giovedì 24 agosto 2006

Utada Hikaru: "Ultra Blue" (Toshiba EMI, 2006)

 








La più grande stella del pop giapponese ritorna dopo l’ottimo album dell’anno scorso, “Exodus”.

Due dischi nel giro di due anni, due opere profondamente diverse ed ugualmente attraenti.

Se “Exodus” era rimasto invischiato in ritmi quasi techno-idi, “Ultra Blue” riprende il discorso lasciato in sospeso da album come “First Love” e “Deep River”. Un discorso che entra nel profondo del genere, il j-pop, sfruttandone tutte le possibilità artistiche ed espressive.

“Exodus” si lasciava spesso sedurre da sonorità oscure e ossessionanti, “Ultra Blue” è un album felice e adorabile, contenente canzoni che riescono ad allietare e rendere gioiosi, costruite con perizia tecnica ed attenzione ai particolari realizzativi.

Il disco è stato preceduto da un singolo a dir poco perfetto: “Keep Tryin’”. I tratteggi vagamente trasognanti, sorretti da note di tastiera spaziale, si scontrano con un’interpretazione tutta cuore e passione, portando a compimento una canzone splendida per caratura artistica ed emozionalità musicale.

La voce di Utada merita un discorso a parte. In questo album è al massimo delle sue possibilità, poliedrica, emozionante, mai scialba né scontata. La melodia vocale di “This Is Love” è pura dolcezza sonora, gli spasmi di “Blue” sono deliziosi, il pacato incedere di “Kairo” è  un piacevole tuffo in un frangente di essenza romantica. Dopo ripetuti ascolti salta subito all’attenzione il grande sforzo fatto sia da parte dei produttori che dietro le quinte compongono la musica, sia da parte della cantante, che, cosciente delle sue capacità, si tuffa in qualcosa di ambizioso, cogliendo in pieno il centro.

Come si può notare ascoltando il predecessore di questo disco, in quel caso, la voce era leggermente ottenebrata dai ritmi molto ingombranti e, qualche volta, limitanti per l’esecuzione di Utada. Non un difetto, visto che in quell’occasione la musica era praticamente perfetta e la voce relegata leggermente in secondo piano non comprometteva la qualità delle dei singoli episodi. Oltre a questo fatto, veniva spersonalizzata la natura del prodotto, eliminando il cantato giapponese, sostituito dalla lingua inglese.

La già citata “This Is Love” è un altro episodio felicissimo, forse fra le canzoni più belle del genere negli ultimi anni, al pari di “Honey Comes” di Maaya Sakamoto e “Complacence” di Tomiko Van. Nonostante siano pezzi molto differenti, lo spirito con cui sono stati creati è lo stesso, sentito e profondo.

“Blue”, come indicato prima, vive su sali e scendi vocali, attimi melodiosi ed altri scomposti, “Making Love” prende il via con un drumming di batteria incalzante, poi attorniato da bleeps elettronici spumeggianti e colorati, in tutto questo le parole cesellano una storia sconosciuta.

Gli animi si fanno più pacati e “silenziosi” con la malinconia di “Dareka No Negai Ga Kanau Koro”, essenziale e pura, semplice quanto il sorriso di un bambino, incantevole come il tramonto in un giorno di sole.

Armonia vagamente orientale nella successiva “Colors”, la strumentazione classica del pop esegue a perfezione il compito, lo scontro fra questo suono che dondola sensuale e alcune screziature classiche è inusuale e grazioso.

Deliziosa stupidità nella spensierata “One Magic Night”, con la collaborazione di Yamada Masashi. Il bel gioco vocale, composto nel porre due esecuzioni sullo stesso piano, con l’aggiunta di un ritornello volutamente sgangherato, sa dimostrare quanto, se ce ne fosse di bisogno, i produttori giapponesi sappiano come costruire una bella canzone partendo da elementi essenziali.

“Kairo” è una litania straziante e strappa lacrime, in cui strumenti casualli fanno capolino con tatto e gentilezza, “Wings” è un pezzo più classico, con un piano fortemente presente, suonato sensibilità, gocce di cristallo sonore piovono dall’altro, un refrain irresistibile si innesta con il suono di un flauto scanzonato.

“Be My Last” è forse la composizione più romantica della sua carriera, gli urli strazianti di una fatina disperata dovuti alla fine di un amore, “Eclipse (Interlude)” è un trascurabile intermezzo elettronico.

Il finale affidato a “Passion”, basata ancora su una forte componente percussionistica in cui la batteria è sempre in primo piano, incessante e imprendibile. La voce di un angelo spicca ancora il volo per condurci in luoghi coloratissimi e sognanti.

“Ultra Blue” presenta al mondo intero Utada Hikaru, visto che avrà una distribuzione degna di nota e si vocifera addirittura un tour mondiale. Un biglietto da visita migliore di questo non poteva certo essere proposto.

(7)

recensione di Alessandro Biancalana

2 commenti:

  1. ehi, hai un fratello che si chiama Andrea che ha 17 anni??

    RispondiElimina
  2. no, mi spiace.. sono figlio unico.

    sei delle mie parti anche tu? :-)

    RispondiElimina