domenica 28 settembre 2008

Trouble Over Tokyo : "Pyramides" (Schoenwetter Schallplatten, 2008)


Gli esordi discografici, supportati dall’ansia d’ascolto dovuto alla novità, sono sempre stati origine di grande sorpresa e soddisfazione. Il caso di Trouble Over Tokyo ricalca questa abitudine per la sua freschezza e inusualità. Il ragazzo, nato in un soporifero sobborgo nella zona sud-est di Londra,  da piccolissimo mostra spontanea ispirazione nei confronti della musica. A 9 anni la prima canzone, poi un’adolescenza indolente fra fallimenti ripetuti all’interno di band locali e qualche peccato di gioventù. Dopo questi anni di perdizione, ammaccati ulteriormente da delusioni cocenti, arriva la possibilità di esprimere le proprie sensazioni musicali in maniera concreta. Arrivato un debutto limitato a 1000 copie intitolato semplicemente “1000” (ad oggi irreperibile), nel 2007 giunge una seconda opera a larga scala che lo mette in risalto per il suo stile inconsueto.

“Pyramides” esalta caratteristiche ed esprime potenzialità inarrivabili. Se da una parte abbiamo una voce interessante, la musica non è da meno e distingue per la cura con cui è stata assemblata. Le corde vocali paiono un intrigante mix fra la schizofrenia luciferina di Micheal Jackson, la malinconia del più drammatico Thom Yorke e il pomposo Freddie Mercury. Se da una parte riferimenti del genere possono creare un qualcosa di veramente mostruoso (nel senso negativo del termine), dall’altra va evidenziato quanto il ragazzo si impegni per non risultare anacronistico e stucchevole. In questo l’aiuta il contorno musicale molto curato e mai sovrabbondante, capace di contenere certi assoli d’ugola un po’ autoreferenziali, trincerando il cattivo gusto un attimo prima che sgorghi inarrestabile in tutte le canzoni.

Dal punto di vista tecnico siamo di fronte a una miriade di influenze ben impastate in un qualcosa di quantomeno coraggioso se non a tratti originale. Forti rimandi al synth-pop chitarristico vengono ammorbati da campionamenti classici, beat acidi al limite dell’electro-clash mostrano il lato più ruvido dell’artista, ballate romantiche danno sfogo ad emozioni più distese. Come strumento principe, oltre alla chitarra, abbiamo il piano che riesce a donare dinamicità e a frenare eventuali strutture elettroniche troppo opulente. La tanta carne al fuoco in alcuni frangenti è fuori asse e un po’ azzardata, tuttavia ciò dimostra ulteriormente la voglia di scostarsi dall’ovvietà e provare qualcosa di diverso, sensazione questa che si evince da un ascolto anche solo superficiale dell’album.

Il mood è melodrammatico dai primi istanti dell’album, con l’elegia dell’incipit “Start Making Noise”, prima decantata su una chitarra arpeggiata, poi su un finale electro-pop irto di beats angolari. Pianoforte, tastiere atmosferiche e un battito sintetico fanno da base a “Save Us”, restando sempre nel background, lasciando alla voce da virtuoso del vocalist tutto lo spazio di cui ha bisogno per un refrain in un falsetto conturbante. Il capolavoro dell’album è “The Liar”, pop-song esemplare: sempre sospesa tra melodramma e fiaba, riesce a mantenersi a un passo dal kitsch senza mai scivolarvi, grazie a gorgheggi efebici e un tappeto di violini sempre opportuno e mai eccessivo; altro picco la ballata elettronica-acustica “4,228”, con ospite alla voce Milly Blue (già vocalist per i Basement Jaxx).

I momenti meno entusiasmanti sono quelli in cui viene meno il dinamismo dell’elettronica, a favore di un andamento più dimesso e intimista; è il caso della ballata “Eyes off Me”, con un soffice tappeto d’archi e un’interpretazione forse troppo altisonante. Il disco riprende però quota con “My Anxiety”, con la voce – più black che mai – che si destreggia sinuosa tra synth roventi e un pattern ritmico davvero epidermico; spettacolare anche lo sviluppo di “No-Handed (Part III)”, dalla quiete dell’inizio alla tempesta del finale, epico e in crescendo.

C’è spazio per altri due brani: “The Dark Below (Oh….. My God)” – un po’ blanda, invero – e la giocosa “Pyramids”, ideale conclusione di un disco dalle molteplici sfumature, che si propone come un caleidoscopio di umori e soluzioni tecniche.

Fresco e alle volte spiazzante, “Pyramides” è un ideale punto di incontro di tecnica vocale e fruibilità pop, di atmosfere cupe e suoni ariosi, di tensione e movimento: c’è ancora da lavorare e qualcosa da rifinire, ma possiamo dirci soddisfatti di un album promettente e assolutamente personale.

(7)

recensione di Alessandro Biancalana e Alessandro Nalon

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