sabato 2 settembre 2006

Bowery Electric: "Lushlife" (Beggars Banquet, 2000)


















nasce nel 1994 a Manhattan il duo Bowery Electric.

Lawrence Chandler e Martha Schwendener non hanno avuto e forse non avranno mai quello che si meritavano.

purtroppo hanno fatto il loro capolavoro troppo tardi, quando il carrozzone trip-hop era già finito.

non voglio certo dire che i precedenti dischi siano opere disprezzabili ma, come sempre succede agli out-siders del caso, la fortuna non è dalla loro parte.

Dopo due album discreti come l'omonimo ('95) e Beat ('96), la band, visto lo scarso successo, ha quasi in mente di sciogliersi. se non si conta la discreta raccolta di remix Vertigo, per più di 4 anni non si vede traccia di un disco nuovo.

all'alba del 2000, invece, esce Lushlife. ed è difficile uscire vivi da questa opera.

ritmiche serrate e sommesse immerse e sciolte in un mare di scratches, chitarre shoegaze, archi campionati. una musica notturna, sommessa, sordida.

la voce di Martha è un sogno ad occhi aperti, profonda, troppo profonda. fa quasi male ascoltarla. riesce ad emozionare ad ogni frangente, con ogni parola. ascoltare Floating World per rendersene conto.

sì, proprio il pezzo d'apertura. un ritmo ossessivo e ripetitivo si strascica rumoroso e martellante, sibili elettronici feriscono in ogni attimo, patterns di violino vengono lasciati andare liberi. note di basso pulsante si accoppiano con il battito irrefrenabile. martha, con l'oscurità nel cuore, ci lascia a bocca aperta per sensibilità melodica.

prosegue la title-track, un pezzo adatto per un film noir ambientato in un quartiere oscurato dalla notte più buia. innesti di chitarra si incastrano perfettamente con il beat incalzante, rumori di sottofondo paiono corde triturate, la voce è il canto di un angelo solitario. quasi un cantato dream-pop da tanto è leggiardio e sognante.

questa, forse, la trovata più azzeccata di tutto il disco. accoppiare due cose apparentemente discordanti come una voce distesa inserita in un contesto ritmico di tutt'altro regime, molto sostenuto e deciso.

lo scontro si rivela perfetto anche in questo caso. ancora quel basso suonato da martha mette insieme una serie di note che fanno rimbombare le orecchie, lo sciabordare del groove è un battito duro e cattivo.

tutti i suoni che si succedono secondo dopo secondo sono messi al posto giusto, non c'è un qualcosa fuori posto.

Shook Ones accentua la componente ritmica, imbastardendo la risonanza della cassa, questa volta acida e metallica. stesso registro esecutivo per la voce, aggiunta di qualche intervento elettronico in più.

i samples che si fanno vivi nel centro del pezzo sono ancora campionamenti di strumenti classici, le particelle digitali si liberano come bollicine nell'aria.

Psalms of Survival è più calma e fosca. incentrata su una serie di note ad alto tasso tossico, la tastiera questa volta ripete le solite tre note per tutto il pezzo, riuscendo a creare un circolo vizioso dagli effetti devastanti. si sente in lontananza ancora qualche intervento elettronico utile ad arricchire un pezzo già di per sè stupendo e contagioso.

Soul City può essere considerato come un passagio strumentale per calmare le acque. l'impianto basso-beat-tastiere riesce a costruire una melodia come raramente si riesce a sentire. sorprende la facilitià di questo duo nel riuscire nel mettere insieme con pochi mezzi dei motivi sonori a loro modo complessi e sensualissimi.

ed ecco l'unico singolo che verrà estratto dal disco, Freedom Fighter. in questo episodio si sente fortissima l'influenza shoegaze, visto che il suono proveniente dalle chitarre è saturo di feedback.

formula molto più ricca rispetto alla prima parte del disco. campionamenti tra i più disprati (oltre ai già citati strumenti classici si sentono clangori industriali), muri di rumore chitarristico, drones elettronici. un capolavoro, un vero e proprio capolavoro. bellissimo anche il video, visibile nel sito della band. ed interessanti anche i remix usciti nel maxi singolo associato alla canzone.

si susseguono con grande naturalità il trip-hop mutante di Saved, una ballata dub dalle tetre fattezze (Deep Blue), la notte vista al rallentatore, con lo sguardo rivolto verso la luna (After Landing).

le atmosfere si differenziano sempre e non si sente mai la parvenza di un riciclaggio, mai un'ombra di ripetitività. quandi ti aspetti un suono, loro ne piazzano un altro.

in coda al disco forse il pezzo più coraggioso, Passages. suoni elettronici al limite dell'ambient, assenza di chitarre, forte fiducia nell'ugola di martha che si prende la responsabilità di rimanere da sola con il solo apporto del beat fino alla metà del pezzo. il risultato finale, come ovvio, è sorpredente. sei minuti di completa estasi sognante, fra un charleston che sbatte, suoni diluiti e perforanti lasciano la mente intorpidita, piccoli cristalli di suono luccicano con forza commovente. la deriva finale composta da patterns vocali, scratches e piccoli accordi di chitarra è ciò che si può permettere un capolavoro.

il disco che tutti gli amanti del trip-hop dovrebbero avere, l'opera che tutti gli amanti della musica almeno una volta nella vita dovrebbero ascoltare.

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