lunedì 11 maggio 2009

Harmonic313: "When Machines Exceed Human Intelligence" (Warp, 2009)



Quando le macchine superarono l'intelligenza umana: un titolo programmatico. Un manifesto, quasi. Gli strumenti che prendono il sopravvento, la tecnologia che vince sul tecnico, la creatura che fagocita il creatore. Sarebbe lo scenario perfetto per un film sci-fi anni 80, oppure per un fumetto di Miguel Angel Martin. Invece, il futuro cupo e senza speranza lo racconta un disco, il primo sulla lunga distanza di Harmonic 313, moniker dietro al quale si cela Mark Pritchard (compagno storico di Tom Middleton nei Global Communication, aka la storia dell'elettronica anni 90). E lo racconta coniugandolo in una lingua nuova, la lingua della cultura underground londinese, la lingua dell'emergente wonky beats, o qualsiasi altro nomignolo si voglia puntare su questa realtà figlia del dubstep e dell'hip-hop, nipote della jungle e della drum'n'bass. Praticamente, un bombardamento a grappolo di bassi grassi, profondi, quasi senza soluzione di continuità, su cui l'artigiano Pritchard costruisce il proprio castello di beat e melodie al synth, con un mood tra breakbeat e house.

Ascoltando il disco, la prima immagine che viene in mente è la copertina: quel ghigno robotico che non è nient'altro che un artefatto della nostra mente, mentre ci fissa algido e impassibile nella sua incontestabile logica. Ce lo immaginiamo mentre pronuncia l'intro di "Word Problems", a metà tra reale e virtuale; oppure mentre supera definitivamente l'intelligenza umana scoprendo le emozioni, così diverse però dalle nostre, quasi delle fredde sequenze di dati da analizzare secondo una prassi precisa ("Falling Away"). Perché per la durata dell'intero disco, Pritchard racconta la propria storia futuribile con una capacità cinematografica impressionante, come se al posto delle parole ci fossero i synth storti, al posto della punteggiatura i beat e le bassline.

L’assetto privo di aperture prettamente melodiche, relegate al sottofondo o martoriate con veemenza, riduce il contatto con l’ascoltatore che si limita ad assistere ammutolito. La perizia della resa glaciale dei suoni è a tratti superba (la progressione matematica di “No Way Out”, i contraccolpi sonici presenti in “Cyclotron”), il complesso intreccio di partiture compositive raggiunge risultati disorientanti (stratificazioni multiple per “Köln”, le colorazioni variegate della pimpante “Galag-A”).

Il ritmo incalzante e adrenalinico prende piede forgiando cortocircuiti digitali ossessionanti, sotto forma di hip-hop (“Battlestar”) o di piccoli divertissment da un minuto (“Cyclotron C64 Sid”).

L’anima di questa musica, avulsa da un contesto empatico, mostra tutta la sua impassibilità con sfrontatezza e distacco, silurando il fruitore con ritmiche scheletriche e suoni aridi (esemplare “Call To Arms” e soprattutto “Flaash”). Risulta sterile o quantomeno cavilloso ricercare una definizione per un agglomerato di bit così perfettamente impastato (i sei minuti di “Quadrant 3” sono quanto di più indefinibile), lasciando da parte il lato analitico per un momento, va privilegiato un ascolto disincantato e attento.

Viene da chiedersi se le macchine riusciranno mai a sostituire l'uomo, se sia proprio la tecnologia che creiamo la prossima tappa dell'evoluzione. A questi quesiti Pritchard non dà risposte, cerca solamente di narrare un racconto futurista (e futuribile) musicale; e come i grandi autori, lo fa utilizzando i mezzi espressivi e comunicativi del proprio periodo.

(8)

recensione di Alessandro Biancalana e Mattia Braida

3 commenti:

  1. Ben tornato. Ce ne hai messo, ma vedo xhe ti sei dato da fare! Tornerò con calma.



    Saluti,

    Addison.

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  2. perbacco ma allora c'è qualcuno che mi segue davvero!

    non ho postato per molto tempo perchè avevo da fare, inoltre vedevo pochi riscontri e mi ero un po' stancato... l'altro giorno ho avuto un ritorno di fiamma ed ho postato tutte le recensioni mancanti... buona lettura e buon ascolto. : )

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  3. Ciao! Cercavo il testo della canzone Falling Away e sono capitato qui. Hai ragione è davvero un bel disco. Ciao! Luca

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