sabato 9 settembre 2006

PLAYLIST OF THE WEEK -- 02/09 – 08/09

Metallari che crescono















Ulver: "Perdition City" (Jester Records, 2000)

band originariamente metal, e pure di quello che rigetto, si innammora dell'elettronica e tira fuori un disco di mutant-jazz.

atmosfere quasi trip-hop, battiti a bassa lega, sassofoni spaziali, un suono molto vario e intelligente.

sanno mettere assieme varie influenze (down-tempo, ambient, industrial) per cesellare canzoni dai tratti completamente disfatti e inusuali.

pezzi come Lost Moments, Porn Piece Or The Scars Of Cold Kisses e Hallways Of Always, rapportati con la prima produzione della band, sono sorprendenti. jazz trasfigurato da un immaginario elettronico, scampoli di piano torturato, distese sonore di bellezza atmosferica.

l'anima oscura è rimasta, solo che i suoni cambiano, tantissimo, e devo dire che le ultime produzioni sono di livello altissimo. una mistura di generi così omogenea e poliedrica solo pochi possono permettersela, ovviamente con risultati di questa portata.


 













Antimatter: "Saviour" (The End Records, 2002)

il cervello degli Antimatter, Duncan Patterson, militava originariamente nella band doom-metal Anathema.

la testa però gli dice che quella non è la sua strada e vira su sonorità completamente diverse con il suo progetto solita, affianciato da Mick Moss.

rock sporco, ritmiche quasi trip-hop, grande varietà di sonorità.

anche in questo caso, come per gli Ulver, la fantasia che ne esce fuori da questo cambio di rotta è sorprendente.

si passa dal dark-rock atmosferico di Saviour (bellissima la voce di Michelle Richfield), si giunge alle convulsioni elettroniche profondissime accoppiate con una chitarra sognante di Over Your Shoulder, si muove la testa al ritmo ossessionante di God Is Coming. Quest'ultima traccia è un vero e proprio capolavoro.

l'essenza povera ed scheletrica di Flowers, verso la fine del disco, dona all'opera qualità di natura sconosciuta.

Donne che cantano il loro dolore e la loro felicità


















Feist: "Let It Die" (Polydor, 2004)

un disco commovente, nel vero senso della parola.

piccoli cristalli gentili e fragili, composizioni folk malinconiche e allegre al tempo stesso.

le emozioni che scaturiscono da queste tracce sono molte, passando con grande disinvoltura fra il dolore velato alla felicità sbarazzina.

perciò, si canticchia senza freno la deliziosa marcetta Mushaboom, si rimane con le lacrime agli occhi davanti alla nera When I Was A Young Girl, lasciano sbattere il cuore con il crescendo emozionale di Lonely Lonely.

vorrei soffermarmi su When I Was A Young Girl. una canzone che mi ha lasciato impressionato.

il ritmo è composto da percussioni tribali, schiocchi di dita e un linea di basso. la voce di leslie (questo il suo nome) è sofferta e profonda, canta la storia della sua vita in 3 minuti, lascia nell'aria immagini di sofferenza mai dimenticata. fantastica, veramente commovente.



















Kathleen Edwards: "Failer" (Zoë, 2003)

qua le influenze sono di tutt'altro tipo, siamo più vicini a radici decisamente country, meno folk.

le emozioni, però, sì, quelle, rimangono sempre.

Kathleen ha una voce molto bella, sa usarla nel modo giusto e funzionale. mi sembra di sentire una Kristin Hersh, solo un pochettino più giovane..

Six O'Clock News è una ballata country elettrica molto spigliata e felice, One More Song The Radio Won't Like, si attesta su binari più docili, infatti il ritmo è cadenzato, meno sostenuto. la struttura piano-banjo-chitarra elettrica è sempre utilizzato in maniera fantasiosa, non c'è mai l'ombra di un clichè che si ripete all'infinito. i suoi testi raccontano di storie impronunciabili, ricordano passeggiate fra le praterie dell'America che fu, narrano momenti di bellezza cristallina.

una cantautrice sincera, adorabile, meritevole d'attenzione.



















Emilie Simon: "Vegetal" (Barclay, 2006)

ho già parlato anche troppo di lei, sia nella mia recensione, sia nel thread della musica pop francese.

però in questa piccola carrellata di donne infantili che voglio parlare di sè, voglio metterla.

i suoi racconti sono splendidi e pervasi da un'ottimismo nemmeno poi così tanto marcato, il rifiuro per l'amore di Never Fall In Love rivela dissapori con i rapporti affettivi, My Old Friend la perdita di una figura importante, svanita, senza speranza.

emilie in questo disco ha messo tutta sè stessa, si è denudata di ogni protezione, ha lasciato andare il suo animo. e questo si sente, dalla prima all'ultima nota, dalla sua prima parola proferita, all'ultimo gemito vocale. lasciare andare Alicia in loop per delle ore è stato il mio passatempo negli interminabili viaggi in treno di ritorno a casa.

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