venerdì 11 novembre 2005




Utada Hikaru: "Exodus" (Island, 2005)





L’eronia del j-pop della miglior fattura, dopo anni vissuti negli angoli del giappone più oscuro che mai, sbarca alla ribalta mondiale con un album dalle fattezze perfette.


Fin dagli anni dall’adolescenza -lei è figlia d’arte- rimane completamente attratta dal mondo della musica ed inizia a fare i primi passi all’inizio dei ’90.


Con il primo disco, First Love, spazza via ogni record di vendite eguagliando le copie vendute dalla scialba e patinata Britney Spears, con la sola differenza che quest’ultima aveva a disposizione un mercato il doppio più grande. Coniugare intelligenza artistica con un certa appetibilità della proposta, che non guasta mai.


Nonostante i successi del suo album d’esordio e dei successivi non appare mai nei luogi che contano dal punto di vista del hype. Oscurità di un’artista sapiente.


Questo disco è un tripudio di atmosfere ossessionanti, anime orientali, sapori malinconici, spumosi sentori di colorata felicità.


Una sequela irresistibile di pezzi dal sapore pop con tendenze house, electro e trip-hop.


Non risulta mai scontata ne sfacciatamente venduta al music business, il gusto alla composizione rimane, senza discussione. Lei scrive tutti i testi e collabora alla produzione della parti strumentali.


Quadretti dalla bellezza sbarazzina e dall’ingenua perfezione.


Devil Inside è un martellante battere di una drum-machine in amplesso fisico, la sua voce sovrasta tutto, con la solita fermezza che la contraddistingue. Marasma vocale durante il ritornello di trascinante avvolgenza.


La title-track miscela della basi vagamente trip-hop, archi orientali, un piano dalla resa struggente e melanconica, fraseggi vocali d’ intensa qualità.


The Workout sbatte in aria un pezzo trascinante quanto una folata di vento della più potente. Deraglianti tratteggi di una percussione finta, attimi di pausa, schizzi di velocità, mai un attimo di tregua sonora. Spumosi synth disegnano bollicine nell’aria.


Easy Breezy è electro-pop dal ritmo sbarazzino e appicoso quanto la colla a pronta presa. Loop di chitarra, spumosità digitali, ritornello contagioso, base ritmica semplice e perfettamente complementare al resto.


Tippy Toe è oscura e tribale. Un mutant-r&b dalle sembianze aliene. Percussioni tra le più disparate, andamento claudicante e irregolare. Convulsioni, bleeps, urli di una voce malata.


Una sorta di trip-hop ammorbato da anime break-beat è la successiva Hotel Lobby. Sinuosi ricami di percussioni animalesche, puntigliose note di tastiere martoriate, ondeggianti disegni di una voce che decanta parole sofferte.


Animato è un morboso sprofondare in un inferno fatto di diavoli timbrici, spiriti luciferini, suoni cavernosi. Un piccolo drone dal gusto spumoso compone un sottofondo ammaliante, cori d’angelica natura arrichiscono, rullante a mo’ di marcetta incanta, la voce di Utada, come sempre, sorprende.


Minutino dolce ed appartato nell’intramezzo di Crossover Interlude.


Kremin Dusk è una toccante pop-song, tra le più pure e sincere mai ascoltate negli ultimi anni.


Scabrosi battiti di profonda intimità, contrappunti di una tastiera vintage, loop di natura estranea, incalzante rullare di una batteria, vocalizzi di soave purezza. Marasma strumentale nel finale.


Irresistibile sovrapposizione di sentori orientali e stomp nell’intro di You Make Me Want To Be a Man. Un altalenante intercalarsi di catarsi e ansie orrorifiche. Sembra di sentire Ayumi Hamasaki sposata con Laurent Garnier immersi in una melassa amarissima.


Lasciarsi andare nel soul digitalizzato nella successiva Wonder’bout. Il pezzo scorre via veloce ma non lascia tracce, forse la sola caduta di stile.


La penultima Let Give You My Love è l'ulteriore conferma della qualità in gioco. Si ricalca le anime electro-pop differenziando nei piccoli particolari, quelli che contano.


Conclusione lasciata dall’emozionante chitarra-voce e base r&b di About Me. Attimi di classicità interscambiati a scampoli di pressante vivacità.


Dando i tratti finali al disco si tiene a sottolineare come sia possibile lasciare alle stampe album di questo genere, dove una proposta mainstream possa offrire un’opera tanto piacevole e non scontata. Utada, continua così.


 


(7)

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