domenica 27 novembre 2005

 



Piana: "Snow Bird" (Happy Records, 2003)



Naoko Sasaki si diverte a riempire i nostri piccoli, malati cuori d'una tenerezza soffice ed avvolgente.

Flessibile muoversi d'un bollicina in aria, spumoso scintillare d'uno zampillo d'acqua purissima, nel contesto d'un prato infinito e lucente.

Fiorenti evoluzioni di raggi d'una luce splendente, soffi d'un vento leggermente pacato, calore d'un sole tiepido.

Dopo il timido intro di 20 years Ago, ci intromettiamo in Butterfly.

Piccoli rintocchi sferzanti. Circoli sonori per atmosfere plumbee. Cicli turbinanti. Voci deliziose e distese. Una chitarra strimpella felice, Naoko decanta parole con un afflato impercettibile, glitch inafferrabili tinteggiano piccoli insetti volanti. Uno dei pezzi di glitch-pop più emozionanti e belli mai ascoltati, al pari di Tujiko Noriko. Palpitante e celestiale.

Snow Bird è oscura e notturna. Accordi centellinati, stridio d'una macchina impazzita, errori aleatori, Naoko canta con distacco, la sua poesia straziante. Puntini d'un disegno stilizzato, posto a mezz'aria, docili fattezze, sfavillante tripudio di colori.

Spring Hase Come!!! è disturbante e spezzettata. Iniziano varie strade, vari percorsi, al principio della canzone. Questi itinerari non riescono mai a collimare e sbattono, confluiscono, divergono, sfuggono. Un continuo sfasciarsi d'un turbine di note inattese, marginali, incidentali. Pulviscoli digitali per animaletti infreddoliti e sperduti.

Winter Sleep è una delizia. Xilofoni ovattati, synth schiumoso e timoroso, vocalizzi di Naoko, strappi di noise laceranti, diverge e converge, scappa e s'avvicina, non c'è stabilità. Gocce d'una neve sciolta tintinnano sulla soglia d'una casa abbandonata, rami vengono spezzati dal peso della massa bianca, folate d'un vento penetrante e tagliente completano un'atmosfera cristallina.

Hid and Seek è un piccolo giochino in cui s'intrecciano piacevolmente rintocchi di tastiera, campanellini, rotture ritmiche, sdruciture sonore.

Voice è il rimbalzare d'un una circonferenza mastodontica nei contorni d'una caverna immensa, illuminata dalla brillantezza dei timbri emanati. Un drone claudicante schiamazza, sfrigolio cibernetico centellina rumore, scriteriato serpeggiare d'un anima sonora in disparte.

Monster ha un approccio più movimentato e un piccolo vortice percussionistico c'accompagna senza mai dividersi dal fulcro del pezzo. Sovente dei tratteggi d'un synth malato, lasciano segni evidenti, battiti roboanti non lesinano rumore, la voce, questa volta, è soltanto un ricordo.

April è basato su un filo di noise che ci perfora la mente da parte a parte. Un sibilo lungo un'infinità, lacera il nostro modo d'intendere e di volere, volenterosi accordi di chitarra vengono in soccorso, senza successo. Frasi sbarazzine, in un'interpretazione timida, impreziosiscono con sapore dolcificante. La colonna sonora per un amore finito, un rapporto concluso, opprimente delusione, devastante malinconia.

Blue Bell è un gioiellino inestimabile. Una fisarmonica tratteggia ricami accennati, chitarra etera disegna atmosfere d'altri tempi, intromissioni digitali sporcano, ancora voci lontane ci insegnano come amare il silenzio. Perfezione chimica d'un particella solitaria.

Conclude il cerchio After 20 Years, parte mancante del pezzo d'apertura, tra cincaglierie lo-fi, click appartati e un sapore amatoriale.

Un'opera per apprezzare le cose più insignificanti, più, alla apparenza, marginali. Saper godere d'una giornata uggiosa, un letto soffice, una musica mistica e silenziosa, chiudere gli occhi e viaggiare. Un viaggio senza limiti in un mondo rigoglioso e sorridente, fragoroso e luccicante.

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