del secondo disco e riavvicinandosi al trip-hop propriamente detto, "#3" colpisce, ebbene sì ancora una volta, dritto dritto al cuore. L'incedere dismesso, le foglie cadenti, l'incalzare di qualche morbido beat ,decorano di sfumature oscure il terzo disco del duo. L'avvio è spiazzante: gli oltre sei minuti di "Long To Kiss" si colorano di riflessi arcaici, fondendo anima dark e venature (neo)classiche. E se all'ascolto della traccia d'apertura un sentimento di mestizia avvolge il cuore, il dolce tepore di "Gloves On", accompagnata da un video strappalacrime, riporta al cuore il sangue raggelato. Nel dipingere distese vuote, spoglie d'alberi e d'anime, vive il lento scorrere delle note, accompagnate da uno splendido giro di chitarra.

I chiarori analogici che adornano tutto l'incedere di "Days Into Nights", paiono raggi stellati che illuminano a giorno una notte metropolitana, luci al neon in lontananza e il freddo che si insinua fra gli abiti. E se la successiva "Trreaa#7" riporta alla memoria i frammenti meno cupi e desertici dei Pan Sonic, accenni dub come nei migliori Thievery Corporation sono le intarsiature principali di "Blue Light". 'Ernst", nel suo avanzare tra campionamenti e pianoforte sporcato da una leggerissima coltre nebbiosa, potrebbe essere uscito benissimo dal repertorio dei Giardini di Mirò più sperimentali. Negli archi della penultima traccia, intitolata "End", in un moto circolare, gli Antenne riprendono l'austerità classica del primo brano, svolgendola divinamente assieme ad una chitarra che regge la melodia verso una deliziosa deriva folk. Ancora una volta, come in "#2",  la traccia finale, "All Of Us", ricalca le note di un'elettronica che gioca a contaminarsi con una vena psichedelica decisamente sixties, in pieno stile Air.

Il terzo capitolo del duo danese emoziona, stupisce, commuove. Fondendo elementi distanti con un'innata naturalezza, gli Antenne fotografano tepori metropolitani in odor di una soave tenebra. Ed è dolce perdersi nel loro mare. “#3” rimane coerente alle scelte stilistiche colte in passato, sintetizzando tutto ciò che c’è ancora da dire in 8 canzoni, capaci di scorrere via come pugni di sabbia polverosa o di sedimentare negli spazi più reconditi della memoria di ogni ascoltatore anche casuale.

(7,5)

recensione di Alessandro Biancalana e Alberto Asquini

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