mercoledì 22 febbraio 2006



Plone: "For Beginner Piano" (Matador, 1999)

possibile che mi tocca scoprire i dischi così belli, così tardi?
ebbene sì, questo disco è proprio capitale.
che cos'è? una sola parola: ELECTRO & OTHER.
uno dopo l'altro i pezzi sono un frullatore interstellare fatto di colori, immagini, suoni, sciocchi, fracassi e un marasma ritmico.
downtempo, ambient, un pizzico di glitch che a noi piace tanto, un po' di groove oscuro ma deciso, piccole variazioni che sanno di fantasia.
sensibilità pop ammorbata da una spirito di sperimentazione, un'anima pura infettata dal virus meccanico.
Eighties-Pop, Kraftwerk, Sun Ra, John Barry, Flying Lizzards, Suicide. Queste le influenze.
i ragazzi, per la cronaca, hanno collaborato intensamente con band come i Pram e i Broadcast. Niente male, direte voi. Sì, veramente niente male.
On My Bus è eterea è deliziosamente armonica, un nenia aliena e adagiata su un tappeto di stelle, Top & Low Rent sono bleeps e percussioni molleggianti, un ballo spastico e robotico.
Marbles è tenera e soffice, una marcetta di giocattoli caricati a molla, una vocina meccanica canta con distacco.
The Greek Alphabet pare un dream-pop strumentale totalmente elettronico, o magari lo possiamo definire un downtempo leggermente jazzato, o forse chissà, con quale altra definizione potrei descrivere questo pezzo. Fatto sta che mi ha rapito. Il suo incedere quasi solenne e pacato al tempo stesso è solo piacere, i suoni cadenzati ad intervalli apparentemente regolari sono ossessione. Un vociare computerizzato profuma di spazio.
Press A Key è un ambient leggermente scombussolato, sottilmente movimentato, un organo synth-etico è il preludio a una messa maledetta, Bibi Phone è giocattolosa e fumettosa, un motivetto che farebbe felici i bimbi più fantasiosi, spumeggio di synth, rumorini che sembrano lancette che si muovono, folate di vento docile.
Ed ancora i rigurgiti borbottanti di Be Rude To Your School, il sapore discordante di Plock, il finale leggermente malinconico, ma movimentato, cattivo ma conciliante di Summer Plays Out.
Non ho parole, davvero. Il disco cambia marcia, velocità e mood nel giro di pochi secondi, nel volgersi di un attimo e di un suono. All'interno di un pezzo ci sentiamo dentro tutto e niente. Un senso che mi capita rare volte, quando ascolto un'opera.
Ah, vengono accostati sovente ai Piano Magic, dalla stampa. Ci crediamo?
Sì, crediamoci.

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