venerdì 9 giugno 2006

Tomiko Van: "Farewell" (Avex Trax, 2006)














Il fuoco ardente che teneva insieme una delle più grandi band di pop/rock giapponese si è spento l’anno scorso, il 29 settembre. Il loro nome era Do As Infinity. Dalle ceneri di quel sogno ad occhi aperti è rimasto vagante un angelo dalle fattezze deliziose, la cantante, Tomiko Van.

Giunti al nuovo anno, spunta l’annuncio di un sua prova solista e l’emozione è tanta. Incontenibile. Il titolo è “Farewell”.

Sarà capitato spesso di ascoltare il primo disco di un componente di una band di cui s’è seguito le gesta passo per passo, di cui s’è goduto i più piccoli suoni, pianto per le parole, con cui ci siamo commossi fino in fondo. Chi scrive fa parte di questa categoria.

Questa opera fa sgorgare lacrime ad ogni frangente, tanta è la passione intrisa, l’amore con cui è stata concepita. In queste canzoni c’è un qualcosa di toccante che sgorga incontenibile, c’è la passione per una musica carica di sensazioni, c’è un profondo affetto per gli insegnamenti della band che l’ha lanciata nell’olimpo della musica giapponese.

Il timore che l’opera fosse una stanca copia delle canzoni dei Do As Infinity c’era, purtroppo. Ed invece pare che questo album sia stato elaborato nei minimi dettagli, già da prima della fine della band, perfezionato fino all’ultimo particolare, cesellato con precisione tipicamente nipponica. Per fortuna sono qui a scrivere queste parole.

S’inizia con la title-track ed è già un misto di dolore e felicità a proliferarsi nelle nostre menti. Uno splendido intro sognante composto da xilofono, violino e chitarra fa da preludio alle prime parole di Tomiko. La voce è sempre quella. Cristallina, angelica, precisa ed emozionante. Percussioni appena percosse, un piano scostante e tintinnante, l’interpretazione tutta cuore e amore di Tomiko è il dono ultimo ad un racconto perfetto per i nostalgici.

Si prosegue con il finissimo pop/rock di “Morning Glory”, timidamente adagiato su intrecci chitarristici e una sezione d’archi mai invadente ma, anzi, perfettamente incastonata nel contesto della canzone. Anche in questo caso siamo di fronte agli apici del genere, sempre con un approccio leggermente mesto e ombroso.

Tanto per smentirci fiorisce la sbarazzina “Urara”, un pop incentrato sempre sui vocalizzi di Tomiko, mai stucchevole né banale. Il flauto perfeziona una melodia commossa, il piano dona note che paiono gemme, la batteria detta un tempo quando gentile quando incontenibile. Il ritmo non è mai statico e chiudendo gli occhi si può immaginare un gruppo di bambini per mano che girano in tondo in un prato coloratissimo.

“Essence” sa regalare frangenti di sfavillante bellezza melodica, così racchiusa in un bocciolo che non esplode mai, “Horoscope” si distende in una sconfinata vallata di dolcezza, con timbri delicati e lievi.

La successiva “Complacence” è forse il pezzo più energico del disco, basato su un struttura ritmica elettronica e una serie di accordi chitarristici ben fermi e sostenuti.

Alcuni frangenti vocali sono il volo di un angelo e la scia di luce che si lascia dietro. Un continuo sciabordare di chitarre impazzite pungono i nostri sensi con una forza inaudita, piccoli schizzi sintetici squarciano l’andamento come la spada di un samurai apre in due un corpo.

Ed ancora si rimane impressionati dalla capacità di spazziare fra atmosfere tipicamente appartenenti al Sol Levante (“Nue No Naku Yoru”), canzoni j-pop come poche si possono sentire (“Holy Planet”), racconti d’amore di rara intensità (“Before Sunset”).

La piano-song di “Hold Me…” è intrisa di speranza e affetto, un andamento vagamente jazzato pare emergere man mano che i secondi scorrono e  il risultato finale è leggermente straniante rispetto al resto del disco.

Il finale spetta alla cover della disneyiana “A Dream Is Wish Your Heart Makes”, proveniente dalla colonna sonora di Cenerentola. Già cantata da diverse voci del calibro di Meredith Robertson, Julie Andrews e Linda Ronstadt, Tomiko non ne esce sconfitta né ridimensionata, riuscendo a regalare emozioni come al suo solito.

In definitiva un album che rappresenta la conferma di un’artista squisitissima e uno dei lavori pop più belli provenienti dal Giappone. Raccomandato ai deboli di cuore, a chi ama canzoni semplici ma preziosissime, agli esserini con un sogno da realizzare.

(7,5)

Recensione di Alessandro Biancalana

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